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Piante minacciate. Situazione nell’Italia nordorientale

Cesare Lasen

Introduzione
Il nostro pianeta soffre di febbre alta (espressione anche del pontefice Francesco I in Laudato si’) e continua a inviarci segnali inconfutabili attraverso la sempre maggiore frequenza e intensità di eventi estremi. La crisi climatica sta emergendo come il problema dei problemi e molti scienziati (i negazionisti sono ormai un nucleo insignificante e possono essere facilmente smentiti -come fa lo stesso pontefice nella Laudate Deum) concordano sull’estrema urgenza di assumere decisioni coraggiose e non dilatorie. Le conseguenze di tale crisi si manifestano in diversi settori e con differenti livelli di gravità. Non si tratta solo di analizzare e considerare gli aspetti ecologici in senso stretto, posto che la negatività investe ambiti sociali, economici e sanitari. Sarebbe un grave errore continuare a pensare che i problemi ecologici siano marginali e che altre siano le vere priorità: lavoro, crescita, benessere, ricerca della pace; tutti obiettivi nobili e condivisibili naturalmente. Oggigiorno questi diversi temi sono connessi strettamente e gli attuali conflitti, e la stessa pandemia da Covid19, non sono estranei a una matrice che affonda le radici nel continuo sconvolgimento degli equilibri ecosistemici in tutta la biosfera. Già prima dell’acuirsi di questa crisi globale, peraltro, le risorse naturali (che sono finite e rappresentano un bene non rinnovabile -se non in tempi assai lunghi) erano oggetto di continue pressioni al punto da determinare l’estinzione di numerose specie (animali, vegetali e anche organismi di altri regni meno indagati). I dati sono scientificamente indiscutibili e non il frutto di manipolazioni ideologiche, come spesso si argomenta da parte di politici e portatori di interessi economici.
In questo contributo, limitando l’attenzione alla flora vascolare, si proverà a fare un check sulla situazione delle specie minacciate nelle regioni alpine dell’Italia nordorientale.

Liste Rosse
A partire dall’inizio del millennio, e a seguito di prime liste nazionali, partendo dagli indirizzi suggeriti dalla convenzione sulla Biodiversità di Rio de Janeiro (1992), in alcune regioni sono stati avviati censimenti che hanno portato alla stesura di liste rosse locali (in tal senso le due province autonome di TN e BZ vanno considerate alla stessa stregua delle Regioni). Quasi sempre si è trattato di lavori frutto di appassionati e del volontariato supportati poi, per le fasi di stampa, dalle istituzioni. Il primo elenco pubblicato su scala regionale è quello del Trentino (Prosser, 2001) resa possibile dalla notevole mole di segnalazioni confluite nel progetto di cartografia floristica che è stato concepito e poi condotto esemplarmente dal Museo Civico di Rovereto. Lo status delle singole specie minacciate è stato definito secondo le regole internazionali della IUCN. Esse, utile ricordarlo, consistono in livelli di minaccia.
CR gravemente minacciate (critically endangered)
EN minacciate (endangered)
VU (vulnerabili)
NT (quasi a rischio)
Con la sigla LC (Least Concern) si “promuovono” le entità che al momento non risultano correre rischi, pur non essendo necessariamente fra le più comuni. Inoltre, con DD (Deficient Data) si indicano specie per le quali non si dispone di conoscenze adeguate (spesso appartenenti a gruppi critici o tassonomicamente ancora non ben precisate). Non mancano, purtroppo va detto, le entità considerate EX (estinte) o RE (estinte su base regionale). La procedura di assessment per definire lo status si fonda su vari criteri, assai complessi da riassumere e che riportano stime quantitative in verità non semplici da acquisire, al punto che alla fine è necessario ricorrere, in sostanza, al cosiddetto “Giudizio Esperto”. Esse tengono conto del numero e della consistenza delle popolazioni, delle dimensioni dell’areale e, soprattutto, del trend evolutivo osservato negli ultimi decenni, in particolare alla riduzione più o meno significativa delle popolazioni (e alla velocità di tale fenomeno).
Sulla base dell’esperienza diretta acquisita sul campo, si ritiene di premettere che risultano più importanti e interessanti le stime effettuate su base locale/regionale piuttosto che quelle su territori più ampi (da una nazione all’intero pianeta).

