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Nature Restoration Law, la legge per il Ripristino della Natura

Riccardo Graziano

 

Il 17 giugno l’Unione Europea ha approvato la Nature Restoration Law, la legge per il ripristino della Natura, dopo un percorso complesso e travagliato, reso difficoltoso dall’opposizioni di vari Stati membri. Il punto di svolta è stato il cambio di indirizzo da parte della ministra dell’Ambiente austriaca Leonore Gewessler la quale, in contrasto con il suo stesso governo, ha deciso di appoggiare il provvedimento, permettendo di raggiungere la maggioranza qualificata di 15 paesi e almeno il 65% dei voti a favore della legge. A opporsi all’approvazione soltanto Italia, Ungheria, Paesi Bassi, Polonia, Finlandia e Svezia, in pratica i Paesi dove governano le Destre, che si sono mostrate fin da subito profondamente ostili al progetto, mettendo in campo una campagna di disinformazione vastissima, che paventava una serie di ricadute economiche negative in caso di approvazione. Al contrario, la legge è stata fortemente sostenuta dalla società civile, con in testa le organizzazioni ambientaliste - promotrici di una petizione che ha raccolto oltre un milione di firme – affiancate da 6mila scienziati, decine di imprese, anche di grandi dimensioni, consapevoli delle opportunità economiche aperte dalla conversione ecologica, oltre a centinaia di associazioni sparse in tutta Europa, di cui 32 in Italia (Actionaid, AIDA - Associazione Italiana di Agroecologia, AITR - Associazione Italiana Turismo Responsabile, Altura, Apinicittà aps, CIPRA, CIRF - Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale, Cittadini per l'Aria, CIWF Italia, ENPA, Federbio, Forum Salviamo il Paesaggio - Difendiamo i Territori, Free Rivers, Greenpeace Italia, ISDE- Medici per l’Ambiente Italia, Italia Nostra, LAV, Lega abolizione caccia – LAC, Legambiente, Leidaa, Lipu – BirdLife Italia, MareVivo, Mountain Wilderness, OIPA, Pro Natura, Rete Semi Rurali, Slow food Italia, Terra!, The good lobby, Touring Club Italiano, VAS - Verdi Ambiente e Società, WWF Italia).

La Nature Restoration Law è un nuovo, fondamentale tassello della strategia europea nota come New Green Deal e si inserisce nel solco di altri due provvedimenti basilari delle politiche ambientali UE varati ormai da tempo, le direttive Habitat e Uccelli, la cui applicazione ha portato alla creazione dei siti protetti appartenenti alla Rete Natura 2000, sui quali non a caso si concentreranno i primi interventi. La legge nasce infatti dalla constatazione che le sola protezione “formale” della Natura non basta più. Uno studio dell’Agenzia Europea dell’Ambiente pubblicato nel 2020 ha infatti reso noto che solo il 15% degli habitat presenti nel continente gode di uno stato di conservazione “buono”, a fronte di un 45% giudicato “inadeguato” e un 36% addirittura “cattivo”, oltretutto con una tendenza ad ulteriori peggioramenti. Senza contare che per alcuni siti lo stato di conservazione è semplicemente “sconosciuto”, fattore che mette in luce una preoccupante mancanza di controlli, verifiche e ricerche sull’Ambiente, settore evidentemente ritenuto (finora?) di scarsa valenza strategica.

La nuova direttiva prevede quindi l’obbligo di ripristinare almeno il 30% degli habitat in cattive condizioni entro il 2030, il 60% entro il 2040 e il 90% entro il 2050, ponendo anche attenzione a che tale ripristino sia durevole e non permetta un nuovo degrado delle zone soggette a intervento. Questo obbligherà gli Stati membri - compresi quelli che si sono opposti all’adozione del provvedimento, inclusa l’Italia – a dotarsi in breve tempo di piani strategici che indichino nel dettaglio quali misure (e relative coperture finanziarie) intendono adottare per porre in atto tali ripristini, visto che la normativa europea appena approvata è vincolante per tutti i Paesi dell’UE.

