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Cronache della sesta estinzione di massa

Riccardo Graziano

Sull’isola di Mauritius vendono una maglietta con il disegno di una specie di tacchino dall’aria poco sveglia e la scritta “Dodo ile Maurice 1505 – 1681”. Al di là dell’espressione caricaturale dell’animale raffigurato, è uno dei (tanti) esempi dell’incapacità dell’uomo di vivere in sintonia con il pianeta che lo ospita. Nella fattispecie, il 1505 è l’anno della “scoperta” dell’arcipelago delle Mauritius da parte dei colonizzatori occidentali, che fra le altre “risorse locali” vi trovarono appunto il dodo, un gallinaceo che non aveva predatori naturali, per cui era privo della istintiva diffidenza che caratterizza gli animali oggetto di predazione. Questo fattore consentì ai coloni di avvicinarlo senza problemi e, una volta scoperto che le sue carni erano commestibili, di abbuffarsi senza preoccuparsi troppo del calo verticale degli individui. L’eccessivo prelievo venatorio, unito alle altre alterazioni ambientali provocate dai colonizzatori (disboscamento, introduzione di nuove specie animali ecc.) causò l’estinzione del povero dodo, presumibilmente appunto intorno al 1681, meno di due secoli dopo la sua individuazione.

La storia del dodo è il perfetto paradigma della voracità insostenibile con cui divoriamo – in questo caso letteralmente – le risorse messe a disposizione dall’ambiente, a un ritmo ben superiore alla capacità di rigenerazione degli ecosistemi, causando l’estinzione di intere specie in tempi ridottissimi rispetto ai normali cicli naturali. Se i coloni avessero prelevato una quantità di prede inferiore alla capacità riproduttiva di quel lontano parente del pollo, la specie sarebbe giunta fino a noi in carne e ossa, invece che in effigie caricaturale sulle magliette.

Questa è la dimostrazione evidente che la stragrande maggioranza dei cosiddetti “sapiens” sono semplicemente incapaci di vivere in equilibrio con il proprio ambiente, a eccezione di sparuti gruppi indigeni che nell’arco di pochi decenni hanno fatto o rischiano di fare la fine del dodo, sterminati in breve tempo dopo l’incontro con la “civiltà” occidentale. Questa innata vocazione allo sterminio è stata bene evidenziata in un film cult della fantascienza distopica, Matrix, dove uno dei personaggi evidenzia come, a differenza di tutte le altre specie viventi, l’uomo non sappia coesistere in equilibrio con l’ecosistema che lo ospita, perché ogni volta colonizza un ambiente, si  riproduce sfruttandone a dismisura le risorse fino a distruggerlo, per poi passare all’ambiente successivo. Uno schema di comportamento che condividiamo con un solo altro gruppo di organismi: i virus.

Curioso, no? L’essere che si considera la massima espressione dell’evoluzione si comporta come il più basico, un microrganismo che sa solo riprodursi e che anche per questo ha bisogno di un ospite che gli consenta di farlo. Con un’astrazione, potremmo dire che siamo in presenza dell’alfa e dell’omega, la prima e più semplice forma di vita apparsa sulla Terra e l’ultima e più complessa, che si comportano allo stesso modo, quasi a dare il segnale della fine di un ciclo evolutivo, in prossimità di una nuova estinzione di massa.

In termini più concreti, siamo il virus che affligge l’intero pianeta, devastando tutti gli ecosistemi in un delirio di crescita demografica, economica e di prelievo di risorse semplicemente insostenibile. Siamo la causa del declino della biosfera che ci consente di vivere e, conseguentemente, della Sesta estinzione di massa, una falcidie di specie viventi che inevitabilmente finirà per coinvolgere anche noi, andando quasi ad azzerare la vita presente sulla Terra. Il fenomeno è già in corso e sta rapidamente accelerando, in parallelo col surriscaldamento dell’atmosfera e i conseguenti mutamenti climatici, lasciando intuire che il tutto avverrà in tempi relativamente brevi, qualche secolo se siamo fortunati, altrimenti pochi decenni. Tutto questo perché le condizioni climatiche e ambientali, che pure sono già mutate molte volte in passato, in questo momento lo stanno facendo troppo rapidamente per consentire alla stragrande maggioranza dei viventi di adeguarsi. Noi compresi.

