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Tempesta sulla duna di Feniglia

Una delle più belle pinete italiane è stata danneggiata dal tornado del 16 novembre

Gianni Marucelli

Nella notte tra il 16 e il 17 novembre 2019, proprio nelle ore in cui il maltempo determinava una situazione di emergenza a Venezia e in altre zone d'Italia, un vero e proprio tornado si è abbattuto sulla Riserva Naturale della Duna di Feniglia (Orbetello), devastando quella che è considerata da molti una delle più belle pinete del nostro Paese.
Le riprese effettuate da un drone mostrano un triste spettacolo, divenutoci ormai da qualche anno familiare in conseguenza degli eventi estremi provocati dai cambiamenti climatici: grandi alberi divelti dalle radici o stroncati a metà dalla violenza del vento, i cui tronchi giacciono a terra, l'uno sull'altro, in una sorta di gigantesco gioco dello Shangai, che avevamo veduto, in scala assai più ampia, sulle Alpi tridentine e venete colpite dalla tempesta Vaia dell'ottobre 2018, oppure, qualche anno fa ed ancora in Toscana, nella splendida Foresta di Vallombrosa, in cui furono abbattute dal vento decine di migliaia di conifere (douglasie e abeti bianchi, in prevalenza).
Rispetto a questi due disastri, i danni nella pineta di Feniglia sono limitati: un migliaio circa di alberi d'alto fusto divelti o stroncati, più, naturalmente, il relativo sottobosco. Per le limitate dimensioni di questa pineta di pino domestico, però, si tratta di una ferita assai grave, che richiederà decenni per essere sanata.

La Duna di Feniglia è il cordone di terra, o tombolo, che delimita a sud la Laguna di Orbetello, una zona umida di primaria importanza sulle coste della Toscana; l'altro tombolo “gemello”, a nord, è quello della Giannella. Ambedue collegano il promontorio dell'Argentario al litorale tirrenico.
Più di tre secoli fa, su queste spiagge fu trovato, morente, uno dei più grandi interpreti della pittura italiana d'ogni tempo, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, abbandonato dalla barca da pesca che doveva condurlo sulle coste laziali.
Se questo evento è conosciuto da molti, assai meno risaputo è che, in quell'epoca, i due tomboli dovevano essere solo cordoni di sabbia coperti di vegetazione in prevalenza arbustiva, ossia lentisco, erica, fillirea, rosmarino, ginepro e altre specie tipiche della macchia mediterranea, con presenza di lecci, sughere, roverelle e ornielli in varie proporzioni. Per secoli la popolazione locale esercitò su questa zone i diritti collettivi di pascolo, legnatico, caccia e un po' di pesca, finché il Comune, a inizio Ottocento, non la vendette a privati, che la sfruttarono così intensamente da ridurla, in pochi decenni, a una landa spoglia, le cui sabbie minacciavano di interrare l'adiacente laguna.
Il pericolo di mandare in malora la fiorente attività di pesca in laguna, e il diffondersi della malaria, furono avvertiti dall'Amministrazione comunale di Orbetello, che decise di provvedere a consolidare, con il rimboschimento, la duna deserta. Ma l'opera era parecchio costosa, e nell'ultimo decennio del secolo XIX si decise di ricorrere all'autorità dello Stato, che, agli albori del nuovo secolo,emanò un'apposita legge (22.3.1900 n.195), demandando all'Amministrazione forestale il compito di eseguire i lavori; questa stilò un progetto che venne inizialmente finanziato con £ 262.000, un importo più o meno pari a un milione di euro.
Fu necessario, prima, procedere all'esproprio dei terreni privati, e solo nel 1913 fu possibile iniziare il lavoro.
Non fu affatto semplice, né banale, realizzare opere in graticciato per fermare lo smottamento delle sabbie, e poi, utilizzando le stesse, costruire una specie di cordolo a difesa delle superfici interne; nelle quali si sarebbero in seguito realizzate altre graticciate parallele alla prima, ed altre ancora, ad esse ortogonali, così da creare un reticolo fitto entro il quale seminare e far crescere il bosco. Il tutto per un fronte assai vasto, di circa 5 km, e per una profondità variabile da 500 metri a più di un chilometro.
Esistono ancora rare foto, scattate tra il 1912 e il 1928, dove è possibile apprezzare la desolazione del tombolo di allora, sul quale le piante originarie erano quasi del tutto scomparse.
Per il rimboschimento vero e proprio furono necessari circa 28 anni (terminò più o meno all'inizio del secondo conflitto mondiale): molte specie furono impiegate per “fissare” le dune (ginepro, lentisco, tamerice, euforbia, psamma, canna palustre, ecc.), altre per creare il bosco vero e proprio (pino domestico in prevalenza, ma anche pino marittimo, acacia, cipresso, olmo, pioppo canadese). L'impianto ebbe successo, ed al giorno d'oggi le piante sopravvissute al tornado hanno un'età che varia dai 75 ai 100 anni. Il sottobosco è abbondante e vigoroso, e in esso prospera una ricca fauna costituita da ungulati (daini, caprioli, cinghiali), istrici, lepri, scoiattoli, ghiri, svariati tipi di uccelli (quelli palustri, tra cui il cavaliere d'Italia, ovviamente dal lato della laguna).

Una strada sterrata, su cui è consentito l'accesso solo ai mezzi di servizio, percorre da un capo all'altro la Riserva, fiancheggiata da una serie di sentieri che permettono di andare dal mare alla laguna e viceversa. La spiaggia è libera, vi sono solo un paio di bagni organizzati, così come è libero l'accesso alla Riserva; passeggiare in quest'area boscosa e pianeggiante, col rumore della risacca dal mare e i richiami delle anatre dalla laguna,  per noi rappresenta una delle esperienze più rilassanti che sia dato vivere!
Dopo la tempesta, la priorità è senz'altro quella di rimuovere le piante cadute, per evitare che i tronchi diventino dimora di parassiti che attaccherebbero quelle ancora sane. Si dovrà quindi procedere a ricomporre il tessuto arboreo, ma per quello ci vorrà tempo e pazienza!

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