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Qualche appunto su biodiversità, politica agricola europea e sistema agroalimentare

Franco Rainini

Il rapporto della Corte dei Conti Europea
Nel corso della passata primavera mentre l’Italia e l’intera Europa era squassata e travolta dall’emergenza sanitaria negli stessi giorni in cui erano emessi i regolamenti europei sull’agricoltura (Farm to Fork (1)) e sulla biodiversità (Eubiodiversity (2)), con un tempismo non certamente casuale la Corte dei Conti Europei emetteva un rapporto cheè una netta stroncatura della Politica Agricola Comunitaria sino ad oggi perseguita.  Il documento che ha per titolo Biodiversità nelle campagne: il contributo della PAC non ne ha fermato il declino (Biodiversity on farmland: CAP contribution has not halted decline (3)), non porta ovviamente nuovi elementi scientifici a sostegno di una fatto che è sotto gli occhi di tutti e che la comunità scientifica ha provveduto da tempo a rivelarci ((4), (5), oltre alla sterminata bibliografia in materia, ulteriori riferimenti sono citati dal parere della Corte).  Il lavoro della Corte dei Conti (European Court of Auditors) è consistito soprattutto nel porre in chiaro quanto le dichiarazioni d’intenti contenute nella riforma della PAC del 2014 non abbiano avuto nessuna influenza per temperare il devastante impatto dell’agricoltura industriale sulla biodiversità, mentre sono costati al contribuente europea, al quale questi risultati erano stati annunciati in premessa dei Regolamenti e delle Direttive che tale PAC avevano avviato, una imponente quantità di denari: nel periodo 2014 - 2020  su un totale di spesa di € 86 miliardi (pianificati per la biodiversità, pari al 8,1% del budget della UE) € 66 miliardi, pari al 77% provenivano dalla PAC, per un obiettivo che, considerata la sempre minore enfasi sul sostegno ai redditi degli agricoltori e all’approvvigionamento dei mercati (difficile da sostenere a fronte della imponente interconnessione dei mercati agroalimentari) risulta tra i principali della PAC.   
Il rapporto della Corte che è fondato sulla verifiche delle evidenze emerse da indagini effettuate in diversi stati membri, rispetto al dettato, agli auspici e alle forme di verifiche presenti nella norma, colpiscono diversi aspetti dell’architettura della PAC.   Al paragrafo 02 Si rileva come “In molte aree d’Europa l’intensificazione [dell’agricoltura] ha trasformato paesaggi un tempo diversificati, consistenti in piccoli e diversificati appezzamenti e habitat, in spazi gestiti con grandi macchine agricole e una forza lavoro fortemente ridotta.  Al paragrafo 08 si lamenta la carenza di informazioni per l’intera UE riguardo al fenomeno descritto precedentemente, e che comunque: “sulla situazione in Cechia sono presenti evidenze del la marcata intensificazione dell’agricoltura susseguente l’ingresso del paese nella UE nel 2014 e che le popolazioni di uccelli negli ambiti agricoli sono declinate a far data da quel periodo”.
Al paragrafo 31 si afferma che “la Commissione sopravaluta le spese per la biodiversità”, in particolare adottando sistemi di attribuzione delle somme impiegate a questo obiettivo troppo vaghi o non sostanziati da evidenze, quando non esplicitamente falsi nelle premesse (es. le misure per migliorare la gestione delle acque, attribuite al 100% alla difesa della biodiversità, non necessariamente, sempre e ovunque vero).
Critiche vengono mosse al principio della condizionalità (cross compliance), attraverso cui l’adozione di determinate pratiche o il rispetto di specifiche norme viene collegato a pagamenti alle imprese agricolo al fine di sostenerne il reddito. A questo riguardo la Corte rileva come nessuno tranne la Germania sia stato in grado di dimostrare la reale eficacia di questi pagamenti per la conservazione della biodiversità in ambito agricolo (agroecosistemi). Ulteriori critiche vengono mosse in ordine allo scarso finanziamento collegato a misure “leggere” per ridurre l’impatto dell’attività agricola, che potrebbero interessare una ampia platea di produttori, comunque poco attirati dall’importo degli incentivi.   Con maggiore benevolenza la Corte valuta alcune misure collegate ai Piani di Sviluppo Rurale, ra cui il sostegno all’agricoltura biologica e all’attività all’interno delle aree Natura 2000.  Complessivamente il giudizio è però contenuto nel titolo del documento.