Stato delle conoscenze
La lista relativa alle specie a rischio su scala planetaria viene aggiornata ogni anno e si può scaricare dalla rete cliccando su IUCN. In proposito esistono delle convenzioni internazionali che riportano altre liste (ad esempio quella di Berna, o quella relativa all’allegato II (e IV di minore rilevanza) del sistema di Natura 2000. Il tema delle liste rosse si è storicamente palesato a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso, con alcuni storici e fondamentali lavori (Conti, Manzi & Pedrotti 1993, 1997; AA.VV., 2001). Un apposito Gruppo di lavoro della Società Botanica Italiana ha pubblicato nelle sue riviste, vari contributi definendo, appunto, l’assessment delle specie più a rischio perché rientranti negli elenchi internazionali -le cosiddette Policy Species- oppure perché endemiche, allargando successivamente l’attenzione a quelle ritenute rare o di maggiore interesse (Rossi et al., 2008, 2013, 2020). Sarebbe eccessivo, per il nostro contributo, nominare tutti i contributi e, in considerazione della panoramica locale (transregionale), si riportano invece i riferimenti relativi alle singole regioni sulla base dei dati più aggiornati.

Per il Trentino, la sopraccitata storica lista di Prosser del 2001 è stata aggiornata con la pubblicazione della Flora del Trentino (Prosser et al., 2019).

Per l’Alto Adige fa ancora testo la lista pubblicata da Wilhalm & Hilpold (2006).

In Veneto, si è partiti dalla lista della Provincia di Belluno (Argenti & Lasen, 2004) per poi arrivare (Buffa et al., 2016) a una lista regionale che contiene anche le indicazioni per singole province. Evidenziate anche le entità minacciate nella Flora del Veneto (Argenti et al., 2019). Non mancano altri contributi più localizzati, ad esempio Masin 2020 per i Colli Euganei, Tasinazzo et al. 2006 per i Colli Berici, Lasen & Da Pozzo 2011 per le Dolomiti d’Ampezzo.  In Friuli-Venezia Giulia, in assenza di un vero elenco completo precedente, si fa riferimento alla recentissima flora con atlante corologico a cura di F. Martini (2023).

Esigenze di tutela della Biodiversità
A partire dalla Convenzione di Rio de Janeiro del 1992, documenti, appelli e piani strategici per limitare la perdita di biodiversità si sono moltiplicati. Non si tratta solo di tutelare specie selvatiche rare e a rischio, ma di una generale, eccessiva, semplificazione degli ecosistemi, anche e soprattutto di quelli soggetti a coltivazioni (agroecosistemi), ricordando che si è perso molto anche della biodiversità coltivata, ciò che corrisponde a un preoccupante impoverimento genetico. Non si tratta solo di specie, appunto, ma anche di comunità (biocenosi) che, per effetto dell’antropizzazione e del progressivo consumo di suolo, si riducono di dimensioni a causa della frammentazione degli habitat, fenomeno che incide poi sulla permeabilità e sulle connessioni interrompendo di fatto le residue reti ecologiche ancora attive e limitando sempre più la funzionalità degli ecosistemi.
Secondo D. Attenborough ormai meno del 3% degli ecosistemi terrestri può essere considerato integro. Ciò significa che si deve cambiare paradigma rapidamente e investire nella ricostituzione di habitat anziché continuare a esercitare forti pressioni sulle residue risorse naturalistiche, perfino nelle aree protette quali parchi, riserve e siti della rete Natura 2000. In altri termini è urgente un cambio di passo che è anzitutto culturale. Non è una novità, sentendo amministratori, ma anche professionisti e persone dotate di buona cultura, che siamo di fonte a un forte deficit di cultura ecologica di base e ciò consente che anche progetti devastanti vengano promossi e poi approvati nella generale indifferenza. La logica del “fare comunque”, del consumo che aumenta il PIL, dei controlli dovuti che si attenuano e vengono declassati a orpelli burocratici, sembra avere il sopravvento nell’attuale contesto politico (che è tale da decenni, peraltro), sia esso nazionale che regionale. Per chi si occupa da molti lustri di Conservazione della Natura, di aree protette, di temi ecologico-ambientali è da registrare un sostanziale arretramento culturale da definire come “analfabetismo ecologico” di ritorno.

