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Europa in elettrico. Italia a scoppio… ritardato

di Riccardo Graziano

 

 

Il fatto che il nostro pianeta si stia riscaldando è evidente quasi a tutti, tranne ai negazionisti per vocazione. E che questo surriscaldamento sia dovuto alle attività umane, in particolare all’utilizzo di combustibili fossili, è altrettanto chiaro, tranne ai negazionisti di mestiere, impegnati a difendere lo status quo di un’economia ormai insostenibile. Ma siamo ancora in pochi a renderci conto che è necessario e urgente prendere provvedimenti radicali, prima che la situazione diventi irreversibile e catastrofica. L’impressione è che la maggioranza delle persone veda il cambiamento climatico come qualcosa che farà terminare prima la stagione dello sci e anticiperà le vacanze al mare. Purtroppo non è così. I mutamenti climatici sono destinati, in tempi drammaticamente brevi, a pesare su ambiente, flora, fauna, mari, coltivazioni, eventi atmosferici estremi, carestie, migrazioni di massa e problemi sanitari. In una parola, a incidere profondamente sulle nostre vite.

Se questa consapevolezza fosse maggiormente radicata, sarebbe forse più semplice prendere e far accettare provvedimenti pensati per mitigare i mutamenti del clima e relative conseguenze. Strategie politiche ed economiche decise a livello sovranazionale, come nel caso dell’Unione Europea, i cui singoli Paesi aderenti, su scala globale, sono troppo piccoli per muoversi in ordine sparso. Per questo l’UE ha messo in campo una serie di strategie che, se attuate in tempi brevi e in maniera condivisa, potrebbero avere un impatto positivo sulla decarbonizzazione e sulla limitazione del surriscaldamento globale.

Tra queste, una di quelle che ha suscitato più malcontento fra le multinazionali che difendono a spada tratta il BAU (business as usual, fare affari come si è sempre fatto) c‘è la decisione europea di fermare entro il 2035 la produzione di automobili alimentate a combustibili fossili, per sostituirle con veicoli a zero emissioni. Chi è abituato a incassare miliardi di euro sfruttando una tecnologia collaudatissima come quella del motore a scoppio, non vuole sentirsi dire che deve passare a qualcosa di strutturalmente diverso, su cui occorre investire moltissimo in progettualità e riconversioni, con la prospettiva di vedere sfumare utili e dividendi. Per questo le Case automobilistiche si sono messe per traverso e hanno pesantemente contestato questa disposizione dell’UE, dipingendo un quadro a tinte fosche, con la minaccia di perdita di posti di lavoro, dipendenza da potenze straniere (in particolare la Cina) e crollo dell’economia comunitaria. Tesi chiaramente di parte, ma che sono presto diventate maggioritarie grazie all’influenza di questi colossi sulla politica e sul sistema mediatico. Ciò è avvenuto in particolare in Italia, dove hanno pesato la presenza di un costruttore monopolista, di un’opinione pubblica male informata dai nostri media e di un governo di stampo reazionario. Nel nostro Paese l’auto elettrica ha subito più che altrove una demonizzazione fuori luogo, dipinta come un’imposizione dell’Europa, dei radical-chic, degli ambientalisti fanatici e chissà chi altro, ai danni dei poveri automobilisti vessati.

In realtà, le cose stanno un po’ diversamente Proviamo a fare chiarezza su alcuni punti.

Auto a emissioni zero dal 2035

L’Unione Europea ha stabilito che dal 2035 tutte le nuove auto e i furgoni venduti in Europa dovranno essere a emissioni zero. Questo per ottenere gli obiettivi del pacchetto “Fit for 55”, ossia ridurre del 55% le emissioni entro il 2030 e garantire che entro il 2050 il settore dei trasporti possa diventare a emissioni zero. Dunque ciò non vuol dire che le auto attuali verranno immediatamente bloccate e si dovrà per forza sostituirle, bensì che l’UE prevede ben quindici anni (2035 – 2050) per il ricambio dell’intero parco circolante. Naturalmente, questo significa che, a partire da quell’anno, i costruttori dovranno produrre e immettere sul mercato solo veicoli a emissioni zero, il che attualmente coincide con l’auto elettrica, per ragioni tecniche e di mercato. Ma a loro volta le Case automobilistiche hanno un preavviso di 12 anni per riconvertire le loro produzioni. I costruttori hanno subito protestato, dicendo che il periodo di transizione era troppo breve.