Bizzarro che a fronte di questa ufficiale presa di posizione emessa dall’organismo di controllo europeo (effettivamente la dizione Corte dei Conti Europea, è un po’ fuorviante, il campo di interesse della Corte non è come dimostra il rapporto, solo o principalmente economico) nessuna significativa reazione sia sortita dal vasto e variegato fronte dei movimenti politici e sociali che generalmente insorgono contro un aumento delle spese a favore degli stati in difficoltà o insorgono per ogni impegno a favore di chi reputa insopportabile l’accoglimento di qualsiasi barchetta colma di adolescenti africani o profughi siriani fortunosamente arrivati sulle sponde dell’Europa.  Eppure la PAC costa ancora una enorme quantità di soldi all’Europa, anche se molti meno di qualche anno fa.  Forse per capire il rapporto della Corte e la scarsa entità delle reazioni si dovrebbe approfondire la storia e la natura della politica agricola dell’Unione.

La PAC
La PAC nasce all’inizio del percorso di unione europea originariamente immaginato come strumento di pacificazione dell’intero continente, e non poteva essere altrimenti.   Circa le ragioni dell’avvio del processo di unione molto è stato detto e scritto.  Oltre alle ragioni ideali contenute in documenti come il manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni (6), il processo di costituzione dell’Europa unita si fondava certamente su necessità concrete politiche ed economiche, collegate anche all’avvio del confronto tra i blocchi occidentale e sovietico (7, 8).  In ogni caso l’integrazione delle economie europea, la riduzione e infine l’annullamento dei dazi comportava la necessità di trasferire in ambito europeo le misure di sostegno all’agricoltura presenti in ogni paese.  La necessità di tali politiche era ovviamente legata a diverse regioni che sono rintracciabili negli stessi obiettivi indicati per la PAC nel  trattato di Roma (Titolo II Agricoltura, Art. 38 e seguenti):
“Le finalità della politica agricola comune sono:
a) incrementare la produttività dell'agricoltura, sviluppando il progresso tecnico, assicurando lo sviluppo razionale della produzione agricola come pure un impiego migliore dei fattori di produzione, in particolare della mano d'opera,
b) assicurare cosi un tenore di vita equo alla popolazione agricola, grazie in particolare al miglioramento del reddito individuale di coloro che lavorano nell'agricoltura,
c) stabilizzare i mercati,
d) garantire la sicurezza degli approvvigionamenti,
e) assicurare prezzi ragionevoli nelle consegne ai consumatori”. (9)
Se il trattato del 1957  può essere considerato come l’atto di nascita della PAC, si constata che questi obiettivi, che sono essenzialmente di stabilità politica prima che economica (si pensi alle condizioni di vita degli operai e dei contadini di tutt’Italia fino alla fine degli anni ’60 e spesso anche oltre) risultano confermati nel contesto attuale, all’interno dell’attuale del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, all’articolo 39.
A differenza del trattato del 1957 quello in vigore (10), contiene naturalmente un articolato (il Titolo XX) sulle questioni dell’ambiente.  Sorprende comunque che il tema dell’ambiente non venga neppure sfiorato nella parte riguardante l’agricoltura: nell’attuale titolo III Agricoltura e Pesca, il termine ambiente non viene neppure usato.
Nel capitolo sulla PAC contenute nelle note tematiche sull’Unione Europea (11), si fa in realtà ampio riferimento alla questione della “sostenibilità” e delle “pratiche agricole che incidono positivamente sull’Ambiente”.   Nel Regolamento Farm To Fork, che rappresenta parte della risposta dell’Attuale Commissione UE all’analisi della Corte dei Conti la questione ambientale è posta con Particolare vigore:
“L'UE si propone di ridurre l'impronta ambientale e climatica del suo sistema alimentare e  rafforzarne  la resilienza,  garantire  la  sicurezza  dell'approvvigionamento  alimentare  di fronte  ai  cambiamenti  climatici  e  alla  perdita  di  biodiversità,  guidare  la transizione globale verso  la  sostenibilità  competitiva  dal  produttore  al  consumatore  e  sfruttare  le nuove opportunità. Questo significa: "fare in modo che la filiera alimentare, che abbraccia la produzione, il trasporto, la distribuzione,  la  commercializzazione  e  il  consumo  di  prodotti  alimentari,  abbia un impatto ambientale  neutro o positivo”.
