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Sforzi ricompensati, estinzione scampata. Il ritorno della lince

Valter Giuliano

Può anche accadere che specie che ritenevamo sull’orlo dell’estinzione, ritrovino nuovi spazi per garantirsi il futuro.
Al Parco nazionale del Gran Paradiso il regalo più importante per il compleanno centenario potrebbe averlo portato la lince. L’ha avvistata, a fine ottobre, una fototrappola che ha immortalato l’animale, rendendo certa la segnalazione. Tenendo, com’è prudente fare in queste situazioni, riservato il luogo esatto dell’avvistamento per proseguire le verifiche sulla effettiva presenza, al Parco dicono che si tratta, con ogni probabilità, di un individuo in dispersione, alla ricerca di nuovi territori.
Sin dagli anni ’80 si sono registrati avvistamenti dubbi e numerose segnalazioni. Ora, per la prima volta, la presenza viene documentata con certezza. L’ultimo dato di presenza certa della lince nel territorio del Parco risale al 1916, quando l’area protetta non era ancora stata istituita. Ai tempi della Riserva Reale di Caccia frequenti furono gli abbattimenti attuati dalle guardie, che erano incentivate al prelievo di quello che era considerato un nemico dello stambecco.
Sulle Alpi la specie si è estinta agli inizi del ‘900 a causa della persecuzione dell’uomo. Si registrano dati relativi agli ultimi esemplari nel Cadore (1837) in Alto Adige/Südtirol (1872), in Valle Roya (1918) e nella Val Varaita (1937).
Solo recentemente, dagli anni Ottanta, è ricomparsa in Italia con esemplari in transito, probabilmente provenienti da Svizzera e Slovenia. Sono state raccolte varie segnalazioni nelle valli di confine con Francia e Svizzera; le più recenti, documentate, ad agosto e novembre 2022, rispettivamente in Val Isorno (VCO) e in Val d’Ayas (AO).
La specie è invece al centro del Progetto Lince Italia che vede capofila l’Università di Torino e che ha promosso la reintroduzione del felino nel Tarvisiano, a fine novembre dello scorso anno, con cinque esemplari: due femmine provenienti dalla Svizzera, un maschio e una femmina dalla Romania e un maschio dalla Croazia.
Attualmente, tra Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige/Südtirol ci sarebbero tra i 10 e i 15 animali.
Osservazioni di lince sono state di recente effettuate anche in Valle d’Aosta, confermate dal Corpo Forestale Regionale, e queste ripetute segnalazioni fanno presagire la possibilità di un ritorno della preziosa specie. Se il ritorno al Parco del Gran Paradiso fosse confermato, riempirebbe un vuoto che dura da oltre un secolo. E al quale si cercò, qualche tempo fa, di porre rimedio.
Era la stagione in cui, grazie soprattutto all’impegno dell’allora direttore Francesco Framarin, furono presi in considerazione progetti di possibile restauro della biodiversità originaria, in particolare per quel che concerne la fauna. Una testimonianza scritta di quelle progettualità la si ritrova nello studio di Holloway C.W. & Jungius H., Reintroduzione di alcune specie di mammiferi  e di uccelli nel Parco Nazionale Gran Paradiso (1975).
Il ritorno del gipeto, il cui ultimo esemplare sulle Alpi venne abbattuto in Val di Rhêmes il 29 ottobre 1913, ha avuto successo e dal 1986 il maestoso uccello è tornato a volare libero nei cieli delle Alpi.
Non così è accaduto per la lontra in Vasavarenche, oggi presente con tre individui nel “Centro Lontra”, area faunistica a Rovenaud.
Meno che mai per la lince, il cui tentativo di reintroduzione si frantumò a causa del mancato arrivo delle femmine dal Parco degli Alti Tatra, nell’allora Cecoslovacchia.
Era una notte dell’estate 1975 quando insieme a un paio di altri coraggiosi partigiani dell’ambiente (eravamo le prime Guide della Natura del Parco) percorremmo le valli valdostane del Parco - non senza rischio e pericolo - incollando, educatamente, a fianco dei manifestini che attaccavano il Parco nazionale i nostri, che riportavano frasi dell’artista e poeta Samivel. Ha ricordato Piero Belletti che di quel “commando” faceva parte: «In quel periodo i rapporti tra parco nazionale e abitanti locali erano particolarmente tesi: la decisione della magistratura di Aosta di inglobare anche il fondovalle della Valsavarenche nel territorio protetto non era stata digerita dagli abitanti, che lo ritenevano una inattesa e imprevista violazione dei loro diritti. (...) Tra le prime iniziative di protesta vi fu appunto l’affissione di numerosi manifestini multicolori contenenti frasi tipo “PNGP=SPQR” e quella in vernice durevole sulla cappella del Buillet “Defenden les ommo, pas les fleures”, simmetrica nel regno vegetale a quella precedente di una decina d’anni, comparsa a Pescasseroli nel Parco nazionale d’Abruzzo: “Prima l’uomo, poi l’orso”». I testi dei nostri “tazebao” «inneggiavano all’importanza della tutela ambientale, come “Il parco nazionale protegge contro l’ignoranza e il vandalismo: beni e bellezze che appartengono a tutti”, “Acque libere, uomini liberi: qui comincia il paese della libertà, la libertà di comportarsi bene“, “Il parco nazionale è il grande giardino di tutti ed è anche una vostra eredità personale”».
Seppi anni dopo da un protagonista dell’impegno per la tutela della lingua francoprovenzale valdostana (in cui vennero scritte quelle rivendicazioni), di cui divenni amico, che il Parco in quegli anni fu messo nel mirino degli attacchi di chi si batteva per l’autonomismo regionale ed eretto a simbolo delle presunte vessazioni coloniali da parte dello Stato nazionale. Così mi spiegai quelle innaturali avversioni destinate fortunatamente a convertirsi, tempo dopo, in proficue collaborazioni.
Finimmo il nostro blitz ecologista confluendo all’alba nella casa del Parco di Rhêmes Notre Dame, dove nel frattempo erano arrivati a ristorarsi anche i guardaparco che nella notte avevano partecipato al tentativo di reintroduzione della lince con il lancio di alcuni esemplari.
Peccato che l’intesa con il parco nazionale cecoslovacco fece sì che vennero consegnati soltanto esemplari maschi, destinati ben presto a dileguarsi - come legge di natura vuole - alla ricerca di femmine rimaste distanti migliaia di chilometri.
Negli stessi anni la lince risultava peraltro presente in Svizzera, come mirabilmente raccontato in un bel documentario del 1988 di Michel Strobino (Au domaine du Lynx), presentato al Filmfestival di Trento. In terra elvetica si è prestata particolare attenzione alla tutela della specie.
Come è accaduto in Francia, dove uno specifico piano quinquennale è stato avviato per proteggere gli esemplari giunti attraverso la Svizzera a partire dagli anni Settanta e che ora si concentrano nei Vosgi e nel massiccio del Giura, dove vivono i 2/3 dei circa 150 individui presenti oltralpe.
Dell’Italia abbiamo detto. Della lince che sembra essere tornata in quel Gran Paradiso che quasi cinquant’anni fa avrebbe voluto riaccoglierla, ci auguriamo possa stabilizzarsi, per completare una catena biologica e alimentare preziosa per la biodiversità del territorio del Gran Paradiso.
Lasciatemi pensare che l’esemplare catturato dalle fototrappole possa essere un pronipote di una di quelle rilasciate, senza successo. che ha voluto tornare sulle tracce dei suoi antenati.

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