Tra i primi habitat su cui si prevede di intervenire ci sono le torbiere, fra i siti in generale più compromessi, che dovranno essere ripristinate almeno per il 30% entro il 2030 e per il 50% entro il 2050. Allo stesso tempo si dovrà iniziare a intervenire sui fiumi, ripristinando almeno 25.000 chilometri a scorrimento libero, eliminando barriere e argini, misura che nel nostro Paese, densamente popolato e a forte rischio idrogeologico, risulterò senz’altro complessa e prevedibilmente con fortissime opposizioni. Una particolare attenzione viene anche riservata alla tutela degli insetti impollinatori, il cui declino non è solo preoccupante in termini di biodiversità, ma anche per le ripercussioni che la mancanza della loro azione potrebbe avere sulla produzione di derrate alimentari. E sempre nel settore dell’agricoltura verranno valutati i progressi nella rinaturalizzazione in base al miglioramento di almeno due dei tre parametri individuati come indicatori di biodiversità: abbondanza di specie e numero di farfalle; quantità di materia organica presente nel suolo e relativa capacità di stoccare carbonio; percentuale di superficie agricola con elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità, quali siepi, filari di alberi, terreni a riposo, fossati, terrazzamenti con muretti a secco e così via. Inoltre, si prevede di mettere a dimora tre miliardi di alberi entro il 2030. Per quanto riguarda le città, si punta sull’arresto del consumo di suolo a scapito delle aree verdi, anzi si prevede l’ampliamento di queste ultime e un contestuale aumento della copertura arborea, una delle tante misure atte a mitigare l’effetto “isola di calore” che caratterizza i centri urbani.

La speranza è che l’adozione di tutte queste misure serva a tutelare (e incrementare) la biodiversità ancora presente in un continente altamente antropizzato e contribuisca a rallentare il decorso dei mutamenti climatici in atto o, almeno, a mitigarne gli effetti.
Basterà?

Quel che è certo è che la situazione di partenza è sensibilmente compromessa, tale da far svegliare persino le istituzioni europee, ma non abbastanza da convincere i negazionisti climatici, annidati nelle Destre europee e fra i loro elettori, in costante aumento grazie anche a efficaci strategie comunicative che parlano “alla pancia” delle persone, amplificandone le paure e le insicurezze e individuando poi nelle politiche ambientali il nemico da abbattere. Il che porta agevolmente a prevedere che, dopo la lunga battaglia per l’approvazione della Nature Restoration Law, assisteremo a una serie di scontri altrettanto radicali nel momento in cui si cercherà di applicarla. È facile immaginare cortei di trattori diesel fumanti con sopra agricoltori che rifiutano di piantare una siepe in mezzo ai loro campi coltivati in maniera intensiva, o che insistono pervicacemente nell’uso dei concimi chimici piuttosto che di quelli organici. È ancora più facile immaginare l’opposizione di interi territori alla rinaturalizzazione di un fiume che abbia provocato esondazioni negli ultimi anni, con le popolazioni locali che all’opposto chiedono argini faraonici, e così via. Opposizioni che saranno puntualmente cavalcate dalla parte politica avversa al cambiamento per ottenere deroghe, rinvii ed eccezioni che, alla fine, avranno l’esito di depotenziare notevolmente i possibili effetti positivi della direttiva emanata dall’UE.

E pensare che molti studi ormai ci dicono che ogni euro investito in tutela ambientale è in grado di produrre un ritorno economico almeno cinque volte superiore. Dunque la conversione ecologica non è solo un imperativo urgente per scongiurare il declino ambientale del pianeta e l’avvento di mutamenti climatici devastanti, ma è anche un affare dal punto di vista economico e occupazionale. Insomma, un vantaggio sotto tutti i punti di vista. Eppure, pare non si riesca a far passare questo semplice messaggio, anzi l’opinione pubblica diventa sempre più ostile a qualunque politica in favore dell’Ambiente. Un problema serio, perché rischiamo di accorgerci dell’errore quando sarà troppo tardi. L’auspicio è che questa nuova direttiva europea consenta un cambio di direzione graduale e progressivo.

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