Anche l’altro documento EUbiodiversity è pieno di forti presedi posizione riguardo alla difesa dell’ambiente
“Dalle  grandi  foreste  pluviali  ai  piccoli  parchi  e  giardini,  dalla  balena  azzurra  ai  funghi microscopici,  la  biodiversità  è  la  straordinaria  varietà  della  vita  sulla  Terra.  Noi  esseri umani siamo una maglia di questa rete di vita, da cui dipendiamo per tutto: per il cibo di cui  ci  nutriamo,  per  l'acqua  che  beviamo,  per  l'aria  che  respiriamo”.
Con il rispetto dovuto alle istituzioni e la necessaria pazienza necessaria perché le misure annunciate siano approvate e messe in atto cambiando, come auspicato l’impatto ambientale dell’agricoltura europea, non si può comunque dubitare che sia la mancanza di retorica quella che manca all’attuale Commissione EU.
Ma neppure si può evitare di constatare lo iato presente tra gli obiettivi indicati sul trattato firmato da tutti i paesi membri, nei quali ambiente e agricoltura non vengono mai declinati insieme, e le dichiarazioni contenuti negli atti assunti o in corso di assunzione da parte della Comunità.
Nel trattato sul funzionamento dell’Unione l’agricoltura è individuata solo come attività in grado di servire ad obiettivi economici (in subordine sociali).  Ciò può forse dar conto delle fiere opposizioni espresse , anche da parte italiana alla riforma?   
Non è forse vero che il principio riguardante la parità di bilancio economico sia presente nella Costituzione degli stati membri, mentre il principio della neutralità rispetto alle crisi ambientali (perdita di biodiversità. disfunzionamento dei cicli biogeochimici, cambiamenti climatici, per parlare di tre aspetti su cui l’agricoltura ha un impatto molto rilevante) è dichiarato di un documento assunto da un organismo non elettivo, senza una reale capacità di condizionare con uguale forza le politiche generali dell’Unione e dei singoli Stati?
Forse il principio dell’annullamento delle emissioni, la riduzione dell’inquinamento da effluenti eutrofici e la difesa della biodiversità dovrebbero avere lo stesso rilievo dei parametri legati al PIL all’interno della quadro istituzionale della UE.  A quando un trattato di Maastricht che regoli nitrati, pesticidi ed emissioni di gas climaalteranti?
Per ora ci accontentiamo degli obiettivi contenuti nei nuovi regolamenti che sono senz’altro un formidabile passo in avanti:  riduzione del 50% dei pesticidi più pericolosi, rimpiazzati da pratiche agroecologiche, la riduzione del 50% delle perdite di nutrienti, riduzione del 50% degli antibiotici in allevamento e raggiungimento del 25% della superficie destinata ad agricoltura biologica.  Queste misure contenute nella strategia Farm To Fork che hanno avuto l’appoggio quasi incondizionato delle associazioni ambientaliste, agroecologiste e dell’agricoltura biologica, organizzate in Italia nella Coalizione #cambiamoagricoltura –a cui aderisce anche la Federazione Nazionale Pro Natura, hanno trovato oppositori tra le forze politiche e i governi.  Nel corso del consigliodei ministri dell’Agricoltura dell’8 giugno 2020, a fronte di una netta presa di posizione a favore dei Regolamenti espressa dai Commissari UE, il ministro ungherese affermava che avrebbe preferito opportunità e non vincoli per il settore posizione non sorprendente a favore dello stato presente delle cose, visto il rapporto tra grandi proprietari beneficiari della PAC e governo Orban, denunciati recentemente dal New York Times (Le fattorie dei soldi, come oligarchi e populisti mungono milioni dalla UE (12)).