Habitat minacciati
Prima di affrontare degli esempi riguardanti specie a forte rischio o anche localmente estinte, si reputa opportuno dedicare qualche nota agli habitat che, per effetto del cambiamento climatico, dell’abbandono colturale o della intensificazione delle coltivazioni e degli allevamenti, risultano più minacciati. Nelle liste rosse sopraccitate non è difficile riscontrare (anche con grafici e rappresentazioni di immediata lettura) che i diversi tipi di habitat ospitano, sia in termini assoluti che in percentuale, numeri molto variabili di specie minacciate.
Premesso che a livello floristico esistono anche specie che riescono a “difendersi” e vivere bene in contesti semi-ruderali, oppure in aree di margine non facilmente identificabili con riferimenti fitosociologici, le situazioni più critiche si manifestano negli ambienti estremi in cui vi è un singolo fattore ecologico prevalente. Gli ambienti umidi -inclusi quelli propriamente acquatici- e quelli arido-steppici, ad esempio, sono fra quelli a maggior rischio. I primi per via di eutrofizzazione, drenaggi, agricoltura intensiva ai margini. I secondi, quasi sempre, per assenza di manutenzione (sfalci) che favorisce il sia pur lento ingresso di specie legnose. Negli ambienti più mesofili, dove maggiore è la concorrenza, il numero di specie a rischio è generalmente inferiore e, spesso, legato a nicchie o microhabitat specializzati. In altri casi, invece, i fattori che determinano la possibile sopravvivenza o scomparsa di specie minacciate vanno ricercati in cause storico-antropiche o corologiche remote. Un habitat interessante è quello dei greti fluviali-torrentizi e in tal caso, oltre ad eventuali escavazioni e danneggiamenti diretti, vanno considerati l’invasione di specie aliene e il passaggio di greggi transumanti che stazionano a lungo generando degrado. Potrebbe sorprendere l’elevata incidenza di specie a rischio che vegetano in ambienti sarchiati e coltivi. Ciò dipende dalla progressiva invasione di neofite (spesso alloctone) che hanno sostituito le cosiddette archeofite legate alle tradizionali colture cerealicole. Il ricorso a forti concimazioni, e ancor più al diserbo selettivo, in aggiunta alla più spinta meccanizzazione, ha radicalmente trasformato le comunità segetali. Altro aspetto da tener presente, a prescindere dalla vulnerabilità intrinseca dei singoli habitat, è relativo all’esistenza di piccole popolazioni situate al margine dell’areale o più o meno fortemente disgiunte rispetto all’areale principale.

Esemplificazioni a livello regionale
Conviene considerare separatamente i diversi territori a seguito di una consolidata tradizione e della presenza di aggiornate banche dati.
Le flore sono tutte di recente pubblicazione e già sopraccitate; in esse si riportano dati che sono più che sufficienti a fornire un quadro aggiornato delle entità rare e della situazione di quelle considerate estinte a livello provinciale. Non è questa la sede per nominarle tutte e qualche esempio è solo indicativo.

Trentino
Tra quelle considerate estinte si richiamano le seguenti.
Helianthemum salicifolium. Annuale, euri-mediterranea, sparita da prati aridi scorticati.
Asperula arvensis. Anch’essa annuale ed eurimediterranea, è segetale scomparsa dai coltivi vernini.
Lycopodium tristachyum. Camefita euroamericana, è stata ricercata invano nelle località in cui era segnalata in radure boschive e brughiere acide.
Hydrocharis morsus-ranae è tipica idrofita, eurasiatica
Anacamptis laxiflora è geofita eurimediterranea di prati umidi-palustri.
Come giustamente si rileva nella più recente Flora del Trentino, le entità estinte a quote superiori ai 1500 m sono soltanto 5 e fra esse è molto verosimile, conoscendo il sito e la sua evoluzione, quello della sparizione di Carex capitata e Carex heleonastes da torbiere in alta Val Duron.
La più elevata concentrazione di specie di lista rossa investe le aree di fondovalle termofile a contatto con zone in cui si pratica agricoltura intensiva. Analogamente anche aree ricche di torbiere quali Madonna di Campiglio, alta Val di Non, altopiano di Piné, Val di Cembra, Passo del Tonale e la sopra menzionata Val Duron risultano fra i siti con maggior numero di entità minacciate.
Quale esempio di CR si richiama il noto caso di Botrychium simplex, che è oltre tutto specie inserita nell’allegato II della direttiva europea conosciuta come “Habitat”.
Dalla recente Flora del Trentino si riportano i seguenti dati. Su un totale di 2563 specie censite, 85 sono CR, 130 EN, 188 VU e le estinte a livello regionale risultano 54.

