Il contenzioso ambientale tra l’Italia e l’Unione Europea
Le sentenze della Corte di Giustizia riconoscono la responsabilità del nostro Paese per non avere recepito il diritto ambientale dell’Unione Europea e impongono anche sanzioni pecuniarie
di Giovanni Cordini
Professore Emerito di Diritto Pubblico Comparato e Diritto dell’Ambiente nell’Università degli Studi di Pavia e Direttore dell’Istituto Internazionale di Studi Europei “Antonio Rosmini”, Bolzano
Gli impegni che l’Italia assume in ambito internazionale ed europeo, così come gli accordi bilaterali tra Stati, comportano sempre delle azioni successive volte a conseguire gli obiettivi ed a dar seguito ai contenuti. Quando, poi, questi vincoli giuridici conseguono dall’adempimento degli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione Europeo, ogni trasgressione si traduce in una responsabilità dello Stato che potrà essere fatta valere dinanzi alle Corti. Da diverso tempo il nostro Paese si trova ai primi posti nella non encomiabile classifica degli Stati inadempienti in ordine all’attuazione del diritto ambientale dell’Unione Europea.
Gli atti giuridici (in particolare regolamenti e direttive) dell’Unione Europea, com’è noto, sono vincolanti per tutti i Paesi membri. I regolamenti hanno immediata e diretta efficacia, fatti salvi gli ambiti non vincolanti e gli eventuali indirizzi programmatici, ivi definiti. Le direttive consentono agli Stati un adattamento, sia in ordine temporale, stabilendo i termini per l’entrata in vigore e, dunque, per la definitiva obbligatorietà delle norme ivi contenute, sia per la determinazione, in concreto, delle misure necessarie per dare concretamente seguito all’articolato. Il prospetto che segue mette in evidenza la difficoltà, per l’Italia, di adempiere, entro i termini stabiliti dall’atto comunitario, agli obblighi ivi previsti e sottolinea i diversi profili, per i quali, facendo valere un inadempimento dello Stato, è stato avviato, nei confronti del nostro Paese, il procedimento d’infrazione. Il contenzioso ambientale, da un lato conferma la preoccupazione delle istituzioni europee per il crescente numero di violazioni del diritto ambientale comune e dall’altro è indice della sensibilità che l’amministrazione comunitaria manifesta richiedendo ai Paesi membri di assicurare l’effettiva applicazione del diritto comune e vigilando per censurare l’inosservanza delle regole.
Posto che nella sfera dell’ordinamento giuridico dell’Unione Europea rientra la potestà di negare validità alle regole degli ordinamenti statali che si pongono in contrasto con le disposizioni comuni emanate in ambito europeo, le questioni giuridiche essenziali per la definizione dei rapporti tra l’ordinamento dell’Unione e gli ordinamenti degli Stati membri riguardano la “validità sostanziale” della legislazione dell’Unione e il quadro giuridico entro il quale si configura e si realizza l’accertamento delle violazioni. La complessa struttura dei sistemi giuridici integrati richiede la garanzia dell’effettività delle regole superiori e impone ai legislatori nazionali obblighi in tema di coerenza e di conformità il cui rispetto riesce essenziale per la coesistenza dei diversi livelli di governo.
I PROCEDIMENTI PROMOSSI DALLA COMMISSIONE E SOTTOPOSTI ALL’ESAME DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DI LUSSEMBURGO
Procedimento. Materia Direttive non recepite e Fase del Trasgressioni procedimento
2003/2077 RIFIUTI DIRETTIVE 1975/442, 1991/156, Sentenza 1991/689 e 1999/31
2004/2034. ACQUE DIRETTIVA 1991/271 Sentenza
2007/2195 RIFIUTI DIRETTIVA 2006/712 Sentenza
2009/2034. ACQUE DIRETTIVA 1991/271 Sentenza
2011/2215 RIFIUTI DIRETTIVA 1999/731 Sentenza
2013/2177 EMISSIONI DIRETTIVE 2008/1 e Sentenza 2010/75
2014/2059 ACQUE DIRETTIVA 1991/271 Sentenza
2014/2147 ARIA DIRETTIVA 2008/50 Sentenza
2015/2043 ARIA DIRETTIVA 2008/50 Sentenza
2015/2163 NATURA DIRETTIVA 1992/43. Avvio del procedimento
2017/2181 ACQUE DIRETTIVA 1991/271 “ “
2018/224 ACQUE DIRETTIVA 1991/76 “ “
2020/2299 ARIA DIRETTIVA 2008/50 “ “
2021/2028 NATURA DIRETTIVE 1992743 e 2009/147 “ “
2023/0152 RIFIUTI DIRETTIVA. 2023/544 “ “
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Come si può notare gli atti contestati consistono in direttive che consentono agli Stati membri di adottare le misure necessarie per il loro recepimento nell’ordinamento interno nei termini ivi indicati. Le contestazioni avanzate dalla Commissione riguardano, essenzialmente, il mancato recepimento delle prescrizioni nell’ordinamento interno o la non conformità delle disposizioni attuative rispetto agli obblighi assunti in ambito comunitario. La Corte di Lussemburgo, mediante la sua giurisprudenza relativa a tematiche ambientali ha fornito alcune definizioni ed ha indicato dei criteri importanti per configurare l’inadempimento degli obblighi imposti dal diritto comunitario: a) l’inadempimento consistente nell’omissione totale o parziale delle prescrizioni normative è di gran lunga quello prevalente nella giurisprudenza della Corte di Giustizia.