Il rappresentante polacco chiedeva nuove tecnologie e nuovi mezzi di protezione delle piante (il riferimento agli OGM è lampante).  Simili preoccupazioni erano espresse anche da altri paesi.   Anche i paesi di enorme peso come la Francia, aldilà dell’appoggio espresso sugli obiettivi c, chiedevano comunque di assicurare la competitività del settore controllando le condizioni di produzione dei prodotti fin qui importati – ci chiediamo a questo riguardo se tale preoccupazione fu mai espressa dai decisori delle politiche agrarie per l’importazione di materie prime per mangimi transgeniche e coltivate su suoli disboscati e incendiati, ad esempio la soia sudamericana.  Ma queste importazioni evidentemente rafforzano e non sono a detrimento della competitività dell’agricoltura UE.

Il sistema italiano
La reazione della ministra italiana alle direttive e comunque nel corso della partita che si trascina da oltre un anno sul percorso della definizione di una nuova PAC è certamente tra le più interessanti (e illuminanti circa il possibile destino delle strategie e della PAC). Per cominciare diciamo che l’attuale Ministra non ha mostrato molta attenzione alle istanze rappresentate da #cambiamo agricoltura, che rappresenta le uniche forze sociali fin qui espressesi per il nuovo corso della Commissione Von Der Leyen rispetto all’agricoltura.  Tre richieste di incontro avanzate dalla Coalizione alla Ministra e altre due inviate al Direttore del Dipartimento per il coordinamento delle politiche europee e internazionali e dello sviluppo rurale  non hanno avuto ad oggi risposta.  In sede di Consiglio dei Ministri la nostra rappresentante ha avanzato subito la necessità di mantenere la competitività del sistema, avanzando un’idea di sostenibilità che è insieme economica, sociale e ambientale.  Si è espressa sostanzialmente in senso contrario alle misure premianti le buone pratiche individuate su scala nazionale le forme di agricoltura a minore impatto, gli Ecoschemi, che penalizzerebbero le aziende più grandi e intensive, ha avanzato critiche per la mancanza di misure a favore dell’”adattamento” ai cambiamenti climatici (una richiesta di poter usare i fondi UE per pagare le assicurazioni degli agricoltori per danni da condizione climatiche estreme).  Soprattutto ha affermato che l’Italia non vuole essere oggetto di raccomandazioni da parte della UE circa l’uso delle risorse.  Una delle misure previste dalla nuova PAC.  Scontata l’opposizione per le norme di etichettatura nutrizionale che penalizzerebbero i nostri salumi e formaggi ad alto contenuto di grasso e che rappresentano una bella fetta del nostro export. (nei primi cinque mesi del 2020, nonostante la situazione di lockdown che interessava quasi tutto il pianeta le esportazioni di grana padano e parmigiano reggiano hanno valso €415.038.000 alla nostra traballante bilancia commerciale (13).
Il successivo Consiglio dei Ministri (AgriFish 20 luglio 2020) le cose non sono cambiate e l’atteggiamento dell’Italia è stato tanto deludente da essere così commentato nel comunicato di #cambiamoagricoltura:  “Non si può da una parte sostenere di essere favorevoli alla Strategia Farm to Fork e poi dall’altra evitare con abilità di assumere un impegno serio e coerente per introdurre gli obiettivi ambientali della Strategia UE nel Piano Strategico Nazionale, evitando di assumere posizioni chiare sulla riduzione dei pesticidi e fertilizzanti chimici, l’aumento delle superfici certificate in agricoltura biologica e una quota minima di natura nelle aziende agricole”.