Per quanto riguarda la tecnologia, al momento l’auto elettrica non ha rivali, ma nulla vieta di trovare altro in questi dodici anni, anche se al momento l’unica alternativa, ovvero l’idrogeno, è in netto svantaggio, come dimostra la vicenda di Toyota, primo produttore a immettere sul mercato, ormai un quarto di secolo fa, un’auto ibrida, la Prius, che le aveva dato un grande vantaggio sulla concorrenza. Ma il colosso giapponese si è incaponito sull’idrogeno, e oggi è stato raggiunto e superato da chi invece ha puntato da subito sull’elettrico. Dieci anni fa c’erano un solo modello a idrogeno e tre o quattro elettrici. Oggi continua a esserci praticamente un solo modello a idrogeno (invenduto) contro decine di modelli elettrici che conquistano fette crescenti di mercato. Questo perché, in termini di mobilità, il ciclo dell’idrogeno è più costoso e meno efficiente, vista la necessità di una doppia conversione. L’idrogeno resta valido, invece, come sistema di stoccaggio di lungo periodo, in alternativa alle batterie, per immagazzinare l’energia in eccesso nei picchi di produzione e rilasciarla quando serve.

La data del 2035 vale naturalmente anche per il trasporto pesante e quello collettivo, per i quali prevede come obiettivi intermedi la riduzione delle emissioni del 45% dal 2030, del 65% dal 2035 e del 90% dal 2040 rispetto ai livelli del 2019. Dal 2030 tutti i bus urbani dovranno essere a emissioni zero.

Previste eccezioni per i piccoli produttori, il cosiddetto emendamento ‘salva Motor Valley’, il cuore dell’Emilia dove si costruiscono i bolidi fuoriserie, nonché per la produzione di carburanti sintetici, come richiesto dalla Germania, ma per entrambi i casi si tratta di piccoli volumi per mercati di lusso, appunto le sportive di alto livello. Bocciata invece la richiesta italiana (o meglio dell’ENI …) per produrre biocarburanti, in teoria con gli oli esausti delle cucine. L’Europa ha impiegato poco a capire che ci sarebbero volute coltivazioni dedicate, che avrebbero sottratto terreni preziosi per la produzione di cibo, e ha rigettato la richiesta.

Mobilità a emissioni zero dal 2035 (?)

Qualcuno obietta che è inutile far circolare auto elettriche per poi produrre l’energia necessaria con le fonti fossili. Ragionamento in apparenza sensato, ma smentito dai fatti. La prima cosa da considerare è l’efficienza dei due motori: quello a scoppio è intorno al 30%, quelli elettrici possono superare il 90%. Poter percorrere il triplo dei chilometri con la stessa energia, o gli stessi chilometri con un terzo dell’energia è un vantaggio straordinario.

Paradossalmente, sarebbe persino più efficiente bruciare i combustibili in una centrale elettrica ad alto rendimento e poi usare l’energia per un’auto elettrica, piuttosto che mettere la stessa quantità direttamente nel serbatoio di un’auto col motore a scoppio (per chi vuole approfondire, https://www.dmove.it/news/le-auto-elettriche-inquinano-come-le-termiche-ecco-la-sfida-con-generatore-diesel).

Ma naturalmente nessuna persona sensata pensa di bruciare combustibili fossili per far viaggiare un’auto elettrica, quando la soluzione ottimale è utilizzare le energie rinnovabili, che già oggi incidono positivamente e in prospettiva vedranno crescere ulteriormente la percentuale di produzione.

In ogni caso, già oggi l’auto elettrica è vincente in termini di emissioni totali per la mobilità, grazie al vantaggio che accumula nel ciclo TTW, ovvero Tank To Wheel, dal serbatoio alle ruote, a zero emissioni. Resta il problema del ciclo WTT, ovvero Well To Tank, dalla sorgente al serbatoio, che sommato al precedente confluisce nel ciclo WTW, Well To Wheel, ovvero dalla sorgente alle ruote. Ma senza annoiare troppo con terminologie tecniche, adottiamo il principio che un’immagine vale più di mille parole, tenendo presente che oggi, a distanza di sette anni, la situazione è ulteriormente evoluta a favore delle elettriche.

