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Estinzioni: quando muoiono le specie(?)

Ferdinando Boero
Fondazione Dohrn, c/o Museo Darwin Dohrn, Napoli

Quante sono le specie sul pianeta terra?
Non abbiamo risposta a questa semplice domanda: non lo sappiamo. Ne abbiamo descritte circa due milioni ma continuiamo a trovarne di sconosciute e si stima che la risposta sia tra gli otto e i dieci milioni. Forse molte di più se consideriamo anche batteri, archea e virus.
Nell'arco della mia attività mi sono posto la domanda "quante specie di idrozoi ci sono sul pianeta?" e ho iniziato con il Mediterraneo. Quanti sono gli idrozoi (classe di Cnidari, cui appartengono, ad esempio, polipi e meduse, NdR) del Mediterraneo? L'elenco, redatto negli anni Cinquanta, ammontava a circa 200 specie; nel 2004 ho pubblicato, con alcuni colleghi, una monografia sugli idrozoi del Mediterraneo e la lista era raddoppiata. Con il proseguire degli studi sulla biodiversità il numero delle specie continua ad aumentare: invece di diminuire pare che la biodiversità aumenti.
Mi sono chiesto, allora, ma quante saranno le specie di idrozoi che magari non si trovano più? E già, se una specie entra in una lista faunistica, lì rimane, dando la sensazione che la biodiversità aumenti continuamente, man mano che si trovano specie sconosciute per l'area considerata ma conosciute altrove, o specie sconosciute per la scienza (le specie "nuove"... ovviamente per noi).

Paleontologia e estinzioni
La paleontologia studia le tracce fossili di vite passate e ricostruisce la storia della vita sul pianeta.  La storia di una specie inizia dal suo primo ritrovamento negli strati geologici e finisce con l'ultimo ritrovamento negli strati geologici successivi. Se una specie è presente, come fossile, in strati di 50 milioni di anni fa, e la sua presenza persiste fino a 20 milioni di anni fa, e poi non c'è traccia di lei nei reperti fossili successivi, si ritiene che essa si sia estinta 20 milioni di anni fa. Alcune linee evolutive arrivano fino a oggi, altre si interrompono. Come quella dei trilobiti, ad esempio. Le testimonianze fossili ci insegnano che in passato, quando non eravamo in giro a far danni, ci sono state cinque estinzioni di massa. Ora stiamo parlando della sesta, causata proprio da noi.
La paleontologia, quindi, ci insegna che l'estinzione è un fatto naturale: le specie muoiono come muoiono gli individui e, in questo contesto, potrebbero essere considerate alla stregua di meta-individui soggetti anch'essi all'invecchiamento e, infine, alla morte. L'estinzione altro non è che l'invecchiamento di una specie che, perso il vigore di un tempo, alla fine cede.
Si può morire di morte naturale, dopo una lunga vita, oppure si può morire per fattori accidentali, mentre si è ancora nel vigore degli anni (ad esempio per l'impatto di un asteroide), oppure si può morire assassinati, come pare stiamo facendo noi per le specie che uccidiamo in modo industriale con il prelievo, ad esempio con la pesca, o con la deliberata distruzione, come i disboscamenti per fare spazio all'agricoltura industriale. Un modo sottile di uccidere consiste nel "far morire" le specie, creando condizioni ad esse avverse senza prenderle necessariamente di mira. L'inquinamento non uccide: fa morire. E questo vale anche per noi.
La paleontologia, però, ci insegna che l'assenza dalle testimonianze fossili non necessariamente implica l'estinzione. I fossili viventi, infatti, sono specie (più spesso generi) presenti in reperti antichissimi e assenti nei reperti fossili più vicini a noi; questo viene interpretato come prova della loro estinzione. Fino a quando non si trovano esemplari vivi e vegeti che dimostrano come una linea evolutiva possa scomparire dalle testimonianze fossili pur continuando a vivere. Il caso più proverbiale è quello dei pesci con le pinne lobate, probabili progenitori dei tetrapodi, ritenuti estinti da milioni di anni e trovati vivi e vegeti alle Isole Comore.