Le ragioni di una accoglienza tanto fredda, se non ostile, al cambio di rotta hanno varie ragioni, alcuni paesi dell’ex blocco sovietico, hanno certamente pratiche di commistione tra potere politico e interessi economici particolari quali quelli descritti dal New York Times nell’articolo citato.  Per i grandi paesi dell’Europa Occidentale la questione è certamente diversa.  Si può dire che oggi come ai tempi del trattato di Roma l’agricoltura è vista solo come attività economica.  Rispetto al 1957 l’agricoltura è cambiata drammaticamente.  Se all’epoca le necessità di assicurare approvvigionamenti alimentari a una popolazione in condizioni di povertà e anche bisogno, redditi ai lavoratori dei campi che costituivano la maggioranza della forza lavoro erano prevalenti oggi questo non può essere detto.   Come fa notare l’economista agrario do tedesco Sebastian Lakner (14) l’approvvigionamento alimentare non è un argomento come possa essere utilizzato contro le Misure della UE, anche a fronte dell’emergenza creata da Covid-19, l’autore individua nella difformità di accesso alle risorse alimentari in ambito globale le maggiori criticità relative all’accesso agli alimenti in scala globale e conclude: “…in realtà molto di più è in gioco, se perdessimo la fertilità dei suoli, o gli insetti impollinatori, o i nostri suoli cuocessero al sole di estati prolungate, la sicurezza alimentare non potrebbe essere assicurata in un mondo che cambia rapidamente senza una adeguata strategia ecologica, compresa l’educazione ambientale, per conservare ed incrementare le conoscenze che molti agricoltori già possiedono e altri stanno rapidamente dimenticando. Senza i servizi che ecosistemi funzionanti ci forniscono Non sopravviveremo”.
Ma sono ragioni ardue da comprendere per i decisori della nostra politica agraria.  Icambiamenti del sistema agroalimentare mondiale negli ultimi decenni hanno portato l’Italia a iventare una sorta di superpotenza agroalimentare con un imponente flusso di import-export che, sebbene risulti negativo per i prodotto provenienti strettamente agricoli fa registrare un saldo positivo grazie all’esportazione delle industrie alimentari, in particolare per il settore vinicolo, delle carni, soprattutto suine e dei formaggi (13, 15).  
Le condizioni in cui si realizza questo potente sistema agroindustriale si rivelano vieppiù fragili, innanzitutto per la base territoriale ridotta.  Le produzioni di vini, formaggi e salumi tipici, avvengono su aree limitate, quindi l’intensificazione produttiva è molto elevata, resa necessaria per rispondere alla domanda dei consumatori interni ed esteri, che si approvvigionano attraverso strutture la grande distribuzione organizzata, che richiede immensi volumi di prodotto ed è soggetta a enormi sprechi: “È utile ricordare alcune tendenze di carattere globale che hanno implicazioni rilevanti sulle quantità di perdite e sprechi alimentari. I fattori generali di carattere globale maggiormente condizionanti gli e-normi sprechi alimentari sono: la crescita della popolazione mondiale e dell’urbanizzazione, l’elevata disponibilità energetica derivante dallo sfruttamento di fonti fossili, la diffusione economica e cultura-le di macro-sistemi agroindustriali di massa dalla produzione alla distribuzione al consumo”.
I maggiori danni di questo sistema si realizzano però proprio per la ridotta base territoriale su cui si realizzano le produzioni, ciò richiede intensificazione produttiva e conseguente incremento per l’uso di pesticidi. Poche settimane dopo essere stato dichiarato patrimonio culturale dell’umanità il prosecco è stato oggetto di un caso per l’elevato quantità di pesticidi utilizzati per la sua produzione “Veneto, non a caso, è la regione italiana con i livelli più alti di consumo dei pesticidi: quasi 12 kg per ettaro, contro la media italiana di 5 kg. Una cifra enorme che di certo non piace all'Unesco, alle prese con la candidatura delle colline di Conegliano e Valdobbiadene a patrimonio dell'umanità… (17). Sempre sul tema pesticidi deve essere ricordato che l’aggiornamento del piano nazionale per l’uso sostenibile dei fitofarmaci atteso da più di un anno non è stato ancora presentato dai ministeri competenti.
