Ripensare la mobilità e puntare sull'elettrico
Riccardo Graziano
Il 2020 verrà ricordato nelle cronache come annus horribilis, funestato da una pandemia di portata planetaria. Al tempo stesso, possiamo considerarlo un anno di svolta. Sono infatti in parecchi a ritenere che dopo questa drammatica esperienza il mondo non potrà più essere come prima. Ciò è vero sotto molteplici aspetti, tra cui quello della mobilità.
È possibile che, una volta usciti a fatica dall’emergenza sanitaria, dovremo abituarci a un mondo ridimensionato: la produzione industriale vedrà una marcata flessione, così pure probabilmente gli scambi commerciali e gli spostamenti in genere. Non possiamo infatti dimenticare che un’epidemia nata in Cina si è propagata per tutto il pianeta con una rapidità un tempo impensabile, a causa della globalizzazione che favorisce o addirittura impone un vorticoso spostamento di merci e persone. All’opposto, il rimedio più efficace per contenere il contagio è stato ridurre gli spostamenti. Finita la fase emergenziale, dovrebbe apparire dunque chiaro come occorra comunque ridurre gli scambi globali, tornando a filiere locali che avvicinino produzione e consumo, riducendo le necessità logistiche dettate dall’attuale modello mercantilista.
La riduzione degli spostamenti deve essere poi attuata anche a livello locale. Nei giorni di blocco forzoso imposti dalla quarantena abbiamo sperimentato le ampie possibilità del telelavoro, dell’istruzione da casa, delle conferenze e dibattiti da remoto, restando tranquillamente nelle proprie abitazioni, senza perdere ore nel traffico. Abbiamo capito che tutto ciò è più comodo, più efficiente, più economico. E abbiamo riscontrato che può produrre una riduzione dell’inquinamento con una rapidità e un’ampiezza che non immaginavamo.
Naturalmente, è impensabile continuare così sul lungo periodo: scuole, uffici, fabbriche dovranno riaprire, le persone dovranno tornare a muoversi. Ma con una visione differente, sapendo che molti spostamenti potranno essere evitati, semplicemente collegandoci da casa tramite internet. Ne potrebbe conseguire una sensibile diminuzione del traffico privato, tale da favorire una valorizzazione del trasporto pubblico o della mobilità ecologica. Per capirci, un autobus non più imbottigliato nel traffico sarebbe in grado di portarci a destinazione in metà tempo, mentre potremmo (ri)scoprire la comodità e l’economicità di andare in giro in bici con maggiore sicurezza.
Nel frattempo, dovremmo rompere gli indugi e mettere compiutamente in atto quella transizione ormai avviata verso la mobilità elettrica, impiegando tempo e risorse per adeguarci rapidamente a un cambiamento inevitabile, piuttosto che per cercare di posticiparlo forzosamente. Prima che lo scoppio dell’epidemia stravolgesse ogni aspetto del nostro vivere, i segnali erano inequivocabili: dalle dichiarazioni degli addetti ai lavori all’interesse degli automobilisti, passando per le pubblicità, nella quali auto ibride ed elettriche comparivano regolarmente, tutto faceva capire che la direzione era quella. Anche il Salone di Ginevra, che a causa dell’epidemia già serpeggiante in Europa, si era svolto solo in modalità “virtuale”, aveva presentato svariati modelli con propulsione elettrica.
Dopo la quarantena, sia il Governo italiano che l’Unione Europea hanno deciso di puntare sulla mobilità elettrica, stanziando fondi ed emanando normative ad hoc. Analizziamo dunque le prospettive di questa tecnologia ormai avviata verso una fase matura, evidenziando i suoi (molti) pro e (pochi) contro.
Dopo anni di ostracismo, fomentato dalle case automobilistiche tradizionali e dalle compagnie petrolifere che vedevano nell’auto elettrica un grave pericolo per i loro interessi miliardari, ora questo nuovo paradigma della mobilità sta prendendo piede e, nonostante resistenze preconcette e una inevitabile inerzia iniziale, arriverà a rivoluzionare il nostro modo di muoverci.
Intendiamoci: la mobilità elettrica non è e non sarà la panacea di tutti i mali, ma può produrre un sensibile miglioramento nella lotta all’inquinamento e al riscaldamento globale, grazie all’assenza di emissioni allo scarico e alla superiore efficienza rispetto ai motori termici. Argomenti che vale la pena approfondire, perché su questo c’è molta disinformazione, spesso voluta e non certo disinteressata.
Il testo di riferimento in materia è senz’ombra di dubbio la “Roadmap per la mobilità sostenibile”, pubblicato nel maggio 2017 sotto l’egida congiunta di tre Ministeri - Ambiente, Infrastrutture e Trasporti, Sviluppo Economico - alla cui stesura hanno partecipato tutti i “portatori di interesse”, compresi costruttori di auto e aziende petrolifere, oltre a produttori di energia, organizzazioni ambientaliste, enti statali e altro ancora. Dunque una pubblicazione che tiene conto di tutti i punti di vista e i cui dati possono essere assunti come certi e imparziali.