La Corte, di volta in volta, ha sanzionato: a) la conformità solo parziale e l’applicazione inadeguata delle disposizioni dettate dalla normativa europea in materia di ambiente, venendo meno, ad esempio, l’obbligo di assicurare l’integrale ed effettiva trasposizione delle direttive ambientali nell’ordinamento interno; b) gravi ritardi nell’adeguamento del diritto interno al diritto comunitario; c) la mancata comunicazione all’Unione Europea dei provvedimenti adottati in ambito nazionale; la connessa violazione degli obblighi d’informazione prescritti dalle norme europee. La procedura d’infrazione prende avvio per iniziativa della Commissione con la “lettera di costituzione in mora” che avvisa le autorità statali e indica gli ambiti dell’inadempimento chiedendo allo Stato di provvedere e di fornire le necessarie giustificazioni. Se la risposta non risulta soddisfacente o non perviene la Commissione adotta un “parere motivato” e indica una scadenza.
Al termine del tempo concesso, ove non vi sia risposta o la stessa non sia ritenuta idonea a dar conto dell’adempimento, la Commissione chiede alla Corte di valutare il caso ed emettere una sentenza. A fronte di reiterate inadempienze che si riferiscono a casi giudicati, in precedenza e non risolti, la Commissione può chiedere alla Corte di applicare allo Stato membro una sanzione pecuniaria. La Corte ha seguito un criterio prudenziale limitando il ricorso alla sanzione pecuniaria ai casi di precedenti condanne dello Stato inadempiente, considerando, di volta in volta, la consistenza della trasgressione. Se dall’inazione dello Stato può derivare un significativo danno ambientale la sanzione pecuniaria è stata ritenuta necessaria. Queste circostanze, negli ultimi anni, si sono verificate più volte nei confronti dell’Italia e hanno comportato sanzioni importanti (che, nel corso del tempo, ammontano a più di 700 milioni di euro). Riesce interessante osservare che il nostro Paese non ha ancora dato seguito a quanto disposto dal regolamento 2021/770/UE relativo alla c. d. “plastic tax europea”. Gli Stati potevano disporre un prelievo unico sugli imballaggi di plastica sino ad un massimo di 0,80 euro per chilogrammo. L’Italia avrebbe previsto di applicare una tassazione più contenuta pari a 0,45 centesimi per ogni kg. di imballaggi in plastica. Questa misura, tuttavia, non è mai stata concretamente applicata in quanto l’onere è stato costantemente rinviato e la legge di bilancio 2024 ha concesso un’ulteriore posticipazione fino a luglio 2024 per cui il nostro Paese ha imputato al bilancio il relativo costo che ammonta a circa un miliardo e duecento milioni di Euro.
La giurisprudenza costante della Corte di Giustizia evidenzia come gli adempimenti da parte degli Stati membri dell’Unione Europea debbano assicurare sempre l’effettività delle prescrizioni imposte. In taluni casi, tuttavia, per l’adempimento può essere ritenuta sufficiente l’effettiva garanzia offerta dall’ordinamento giuridico interno, assicurata anche mediante la conformità ad una prassi, ove la stessa sia in grado di dare esecuzione all’obbligo. Le giustificazioni addotte, ad esempio, dall’Italia per non avere dato seguito a tutte le prescrizioni imposte dalle direttive europee volte a ridurre l’inquinamento atmosferico, hanno fatto riferimento all’assetto decentrato dei poteri, al rapporto tra Stato e Regioni, ad esigenze di pianificazione che comportano una dilatazione temporale. Sono tutte giustificazioni respinte dalla Corte in quanto gli Stati sono tenuti ad assicurare, nei termini indicati dalla direttiva, l’effettivo adempimento degli obblighi ivi definiti, operando, ove indispensabile, gli adattamenti e le opportune riforme degli ordinamenti interni. La giurisprudenza europea tende a configurare anche una responsabilità civile dello Stato membro inadempiente verso soggetti (persone fisiche e persone giuridiche) privati e pubblici terzi e non soltanto verso l’Unione e gli altri Stati. La giurisprudenza italiana, di regola, ha aderito all’impostazione seguita dal giudice comunitario procedendo alla disapplicazione delle norme interne incompatibili quale rimedio ritenuto efficace per la soluzione delle antinomie tra le fonti normative. Riguardo, ad esempio, alle disposizioni adottate dall’unione in tema di inquinamento atmosferico e per lo smaltimento dei rifiuti, il reiterato inadempimento dell’Italia ha comportato anche delle sanzioni pecuniarie.
Dal prospetto riportato supra si evince che, per l’Italia, l’adempimento degli obblighi ambientali assunti in ambito europeo è risultato particolarmente difficile soprattutto in alcuni ambiti: le misure adottate per contrastare gli inquinamenti atmosferici, la gestione dei rifiuti e l’inquinamento delle falde acquifere, in particolare in relazione agli scarichi. Sono tutti settori decisivi per il conseguimento degli obiettivi indicati dai programmi ambiente e per l’Agenda ambientale europea. Per tale ragione la vigilanza è stata costante e la Commissione, a fronte di reiterate inadempienze, ha investito più volte la Corte, chiedendo di applicare, alfine, anche delle sanzioni che incidono sul bilancio dello Stato e, indirettamente, sulle condizioni economiche di ciascheduno di noi.