Alto Adige
Anche senza poter disporre di numeri aggiornati, la situazione è del tutto analoga e le motivazioni identiche.
Fimbristylis annua e Aldrovanda vesiculosa sono esempi di specie scomparse da vari decenni a seguito delle bonifiche e della distruzione di ambienti alluvionali e ripariali.
Restando agli ambienti umidi, ma di quote elevate, Carex maritima e Carex capitata sono validi esempi di specie artico-boreali relitte che sono sopravvissute nelle brughiere subalpine/alpine fino ad oggi, ma che sono sempre più minacciate a causa dell'eutrofizzazione, del disturbo o della distruzione del loro habitat.
Dracocephalum austriacum, estremamente rara e di carattere continentale-steppico, è un esempio di forte declino di una specie di quote collinari-montane a causa delle modificazioni del paesaggio colturale, alle prese tra intensificazione (non tollera concimazioni) e abbandono (in tal caso ingresso di specie legnose e altre più competitive che riducono il suo spazio vitale e modificano i fattori ecologici).
Per Saxifraga facchinii, noto e splendido endemismo dolomitico, che vegeta su rocce e sfasciumi di alta quota, per fortuna meno a rischio nella limitrofa provincia di Trento e in parte anche nel Bellunese, la minaccia più seria è quella legata al cambiamento climatico in atto.
Tra gli habitat più soggetti a rischio e che includono un maggior numero di specie, si segnalano quelli umidi e quelli prativi in generale.
Grazie a una comunicazione personale di Thomas Wilhalm (si sta lavorando a una nuova edizione della lista rossa, presumibilmente entro il 2025), si possono fornire i seguenti dati complessivi. CR 114, EN 172, VU 163, NT 128. Le estinte su base regionale sono state suddivise in 2 gruppi, entrambi comprendenti 38 specie. Quelle considerate definitivamente estinte e le altre “scomparse” mancando segnalazioni negli ultimi decenni.

Friuli-Venezia Giulia
Regione situata all’estremità nordorientale del territorio italiano e ricca di elementi orientali che non superano i confini del Tagliamento o che arrivano fino al Piave con qualche penetrazione in Veneto. Le peculiarità del Carso, oltre che della costiera e della zona delle risorgive, o i magredi del Cellina-Meduna incrementano il valore fitogeografico e sono pertanto numerose le specie da considerare a rischio a livello dell’intero territorio italiano.
Armeria helodes, tipica delle risorgive, steno-endemica ad areale molto ristretto, è a forte rischio di scomparsa per distruzione fisica dell’habitat causata da motivi antropici, ma anche dalla naturale evoluzione (prosciugamento, concorrenza di specie più competitive).
Moehringia tommasinii, con una sola stazione in Italia e altre 3 in Slovenia, vegeta in Val Rosandra ed è fortemente minacciata a causa della palestra di roccia.
Esempio atipico va considerata Epipactis zaupolensis, con un’unica stazione nel pordenonese ai margini di una pioppeta. In tal caso, negli ultimi anni, si è registrata una sorta di proliferazione di nuove entità del gruppo di Epipactis helleborine, la cui consistenza tassonomica meriterebbe ulteriori accertamenti. Anche in Veneto, infatti, vi sono entità con analoghe ristrette popolazioni. Il problema dei gruppi critici si ripropone anche per generi apomittici quali Hieracium, Alchemilla, Taraxacum, Rubus. Essi necessitano di valutazioni che non possono essere utilizzate per fini statistici assieme al resto della florula di un qualsiasi territorio.
La flora regionale consiste in 2957 specie (e 1059 sottospecie) delle quali, rispettivamente, 569 e 77 sono esotiche. I livelli di minaccia interessano le CR (76); EN (86); VU (82); NT (93). Infine, le specie (meglio: taxa) estinte sono ben 243, ma tra esse solo 112 sono autoctone, numero comunque assai elevato. Gli ambienti umidi e acquatici complessivamente ospitano circa il 50% della flora minacciata. Le aree geografiche con maggiore concentrazione di entità a rischio sono il Carso e la Bassa Pianura. Tra le estinte si richiamano Holosteum umbellatum (dal 1956) e Typha minima (dal 1985).