Per rimanere sugli esempi delle isole, microcosmi che consentono di visualizzare meglio fenomeni molto complessi, qualcosa di simile è già successo agli abitanti dell’Isola di Pasqua, la più remota in assoluto, in pratica un mondo a sé stante. A furia di disboscare, si arrivò a un punto in cui l’isola era priva di alberi, dunque anche di semi per farli rinascere. Un depauperamento ambientale insanabile, con evidenti conseguenze anche sul microclima. Parallelamente, gli studi hanno evidenziato una ciclica carenza di risorse alimentari, che portava a comportamenti predatori e scontri armati per procurarsi il cibo, fino a punte estreme di cannibalismo. Homo homini lupus, direbbero gli antichi. In presenza di risorse scarse, gli abitanti dell’isola erano spesso in feroce competizione e sull’orlo di un declino demografico fatale.

Oggi, è la Terra intera, piccola isola sferica persa nel cosmo, a sperimentare la carenza di risorse. E l’intera umanità rischia di ritrovarsi nelle condizioni degli sfortunati abitanti dell’Isola di Pasqua, o di fare la fine dei dodo. Ci mettono sull’avviso, tra gli altri, gli esperti che calcolano l’Overshot Day, dicendoci che consumiamo in soli sette/otto mesi le risorse che la biosfera ci mette a disposizione annualmente, grazie al fatto che diamo fondo ai “risparmi” rappresentati dai combustibili fossili e contemporaneamente, con le relative emissioni di anidride carbonica a effetto serra, andiamo a contrarre un debito con l’ambiente che sta diventando insanabile. L’aumento delle temperature conseguente a queste emissioni causa lo scioglimento delle calotte polari e dei ghiacciai alpini, lasciando scoperte porzioni di terra e mare che assorbono maggiormente i raggi solari e dunque si scaldano ancora di più. È un fenomeno che si autoalimenta, esattamente come succede con lo scioglimento del permafrost, lo strato di terreno perennemente ghiacciato che si trova nel sottosuolo delle regioni artiche, che sciogliendosi libera il metano imprigionato in esso, un gas che a sua volta contribuisce ad aumentare il surriscaldamento globale.

L’elenco delle cattive notizie potrebbe continuare, ma ne diamo una buona: la causa di tutto questo disastro è l’uomo, il quale tuttavia sa perfettamente cosa deve fare per rimediare. La pessima notizie è che non lo stiamo facendo, o comunque non abbastanza in fretta. Anzi, ancora in troppi, per interesse o ignoranza, si adoperano per peggiorare la situazione. Molti di questi sono anche al governo dei rispettivi Stati e il rischio è che alle prossime elezioni europee prendano anche il controllo dell’UE, vanificando quel poco che finora si era cercato di fare con i soldi del New Green Deal.

I dati scientifici, le tendenze e le previsioni non lasciano dunque spazio all’ottimismo, a meno che a breve non cambino radicalmente cultura, politica, economia, strategie energetiche e processi industriali. Tutte cose di cui al momento non si vede traccia. In compenso, facciamo progressi velocissimi nel campo dell’intelligenza artificiale. Chissà, forse stiamo preparando la nostra successione, la forma di vita destinata a sostituirci dopo l’estinzione, proprio come nei film di fantascienza distopica. E magari, fra qualche decennio, un robot umanoide si recherà in vacanza a Mauritus e troverà una maglietta con l’immagine di un ominide dall’aria poco sveglia e la scritta “Homo Sapiens pianeta Terra Neolitico – XXI secolo”

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