Per quanto riguarda gli inquinanti, vengono considerati più rilevanti il monossido di carbonio (CO), gli ossidi di azoto (NOx) e le polveri sottili (PM10 e PM2,5), misurati su cicli distinti individuati dalle sigle WTT (Well-to-Tank, dalla fonte al serbatoio), TTW (Tank-to-Wheel, dal serbatoio alle ruote) e WTW (Well-to-Wheel, in pratica la somma dei primi due). Prendendo in considerazione il ciclo TTW, ovvero quello che misura le emissioni delle automobili in marcia, pertanto il più rilevante per quanto riguarda l’inquinamento nei centri urbani, scopriamo che i motori a benzina, gpl e metano emettono molto più monossido di carbonio dei diesel, mentre questi ultimi emettono più ossidi di azoto e polveri sottili, particolarmente insidiose per la salute dei cittadini, fermo restando che le motorizzazioni più recenti hanno in generale emissioni inferiori rispetto a quelle dei motori più obsoleti.
All’opposto, i veicoli elettrici, semplicemente, NON hanno emissioni. Dal loro tubo di scappamento non esce nulla. Anzi, nemmeno ce l’hanno, il tubo di scappamento. Per questo possiamo dire che non è un semplice miglioramento dell’esistente, è proprio un radicale cambio di paradigma, come quando siamo passati dall’illuminazione con le candele alle lampadine. Con questa nuova tecnologia a disposizione, non ha più senso spendere milioni in ricerche tecnologiche per migliorare i motori termici, conviene invece investire per riconvertire le filiere alla produzione di veicoli elettrici.
E non è un caso se utilizziamo il termine “veicoli”. Perché è la stessa automobile intesa come mezzo di trasporto privato che verrà messa in discussione, in un mercato che sta lentamente transitando dalla mentalità del “possesso” a quella del “servizio”. Una modalità nuova, che abbiamo iniziato a conoscere col car-sharing, una delle nuove forme di mobilità condivisa, formula con la quale non si acquista più un mezzo proprio, ma la possibilità di utilizzarlo quando serve. Un passaggio necessario, perché la riduzione dei mezzi di trasporto individuali è fondamentale per abbattere gli inquinanti e rendere più vivibili le nostre città. Perché è vero che un’auto elettrica inquina infinitamente meno di una col motore a scoppio ed è anche più silenziosa, ma tiene lo stesso spazio nella circolazione e nei parcheggi. Meglio dunque incentivare il trasporto pubblico, purché sia ovviamente a sua volta elettrificato, sostituendo al più presto gli obsoleti bus a combustibili fossili.
Tornando alla mobilità individuale, non possiamo scordare che una parte rilevante del PM, il particolato fine che si insinua nei nostri polmoni, deriva dall’usura, sia quella provocata sulle “pastiglie” dall’utilizzo dei freni, sia quella degli pneumatici (e dello stesso asfalto) provocata dal rotolamento delle ruote. Problemi dai quali non sono esenti nemmeno le auto elettriche, che però godono di un enorme vantaggio, quello della frenata rigenerativa, che consente il recupero dell’energia cinetica come ricarica delle batterie, anziché dissiparla sotto forma di calore come avviene nei veicoli tradizionali. Un altro punto a vantaggio delle auto elettriche.
Ma prima ancora di tutto ciò c’è un altro aspetto fondamentale che fa pendere la bilancia verso il motore elettrico rispetto a quello a scoppio, cioè il suo miglior rendimento assoluto, ovvero la capacità di sfruttare meglio l’energia. I rendimenti dei motori termici migliori si attestano intorno al 30% per i benzina e 40% per i diesel, mentre i motori elettrici possono superare il 90%. Si tratta dunque di un sistema più efficiente di utilizzo dell’energia, che consente il risparmio sui consumi e di conseguenza minori emissioni inquinanti.
Naturalmente, sono in molti a far notare che l’energia elettrica occorre prima produrla. E qualcuno arriva addirittura a dire che se la si produce col carbone si inquina ancora di più che coi motori a scoppio. Indice di una mentalità fossile - nel senso di ancora troppo legata ai combustibili fossili – analoga a quella che non molti anni fa asseriva che le fonti rinnovabili “non potevano essere competitive”. Invece oggi sappiamo che lo sono, perché coprono ormai circa un terzo del fabbisogno energetico del nostro Paese e hanno anche raggiunto la grid parity, ovvero il pareggio di costo rispetto alle fonti fossili, come certificato a fine ottobre 2019 da Bloomberg, specializzato in stime finanziarie.
E a proposito di finanze, qualcuno ha iniziato a fare i conti su un parco vetture ormai significativo, giungendo a concludere che l’auto elettrica, a fronte di un maggiore esborso iniziale, consente risparmi notevoli, in grado di ammortizzare in pochi anni la differenza con i corrispettivi modelli termici. Un dato rilevante, perché sappiamo che nelle scelte di molti consumatori pesa più il portafoglio della coscienza ambientale o delle preoccupazioni per la salute collettiva.