Classificazione delle estinzioni
Di solito si pensa all'estinzione come alla morte di una specie, un evento noto come "estinzione finale". Ci sono però anche le estinzioni locali, che vedono la scomparsa di una specie da località dove prima era presente e la sua presenza, comunque, in altre località. Poi c'è l'estinzione commerciale, soprattutto nel campo della pesca. Le popolazioni di specie bersaglio possono essere talmente decimate dal prelievo, di solito industriale, che la loro pesca non è più economicamente vantaggiosa: si spende di più a prendere i pochi esemplari rimasti di quanto si guadagni a venderli.
L'estinzione, però, può anche essere il preludio all'evoluzione di nuove specie. Le specie presenti oggi sul pianeta condividono discendenza comune con le specie del passato. I loro antenati sono "morti" (sono estinti) ma continuano con loro. Si parla, in questo caso, di "estinzione per speciazione": una specie si estingue diventando un'altra specie, o più specie, nel caso che due o più popolazioni occupino areali disgiunti dove l'evoluzione fa il suo corso in modo indipendente, portando all'insorgere di nuove entità biologiche differenti da quella originaria.
Volendo tornare all'analogia con gli individui, l'estinzione per speciazione implica la scomparsa di una specie a seguito di una nuova venuta, una figlia: la nuova specie. Può anche succedere che la specie "madre" resti in vita e che le sue "figlie" evolvano mentre la "mamma" cambia poco nel corso del tempo: genitori e figli coesistono. Poi, se la separazione permane, anche la specie genitrice cambia e non può più essere considerata "antenata" delle specie che derivano dalla specie originaria: tutte derivano da un antenato comune.
L'estinzione per speciazione può essere brusca ma può anche avvenire gradualmente: la specie genitrice "diventa" la specie figlia senza che sia possibile trovare un momento in cui il cambiamento avviene. Se si guardano momenti evolutivamente lontani, però, è chiaro che si tratta di specie differenti, ma se si guardano momenti evolutivamente vicini non si trova il momento in cui l'antenato si estingue dando vita al discendente.

Estinzione e rarità: a lezione da Volterra
Per misurare lo stato di salute di una specie si può valutare la consistenza delle sue popolazioni. Una specie rappresentata da tanti individui distribuiti su una vasta area geografica può essere considerata in "buona salute". Se il monitoraggio di quelle popolazioni mostra una diminuzione del numero di individui e il restringimento delle loro distribuzioni, allora si può iniziare a parlare di situazioni problematiche. Prima ci sono le estinzioni locali, poi quelle commerciali (se la specie è di interesse commerciale) seguite dall'estinzione finale.
Se fosse sempre vero questo andamento nelle abbondanze, però, potremmo anche pensare che, valutando lo stato della biodiversità in una data area, tutte le specie rappresentate da pochi individui (le specie rare) siano in pericolo di estinzione. Se così fosse, la grande maggioranza delle specie dovrebbe essere sull'orlo dell'estinzione!
Se le valutazioni sono a lungo termine, però, si possono osservare casi come quelli descritti da Vito Volterra riguardo alle fluttuazioni di prede e predatori. Verbalmente, il modello di Volterra si può descrivere come segue: in un dato momento, la specie preda è molto abbondante e il predatore è raro. L'abbondanza delle prede favorisce il predatore e ne garantisce il successo riproduttivo, portando ad un incremento dell'entità delle sue popolazioni. La pressione del predatore sulle popolazioni della preda, dovuta all'aumento di "bocche da sfamare" nelle popolazioni di predatori, fa diminuire la numerosità della preda che, quindi, diventa rara. La rarità della preda riduce la disponibilità di risorse per il predatore che, quindi, va incontro a una riduzione delle sue popolazioni, tornando alla rarità. La rarità del predatore allenta la pressione sulla preda che, quindi, torna ad aumentare. E il gioco ricomincia.
Non è detto che sia sempre così, comunque. Un gatto portato su un'isola dove vivono uccelli che nidificano a terra e che non sono etologicamente adattati ad interazioni con predatori può sterminare la popolazione in pochissimo tempo: l'uccello in questione è uno scricciolo endemico di una piccola isola della Nuova Zelanda, sterminato da un gatto (e dai suoi figli) che faceva compagnia al guardiano di un faro. Una fine simile è toccata al famoso dodo di Mauritius. Si trattava, però, di specie terrestri, molto vulnerabili, e con habitat molto ristretto.
Questo non vale, però, per il tilacino, visto che Australia e Tasmania hanno dimensioni ragguardevoli.
Dato che le estinzioni documentate sono veramente poche, come possiamo avanzare l'ipotesi che una specie sia estinta?