L’evidenza più drammatica della concentrazione di attività agroalimentare su un territorio con impatti devastanti sul territorio (18, 19) riguarda la concentrazione dell’attività zootecnica in Lombardia, in particolare nelle provincie meridionali della Regione a ridosso del Po.  Si riporta la tabella con la produzione di latte e consistenza zootecnica su scala nazionale e Regionale, relativa all’anno …, segnalando che tali concentrazioni sarebbero ancora più allarmanti se fosse considerato il solo territorio delle Province di Mantova, Brescia, Cremona, Lodi (e la bassa bergamasca):

Tabelle

(20)

La concentrazione degli allevamenti in Lombardia e in altre parti del paese (es. Veneto occidentale per quanto riguarda gli allevamenti avicoli), oltre che a impatti sul cicli biogeochimici dell’azoto e del fosforo ha evidenti ricadute sulle condizioni di vita degli animali, con difficoltà di adeguamento alle normative sul benessere animale e sulle stesse condizioni sanitarie degli allevamenti come hanno dimostrato i passaggi di influenza aviaria negli allevamenti lombardi e veneti.  L’influenza aviaria ha fatto alcune volte nel corso degli ultimi decenni il salto di specie (21).  Infatti nel 2003, nel 2005/2006 e soprattutto nel 2013 il rischio di una pandemia sostenuta da vari ceppi dell’influenza aviaria, con effetti simili a quelli che stiamo riscontrando oggi con Covid19 è stata reale.  Sebbene in tutti i casi citati l’Italia non sia mai stata il centro di origine del passaggio di specie, autorevoli studi hanno dimostrato come la concentrazione di animali in allevamenti industriali e la concentrazione di detti allevamenti in aree limitate è tra le cause della diffusione dell’influenza aviaria e del salto di specie (22).
Inoltre la forte dipendenza della zootecnia italiana dall’importazione di materie prima per mangimi dall’estero, segnatamente dal Sudamerica, è un ulteriore gravissimo problema.  In effetti l’Italia,importa soia ed esporta deforestazione, land grabbing condotto a volte con i mezzi più spietati a carico delle popolazioni agricole e indigene (23).


Allargando lo sguardo
Se individuiamo nella particolare struttura geografica, nella concentrazione e nell’orientamento verso l’esportazione le cause dell’alto impatto di una parte importante del sistema agricolo italiano, deve essere riconosciuto che questo non è solo un problema italiano ed europeo e rappresenta la caratteristica di un sistema agricolo che deve essere considerato mondiale. Secondo il sociologo americano Michael Carolan (24) negli anni tra 1980 e il 1995, si è assistito ad un profondo cambiamento nel sistema agricolo mondiale, che ha assunto una forma a “clessidra”, significando uno scompenso nel sistema agricolo nel quale il potere contrattuale si sarebbe sempre più concentrato ai poli esterni all’azienda agricola (venditori di sementi, concimi, pesticidi e macchine agricole, acquirenti del prodotto finito) riducendo il potere e lo spazio di scelte agli agricoltori.  In questi anni si è assistito a una brutale riduzione nel numero delle aziende agricole Carolan indica in 1,1% la riduzione di fattorie negli Stati Uniti e del 2,2% in Europa; un fenomeno certo non nuovo che ha accompagnato quasi tutta l’età contemporanea.   Il cambiamento più drammatico è però avvenuto nei poli della clessidra dove la concentrazione è diventata tale da generare situazioni di strettissimo oligopolio.  Tre operatori Cargill. Bounge ed ADM, controllano l’intero mercato mondiale delle granaglie. I produttori di pesticidi (o fitofarmaci, come vengono più pudicamente indicati dagli operatori del settore e dalle istituzioni), si sono aggregati alle aziende produttrici di semi, creando un cerbero che, come nel caso della soia resistente al glifosate e in grado di fare soldi vendendo il seme transgenico e il diserbante che permette di coltivarlo.
Un modello siffatto, come poco sopra ricordato, è legato al sistema della grande distribuzione organizzata che a livello internazionale raggiunge livelli di concentrazione colossali.  Wallmart il cui fatturato annuo è tanto alto da porsi all’interno delle prime 25 economie del mondo.  Abbastanza lontani da questi numeri ma comunque in grado di condizionare pesantemente il mercato sono i grandi gruppi di retailers francesi e tedeschi.
