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Un Pianeta artificiale

Riccardo Graziano

Nel 2020 la massa delle “cose” artificiali prodotte dall’uomo ha raggiunto lo stesso livello della biomassa naturale. E negli ultimi mesi è probabilmente avvenuto il sorpasso. In altre parole, il peso delle nostre costruzioni – in primo luogo gli edifici di cemento, ma anche mezzi di trasporto, elettronica, vestiario ecc. – ha superato il peso di tutti gli animali e di tutta la vegetazione presenti sul pianeta. Di fatto, la Terra è oggi più artificiale che naturale, situazione che mostra in maniera evidente l’appropriatezza del termine “Antropocene” per definire la nostra epoca, anzi meglio la nostra Era.
In effetti, un simile cambiamento è qualcosa che non avviene nell’arco di una vita o di un periodo storico, ma letteralmente in un’era geologica, e la causa di tale cambiamento è antropica, da cui appunto la designazione di “Antropocene” applicabile all’era attuale, sul cui inizio non c’è accordo unanime fra gli studiosi, ma che vede nella nostra epoca, a partire dal XX secolo, il suo culmine in termini di impatto sul pianeta.

Queste considerazioni derivano dai dati contenuti in uno studio condotto da un team del Weizmann Institute of Science a Rehovot (Israele), coordinato dal professor Ron Milo, di cui è stata pubblicata qualche mese fa una sintesi sulla prestigiosa rivista scientifica “Nature”.
Lo studio quantifica la biomassa, ovvero il peso di tutte le creature viventi del pianeta (animali terrestri e marini, vegetazione, microorganismi) intorno a 1,1 trilioni di tonnellate, quantità rimasta relativamente stabile nel corso degli ultimi decenni. Al contrario, le costruzioni e gli oggetti prodotti dall’uomo sono cresciuti progressivamente nel corso della storia, con un incremento smisurato nell’ultimo secolo, esattamente quello oggetto dello studio in questione, che analizza la produzione umana dal 1900 a oggi.
La stima dei ricercatori ci dice che, all’inizio del XX secolo, i manufatti artificiali erano quantificabili in 35 miliardi di tonnellate, all’incirca il 3% della biomassa naturale. Nel 2020 si è arrivati al pareggio, 1.100 miliardi di tonnellate naturali a fronte di altrettante artificiali, con la differenza che, mentre le prime permangono sostanzialmente invariate, queste ultime aumentano incessantemente di 30 miliardi di tonnellate all’anno. In pratica, con gli attuali ritmi produttivi, ogni anno aggiungiamo una quantità di massa artificiale equivalente a quella che l’umanità aveva prodotto nell’arco di tutta la storia fino al 20° secolo, un ritmo di crescita evidentemente insostenibile. È come se ogni persona vivente costruisse, ogni settimana, una massa artificiale superiore al proprio peso.

La parte del protagonista è appannaggio del cemento – e noi in Italia siamo un esempio lampante, con la nostra bulimia costruttiva che divora due metri quadri di terreno al secondo – seguito dagli altri materiali da costruzione. Se la tendenza attuale dovesse proseguire, cosa assai probabile vista la continua spinta all’edificazione di edifici e infrastrutture spesso inutili,  la previsione è che nell’arco di soli due decenni i fabbricati peseranno più del doppio della massa dei viventi. Una prospettiva allucinante per chi si occupa di difesa dell’ambiente, ma che dovrebbe allarmare anche il cittadino medio e allertare i decisori politici per convincerli a cambiare impostazione. Ma per ora non si intravedono segnali in questo senso: la legge per arrestare il consumo di suolo giace abbandonata in Parlamento da quattro anni, mentre per accelerare la “ripresa” post-Covid si è già alzato il solito coro dei sostenitori di “nuove infrastrutture”, un mantra che si ripete incessante da decenni.

Come se la situazione non fosse già abbastanza preoccupante dal punto di vista quantitativo, anche i dati qualitativi contribuiscono a rendere ancora più fosco lo scenario. Il 90% della biomassa risulta infatti composto da piante e nel complesso è relativamente stabile, nel senso che la crescita di vegetazione stimolata dagli elevati livelli di anidride carbonica in atmosfera è equiparabile alla massa perduta a causa della massiccia deforestazione, ma è evidente che la perdita di habitat caratterizzati da elevata biodiversità non può essere compensata da alberi e arbusti ricresciuti su terreni incolti o abbandonati. Inoltre, vale la pena sottolineare che la biomassa vegetale era probabilmente il doppio di quella attuale, prima che, con l’avvento dell’agricoltura, l’uomo iniziasse una progressiva opera di disboscamento per fare spazio alle sue coltivazioni, circa 12.000 anni fa, periodo nel quale alcuni studiosi individuano appunto l’inizio dell’Antropocene, che altri situano invece all’epoca della Rivoluzione industriale.
Inoltre, ci sono un altro paio di dati che rendono l’idea dell’alterazione qualitativa della biomassa. L’insieme degli esseri umani è al secondo posto in termini di peso fra le specie viventi, secondi soltanto all’insieme dei bovini da allevamento. E subito dopo di noi ci sono i suini. Più in generale, il peso degli umani e del loro bestiame è quasi 20 volte superiore a quello di tutti gli altri mammiferi e uccelli selvatici presenti sul pianeta. Quanto alla plastica, della cui invasività iniziamo finalmente a renderci conto, il suo peso è ormai superiore a quello di tutti gli animali terrestri e marini messi insieme.

A fronte di dati come questi, sarebbe il caso di iniziare una profonda riflessione sul nostro modello di “sviluppo” basato sulla crescita continua, perché dovrebbe essere evidente che un pianeta sempre più artificiale non può essere sostenibile e non è un buon posto per vivere, ammesso che sia ancora vivibile.

Fonte: https://www.nationalgeographic.com/environment/2020/12/human-made-materials-now-equal-weight-of-all-life-on-earth/

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