Scavare nelle testimonianze tassonomiche e biogeografiche
Per studiare la biodiversità bisogna conoscere la letteratura tassonomica e questa può essere utilizzata come una sorta di informazione paleontologica.
Usando la letteratura sugli idrozoi come se fosse una testimonianza fossile, assieme ad alcuni colleghi, ho ricostruito la storia di ogni specie di idrozoo del Mediterraneo, attraverso la letteratura. L'inizio della storia tassonomica è segnato dalla descrizione della specie. Per gli animali la storia inizia nel 1758, quando Linneo pubblica la decima edizione del suo Systema Naturae. Da allora il numero di specie è sempre aumentato. Una specie viene trattata nella letteratura anche dopo la sua descrizione: i nuovi ritrovamenti ne ampliano l'areale di distribuzione, gli studi ecologici mostrano i suoi rapporti con l'ambiente abiotico e biotico, e poi ci sono studi fisiologici, etologici. Mettendo assieme tutti i lavori in cui una specie è trattata si ricostruisce la sua "storia tassonomica": la storia della sua conoscenza.  Una specie comune è citata spesso e ogni studio ecologico riguardante i suoi ambienti di elezione la riporta. Altre specie sono riportate meno frequentemente. Come già rimarcato, la maggior parte delle specie è rara e non è facile da trovare, altrimenti non ci sarebbero circa sei milioni di specie ancora da scoprire.
L'analisi della presenza di 398 specie mediterranee di idrozoi nella letteratura tassonomica ha rivelato che 53 specie (il 13% del totale) non si trovano da più di 40 anni. Tricyclusa singularis non viene ritrovata da più di un secolo e mezzo, cioè dalla sua descrizione originale nel Golfo di Trieste.  Tutte le citazioni della specie in letteratura non sono altro che citazioni della descrizione originale.
Non è facile documentare con certezza l'estinzione di una specie, a meno che si tratti di specie molto grandi e di facile identificazione, come i cetacei. Queste 53 specie di idrozoi che mancano all'appello potrebbero essere molto rare, gli ambienti in cui vivono potrebbero essere stati poco coperti dai campionamenti, o potrebbero essere rimasta inosservate a causa di scarsa competenza tassonomica da parte di chi ha analizzato i campioni di biodiversità. In questi casi, piuttosto che parlare di estinzione si può parlare di estinzione putativa: l'estinzione è un'ipotesi che deve essere vagliata. Per farlo bisogna cercare attivamente le specie che non si trovano più da decenni, andandole a cercare dove, in passato, sono state ritrovate. Se questi campionamenti mirati non portano a ritrovamenti, l'ipotesi dell'estinzione diventa molto solida.
La biodiversità del Mediterraneo ammonta a circa 17.000 specie. Se le estinzioni putative corrispondessero a quelle rilevate per gli idrozoi (13%) si potrebbe ipotizzare che circa 2.200 specie mediterranee potrebbero essere estinte.
Per gli inventari di biodiversità, invece, il numero delle specie è in continuo aumento, visto che non è mai successo che una specie fosse rimossa dalle liste, proprio come avviene per Tricyclusa singularis, mai più trovata ma sempre presente nelle liste di specie del Mediterraneo.
Non mi risulta che una specie marina mediterranea sia stata dichiarata estinta, a parte un piccolo mollusco maltese che poi è stato ritrovato vivo e vegeto.