Il risultato di questo sistema è una enorme interconnessione del mercato agroalimentare mondiale, nel quale i grandi gruppi di fornitori e clienti delle aziende agricole hanno un totale controllo dei prezzi e delle modalità di produzione, imponendo un modello agroalimentare che provoca contemporaneamente fame ed obesità, ipersfruttamento dei suoli e abbandono di intere aree geografiche, oltre a inquinamento, riscaldamento globale e perdita della biodiversità.
In questi giorni siamo richiamati dal bombardamento di notizie riguardanti l’arrivo di una ondata (qualche migliaio di persone…) di immigrati in Italia attraverso il Mediterraneo.  Non sorprendentemente quello che spinge questa gente a venire in Europa è la drammatica condizione economica, se non di vera e propria fame che devono affrontare nei loro paesi Ray Bush (Leeds University) e Habib Ayed  (Uni Paris 8), hanno recentemente scritto il libro “Food Insecurity and Revolution in Middle East and North Africa”. Nel testo è posto in rilievo come l’estrema diseguaglianza di accesso alla terra, di incertezza dei prezzi agricoli (un effetto da manuale dell’oligopsonio cioè di concentrazione della domanda) sono alla base dei problemi politici della regione (dittatori, terroristi e despoti militari ne sono l’effetto) e della migrazione.  Procedendo nell’analisi della situazione agroalimentare mondiale i due autori arrivano ad una conclusione che è la ricetta alternativa al sistema agroalimentare attuale, quella del movimento agroecologico, che è anche alla base dell’idea di #cambiamoagricoltura: “Noi suggeriamo che la sovranità alimentare, basata su agricoltura di piccola scala e basata alla produzione di cibo sia il solo mezzo per soddisfare l’urgente e vitale bisogno di nutrire la gente, a prezzi accettabili, proteggendo le risorse naturali e la biodiversità, limitando o riducendo l’entità del riscaldamento globale e assicurare la vita alle future generazioni.  Concentrarsi sull’agricolttura industriale e orientata all’esportazione non lo farà” (25).
L’osservazione sull’agricoltura che produce cibo non è per nulla tautologica. Attualmente la coltivazione della terra serve anche ad altri scopi certo remunerativi, ma che togliendo terra alla produzione di cibo ne aumentano il costo, aumentano la “necessità” di cercare nuove terre coltivabili o di incrementare l’uso di mezzi per accrescerne, temporaneamente la produttività, provocando riduzione di spazi e nicchie per la biodiversità naturale. Il biologo e pubblicista inglese Colin Tudge, afferma (26) che l’accoppiamento tra miglioramento del tenore di vita e aumento della popolazione potrebbe portare ad una richiesta di prodotti alimentari equivalente ad una popolazione di 13,5 miliardi di persone, contro le ,5 miliardi che saranno effettivamente presenti. I 4 miliardi di abitanti figurati in più sarebbero l’equivalente delle produzioni zootecniche necessarie per fornire prodotti di origine animale. È improbabile che questo scenario si realizzi, per il tremendo impatto ambientale che potrebbe avere, anche in termini di emissioni climaalteranti e di sottrazione di risorse boschive da trasformare in seminativi (già oggi per necessità e convenienza economica la produzione estensiva la pascolo sta scomparendo sostituita dai feed-lots), serve tuttavia, insieme alla nozione che vaste aree agricole sono utilizzate per produzioni energetiche in tutto il mondo(anche dove la convenienza energetica è dubbia), a confrontarci con la realtà di un sistema non orientato ai bisogni alimentari della gente.

Siamo dunque di fronte a un sistema globale, incapace di assicurare la sicurezza alimentare su scale globale. anche se apparentemente in Europa gli obiettivi fissati nel trattato di Roma e riproposti acriticamente uguali nel Trattato di Funzionamento dell’Unione appaiono raggiunti.  Lo sono stati a prezzo del sacrificio di altre necessità più urgenti, che nel tempo hanno sostituito le urgenze dell’epoca del Trattato.  Oggi la Nuova Commissione è corsa ai ripari proponendo un pacchetto di misure che senz’altro possono aiutare a superare le assurdità di un sistema di aiuti che sembra aiutare chi non dovrebbe e lascia irrisolti i veri nodi del problema.