Veneto
Dalle aree lagunari alle Dolomiti, passando attraverso laghi, colline, colture intensive e aree molto antropizzate, la regione è ricca di specie che rientrano nelle categorie minacciate. Il contributo della provincia di Belluno è determinante per le sue peculiari caratteristiche.
In sintesi, riferendosi sempre alla lista del 2016, si annoverano 192 specie CR, 92 EN, 186 VU e 266 NT. Negli ultimi 35 anni le estinte a livello regionale sono 48, numero già indicativo e preoccupante. Tra i casi classificati come RE spicca, ad esempio, Eryngium alpinum che è stato certamente segnalato sia in Comelico (Sappada ora è in FVG) che sul massiccio del Grappa. Si tratta di specie vistosa che non potrebbe passare inosservata e che predilige ambienti prativi ricchi, freschi ma soleggiati, della fascia subalpina. Numerose sono le specie segetali (spesso archeofite) considerate estinte (es. Lolium temulentum) o gravemente minacciate (es. Adonis aestivalis, A. annua e A. flammea). Tra gli habitat più delicati e a rischio, oltre a quelli acquatici e umidi, si annoverano quelli costiero-dunali. In termini assoluti la maggiore percentuale, sia di specie estinte che a vario titolo minacciate, riguarda le formazioni erbose naturali. A seguito degli effetti del cambiamento climatico anche relitti artico-alpini di alta quota vanno considerati fra quelli a maggior rischio di estinzione locale.
All’opposto si può menzionare il caso di Lysimachia tenella, sulle dune di Bibione e nel veronese, quale esempio di una specie a gravitazione atlantica in un contesto fitogeografico nel quale sono assai più numerose le entità il cui areale distributivo insiste sui settori orientali del continente europeo.
Un caso particolare riguarda Gypsophila papillosa, inserita come EN, endemica ad areale assai ristretto con stazioni nel veronese in fascia collinare assai ambita per motivi turistici. Il rischio è altissimo come si evince anche da cronache locali.
Nel caso di una regione composita come il Veneto le differenze, e talora anche discrepanze, sui livelli di minaccia delle singole specie, sono consistenti tra provincia e provincia.

Un occhio al futuro
L’emanazione di normative, sia pure adeguate e aggiornate, non alimenta serie speranze sulla efficace tutela di specie in forte declino. Le misure specifiche su singole entità sono opportune e anche doverose, ma non garantiscono alcun miglioramento automatico dello status delle popolazioni. La tutela degli habitat introduce ulteriori possibilità per evitare il depauperamento del numero degli individui, ma anch’essa non è sufficiente a invertire la tendenza. Risulterà, pertanto, necessario ricorrere, caso per caso, cioè per ogni singola specie a rischio, ad appositi piani che possano prevedere anche interventi di rafforzamento delle popolazioni più deboli. Ciò implica che siano programmati piani di monitoraggio in grado di riscontrare l’andamento delle popolazioni nel corso degli anni senza lasciarsi condizionare da fattori casuali.
Le diverse specie minacciate possono avere esigenze contrastanti, e in alcuni casi essere favorite da modesti disturbi antropici o legati ad attività agrosilvopastorali. Il minimo comune denominatore, per frenare la corsa verso l’impoverimento dei corredi floristici e l’estinzione, è solo uno e teoricamente semplice da attuare: favorire il ripristino degli equilibri ecologici attraverso processi di rinaturazione, limitando al massimo la frammentazione degli habitat e, anzi, intervenendo per assicurare la funzionalità dei corridoi che formano la Rete. Se, in termini generali, è vero che più si lascia agire la Natura e più ci si avvicina alle situazioni ottimali, in molteplici casi è necessario un intervento per rimediare a errori passati o per accelerare processi che avvengono in tempi lunghi.

 

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Ringraziamenti

Per i preziosi suggerimenti, il confronto e la verifica finale sulla validità dei dati qui esposti si ringraziano sentitamente gli amici Fabrizio Martini, Filippo Prosser e Thomas Wilhalm.

Selezione delle immagini

Per TN (foto di Filippo Prosser)

- Helianthemum salicifolium

- Orchis laxiflora (campione di erbario)

Per BZ (Michele Da Pozzo)

- Dracocephalum austriacum

- Carex heleonastes

Per FVG (Michele Da Pozzo)

- Armeria helodes

- Typha minima

Per Veneto (Michele Da Pozzo)

- Adonis annua

- Gypsophila papillosa

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