Le liste rosse
Le liste rosse di solito comprendono specie abbastanza appariscenti che pare siano in pericolo di estinzione. Sui siti IUCN, comunque, le estinzioni documentate sono pochissime (circa 40), mentre sono relativamente tante le specie che potrebbero correre qualche rischio. Si tratta comunque di numeri veramente esigui se confrontati con l'entità delle specie attualmente descritte (circa due milioni) e con la stima del numero di specie che potrebbero essere presenti in natura (tra otto e dieci milioni). Papa Francesco, nel capitolo 34 di Laudato Si', parla di specie minacciate di estinzione e ci mette in guardia dall'esprimere troppa preoccupazione per il destino di specie molto "evidenti": Probabilmente ci turba venire a conoscenza dell’estinzione di un mammifero o di un volatile, per la loro maggiore visibilità. Ma per il buon funzionamento degli ecosistemi sono necessari anche i funghi, le alghe, i vermi, i piccoli insetti, i rettili e l’innumerevole varietà di microorganismi. Alcune specie poco numerose, che di solito passano inosservate, giocano un ruolo critico fondamentale per stabilizzare l’equilibrio di un luogo. Il collegamento tra le specie (la biodiversità) e il funzionamento degli ecosistemi ci mette in guardia da approcci emotivi che potrebbero indurci a eccessiva preoccupazione per cose poco importanti e a sottovalutazione di fenomeni di grande rilievo. Quale è il ruolo ecologico delle specie di cui tanto ci preoccupiamo? Francesco ci parla delle specie architrave (keystone) che, pur non essendo rappresentate da grandi quantità di individui, possono avere ruoli essenziali nel determinare la stabilità degli ecosistemi. Spesso si tratta di predatori che rimuovono gli individui di specie potenzialmente monopolizzatrici della biodiversità, permettendo che altre specie abbiano la possibilità di esprimersi ecologicamente.
Sarebbe interessante, a questo punto, "pesare" l'importanza delle specie minacciate in base ai loro ruoli ecologici ma si tratterebbe di un esercizio di scarsa attendibilità perché, per la stragrande maggioranza delle specie che hanno un nome, le conoscenze sono molto rudimentali: raramente conosciamo i cicli biologici delle specie, per non parlare della loro posizione all'interno delle reti trofiche, il che rende problematica la valutazione dell'impatto di possibili estinzioni.
Le liste rosse comprendono specie  un tempo comuni e ora diventate rare, oppure specie con areali molto limitati e costituite da popolazioni di piccole dimensioni, anch'esse, quindi, classificabili come "rare".

Le specie Lazzaro
Alzati e cammina, dice Gesù a Lazzaro, resuscitandolo. Le specie Lazzaro, dopo esser state considerate estinte a causa di assenza prolungata di ritrovamenti, sono "riapparse" in natura. La loro estinzione era soltanto presunta e non è detto che specie dichiarate estinte possano "tornare" spontaneamente alla ribalta, sovvertendo dichiarazioni di morte presunta.  

Ancora rarità: rischio o opportunità?
La rarità può essere soffusiva quando una specie è rara in molte località ma è comune in almeno un sito, oppure diffusiva, quando una specie è rara ovunque, all'interno del suo areale. La scarsa numerosità di individui implica che la specie sia geneticamente "povera" in termini di variabilità. Piccole popolazioni vanno incontro a colli di bottiglia che restringono la loro variabilità genetica e, in teoria, le mettono a rischio di estinzione. Il collo di bottiglia, però, potrebbe anche essere il risultato di selezione naturale che, eliminate espressioni negative di variabilità genetica, permette solo l'espressione di adattamenti vantaggiosi. A questo punto l'effetto fondatore (fondare una nuova popolazione a partire da pochi individui, con scarsa variabilità genetica) può innescare processi che possono portare persino all'insorgere di nuove specie.
Le specie rappresentate da molti individui sono spesso soggette a selezione stabilizzante e il flusso genico che collega praticamente tutti gli individui "appiattisce" la variabilità. Paradossalmente, quindi, l'evoluzione può diventare più "creativa" quando una specie è apparentemente in crisi, attraversa un collo di bottiglia e poi riparte, con l'insorgere dell'effetto fondatore. Il rischio di estinzione c'è, ma c'è anche l'opportunità di novità evolutive in termini di adattamento a nuove condizioni.
La già citata dinamica di predatore e preda nel modello di Volterra, si ripete nelle specie che vogliamo far estinguere con i pesticidi usati, in questo caso, come sostituti dei predatori.
Consideriamo un insetto nocivo, rappresentato da moltissimi individui, che viene combattuto con un pesticida. Le prime applicazioni di pesticida riducono le popolazioni ai minimi termini, tanto da eliminare la nocività della specie, ridotta ai minimi termini. Riprendiamo ora il concetto di collo di bottiglia: la specie, prima rappresentata da moltissimi individui, ora è diventata molto rara. I pochi individui rimasti sono stati selezionati dal pesticida e sono probabilmente ad esso resistenti. La resistenza era presente nella variabilità della specie, ma non era molto diffusa, tanto che la gran parte degli individui muore a seguito dell'applicazione. Restano solo gli individui resistenti che, a questo punto, iniziano a riprodursi. L'effetto fondatore fa sì che la resistenza sia trasmessa ai nuovi nati e se la specie ha grandi possibilità riproduttive si ricostituisce una popolazione in piena salute, cioè rappresentata da moltissimi individui tutti resistenti. L'applicazione dell'insetticida non dà i risultati sperati e bisogna ripetere le applicazioni per avere qualche effetto. Gli individui diminuiscono nuovamente, ma restano individui ancora più resistenti. Lo stesso succede con le popolazioni batteriche trattate con antibiotici.
La rarità diventa il momento più creativo nella storia evolutiva di una specie e, probabilmente, il passaggio da abbondanza a rarità e poi il ritorno ad abbondanza è il meccanismo evolutivo più diffuso.
In altre parole: prima di estinguersi, una specie è rappresentata da pochi individui. Ma non tutte le specie rappresentate da pochi individui sono destinate ad estinguersi.