Questa è la parte buona.  Il cattivo è la reazione della politica anche italiana che vuole mantenere il vecchio sistema perché remunerativo e politicamente pagante, sul breve periodo.  .  Sul lungo periodo siamo tutti morti diceva (o si diceva dicesse) John Maynard Keynes, ma i problemi sono tali che rischiamo di sopravvivere alla nostra civiltà. Oggi come sempre, per l’uomo come per qualsiasi essere vivente nutrirsi è l’attività più pericolosa.  Dovremmo ricordarcelo e avere rispetto per il mondo che ci nutre.

Riferimenti
1.    https://ec.europa.eu/food/farm2fork_en , https://www.eca.europa.eu/Lists/ECADocuments/SR20_13/SR_Biodiversity_on_farmland_IT.pdf;
2.    https://ec.europa.eu/environment/nature/biodiversity/strategy/index_en.htm; https://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:a3c806a6-9ab3-11ea-9d2d-01aa75ed71a1.0009.02/DOC_1&format=PDF;
3.    https://www.eca.europa.eu/en/Pages/DocItem.aspx?did=53892;
4.    Hallmann et al: More than 75 percent decline over 27 years in total flyng insect biomass in protected area, https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0185809;
5.    Robinson et al: Post war changes in arable farming and biodiversity in Great Britain, Journal of applied ecology, 2002 39, pagg. 157-176;
6.    https://www.aiccre.it/wp-content/uploads/2017/08/manifesto-di-ventotene.pdf;
7.    Eric J. Hobsbawm: Il secolo breve.  Bur Rizzoli 2000-2006 pp. 283-286;
8.    Giuseppe Galasso: Storia d’Europa.  Laterza 2001 pag. 961 e succ;
9.    http://www.politicheeuropee.gov.it/media/3284/il-trattato-cee-di-roma.pdf;
10.    https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:12012E/TXT:IT:PDF;
11.    https://www.europarl.europa.eu/factsheets/it/section/196/la-politica-agricola-comune-pac;
12.    https://www.nytimes.com/2019/11/03/world/europe/eu-farm-subsidy-hungary.html;
13.    Fonte: https://www.clal.it/?section=export_grana;
14.    https://slakner.wordpress.com/2020/06/17/is-food-security-a-relevant-argument-against-environmental-measures-in-the-eu/;
15.    ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) Rapporto sulla competitività dell’agroalimentare italiano 2017.
16.    https://www.isprambiente.gov.it/files2019/pubblicazioni/rapporti/RAPPORTOSPRECOALIMENTARE_279_2018.pdf  (pag. 64);
17.    https://www.lastampa.it/tuttogreen/2018/07/09/news/tanti-troppi-pesticidi-sulle-vigne-del-prosecco-1.34030631;
18.    M. Bartoli, E. Racchetti et al: Nitrogen balance and fate in a heavily impacted watershed (OglioRiver, Northern Italy): in quest of the missing sources and sinks Biogeosciences, 9, 1–13, 2012 www.biogeosciences.net/9/1/2012/;
19.    Osservazioni della Federazione Nazionale Pro Natura riguardanti Il Rapporto Preliminare VAS sul Programma d’Azione Regionale Nitrati 2020-23 per la tutela e il risanamento delle acque dall’inquinamento causato da nitrati di origine agricola per le aziende localizzate in Zone Vulnerabili;
20.    Ns elaborazione su dati ISTAT: http://dati.istat.it/OECDStat_Metadata/ShowMetadata.ashx?Dataset=DCSP_LATTE&ShowOnWeb=true&Lang=it;
21.    https://www.epicentro.iss.it/aviaria/epidemiologia;
22.    Big Farm Mag Big Flu, R. Wallace, Monthly Review Press;
23.    April Howard for Sustainable Agricolture in Paraguay in Fred Magdoff and Brian Tokar In Agriculture and Food in Crisis, pagg.189-206;
24.    Michael Carolan: The Sociology of Food and Agriculture Routledge, Taylor and Frances Group;
25.    http://roape.net/2020/04/23/the-agricultural-model-killing-the-world;
26.    Colin Tudge: How to raise livestock–and how not to. In The Meat Crisis,a cura di J. Da Silva e J Webster ed Earthscan, 2010.

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