Fondamentale infine il ciclo LCA – Life Cycle Assessment (Analisi del ciclo di vita), che prende in considerazione tutta la vita di un prodotto, dall’estrazione delle materie prime allo smaltimento a fine vita. Anche in questo caso conviene fare ricorso a un’immagine, senza indugiare troppo sulle terminologie tecniche, tenendo d’occhio la discesa dei rombi gialli, corrispondenti alla diminuzione negli anni dell’impatto delle BEV (battery electric vehicle, cioè le elettriche) rispetto alle ICE (internal combustion engine, alias motore a scoppio, D per Diesel e G per Gasoline, ovvero benzina) nella produzione di GHG (Greenhouse Gases, i gas serra come anidride carbonica e metano)

Europa vs Italia

Tenendo conto di quanto esposto sopra, è evidente che l’auto elettrica, pur presentando alcune criticità, risulta vincente per le strategie di decarbonizzazione rispetto a quella a combustione interna. Per questo in Europa e non solo si sta andando in quella direzione già da un po’ di tempo, anche se con colpevole ritardo rispetto a USA e Cina, che in effetti sono più avanti sotto molti aspetti. Per quanto riguarda gli americani, non hanno fatto quasi nulla per meritare questo vantaggio, se non approfittare della genialità di Elon Musk, il padrone di Tesla, che già una quindicina di anni fa ha deciso di entrare sul mercato automobilistico costruendo solo vetture elettriche, sfidando lo scetticismo e l’irrisione degli altri produttori. Nel giro di pochissimo, Tesla ha acquisito (e detiene tuttora) un vantaggio tecnologico enorme, tale da giustificare anche la sua ascesa in borsa, in gran parte speculativa, ma segno che gli investitori hanno creduto fin da subito nelle potenzialità della nuova tecnologia. Al contrario, in Italia il costruttore monopolista, all’epoca Fca, sosteneva che con l’auto elettrica non si poteva guadagnare e che non aveva futuro. Oggi possiamo valutare chi aveva ragione, e forse anche capire perché il nostro Paese è in costante declino.

Invece i cinesi, fiutato il business, hanno iniziato a investire miliardi in quella direzione, cercando e ottenendo il controllo di tutta la filiera: approvvigionamento delle materie prime fuori e dentro i propri confini, ricerca e sviluppo, progettazione e design, produzione e vendita (per ora principalmente sul mercato interno), infine smaltimento e riciclo delle vetture a fine vita. Grazie a questa accelerazione, stanno rapidamente recuperando il gap tecnologico iniziale, anche grazie alla collaborazione con la stessa Tesla, che ha aperto un mega stabilimento a Pechino.

Buona ultima, si è svegliata anche l’Europa, per scoprire che americani e cinesi sono già molto avanti, controllano gran parte delle materie prime e della componentistica e rischiano di stritolare i produttori del vecchio continente. A questo punto, l’UE ha deciso di partire alla rincorsa, cercando di colmare alla svelta il divario su questa tecnologia evidentemente vincente. All’opposto, l’attuale Governo italiano si è arroccato su posizioni reazionarie, difendendo a oltranza un paradigma ormai obsoleto, come se dopo l’invenzione della lampadina avessimo puntato sulla difesa delle candele e delle lampade a olio. L’Italia rischia dunque di diventare (o meglio rimanere) il fanalino di coda di un’Europa già all’inseguimento di una concorrenza mondiale agguerrita e in netto vantaggio. Non una grande prospettiva per il nostro Paese, sia in termini di competitività, sia di occupazione, senza far cenno ai problemi ambientali, che pure ci sono e non faranno che peggiorare, se l’andazzo è questo, con un Governo infiltrato dai negazionisti climatici e schierato a difesa dell’economia fossile.

Intanto, i mercati esteri ci dicono che in Norvegia, la nazione più avanti nella transizione, il parco circolante è ormai per metà elettrico, percentuale che sale all’80% sulle nuove immatricolazioni, segno che i norvegesi apprezzano il cambiamento e non pensano a fare passi indietro, ma anche che le auto elettriche possono convivere con freddi intensi, contrariamente a quanto pensano alcuni. In Cina il 25% di auto vendute è elettrico, nell’UE le vendite di “elettrificate” (che comprendono le ibride) hanno superato da tempo quelle dei Diesel e nel 2023 l’auto più venduta in assoluto in Europa e nel mondo è stata la Tesla Model Y, una berlina elettrica di fascia medio-alta, non esattamente alla portata di tutti, eppure...

Per contro, l’Italia ha una percentuale di elettriche fra le più basse. E pensare che il nostro Paese avrebbe tutto da guadagnare dalla transizione, visto che potremmo puntare sulle rinnovabili (il sole non ci manca) e su una filiera dell’auto ancora valida, nonostante lo smantellamento progressivo a cui è stata sottoposta. Per certi aspetti, siamo persino più avanti di quanto ci si potrebbe aspettare, come per esempio nel numero di colonnine di ricarica installate, ormai oltre 50.000, fattore che annulla una delle scuse classiche di chi non vuole acquistare vetture elettriche perché “poi non so dove ricaricare”.

E allora, cosa serve per far partire la transizione anche in Italia? Forse quello che manca è un cambio di mentalità, come quando siamo passati dal calesse all’auto.

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