Il lungo termine
Per capire lo stato della biodiversità occorre valutare il numero di specie presenti e le loro abbondanze relative, nei vari habitat in cui esse sono riscontrate. Se si compie un rilevamento in un dato momento, non è detto che la situazione resti invariata. Se il primo rilevamento viene preso come termine di riferimenti, ogni deviazione da quei risultati verrà ritenuta negativa a meno che il numero di rilevamenti non diventi sufficientemente ampio da garantire una vasta copertura spaziale e temporale, in grado di identificare fluttuazioni, declini, aumenti, scomparse, nuovi arrivi. L'interpretazione dei cambiamenti dipende dai rapporti tra le specie e dall'influenza del clima e delle pressioni antropiche dirette. Non è detto che ogni variazione sia negativa.
Le tartarughe marine e la Posidonia oceanica sono state a lungo considerate specie mediterranee ad alto rischio di estinzione. I siti di nidificazione delle tartarughe erano molto limitati e la posidonia si riproduceva solo asessualmente, ad indicare uno stato di disagio delle popolazioni. Con il riscaldamento globale questi rettili marini si sono spinti sempre più a nord e la specie, per quanto riguarda il Mediterraneo, è definita di "least concern" nelle liste IUCN delle specie a rischio. Se ne pescano tante perché... ce ne sono tante. Le fioriture di posidonia sono sempre più frequenti e la pianta marina ha ripreso vigore. Le due specie, probabilmente, sono favorite dall'aumento di temperatura che, invece, ha effetti devastanti sulle specie ad affinità fredda, come le gorgonie e molte spugne.
La valutazione dello stato della biodiversità richiede l'allestimento di osservatori che prendano in considerazione la presenza e l'abbondanza delle specie nei vari habitat, e le osservazioni devono essere ripetute regolarmente.

L'indice storico di biodiversità
L'Italia è il primo paese al mondo ad aver compilato la lista delle specie animali (marine, terrestri e d'acqua dolce) presenti nel suo territorio. Esiste anche una classificazione degli habitat, anche se grossolana, come proposto dalla Direttiva Habitat.
Incrociando la lista delle specie con quella degli habitat è possibile compilare liste di specie ritrovate in ogni tipologia di habitat che, quindi, diventa un'ipotesi: se un dato habitat è presente, allora in esso dovrebbero riscontrarsi le specie che, in passato, si sono registrate in quell'habitat.
Se un campionamento in un habitat porta al ritrovamento di tutte le specie registrate in quell'habitat nella storia dello studio della biodiversità, allora l'indice vale 1. Se non se ne trova nessuna allora è 0. Se si trovano specie non presenti nella lista, esse vanno semplicemente aggiunte alla lista. Raramente si troveranno valori estremi (o 0 o 1) e, più spesso, i valori saranno intermedi. Un habitat in cui, in una data località, l'indice vale 0.7 è più ricco di specie dello stesso habitat in cui, in un'altra località, l'indice vale 0.3.
Di solito, nelle valutazioni, si fa l'elenco di quel che si è trovato ma l'applicazione dell'indice storico di biodiversità ci dice non solo le specie riscontrate ma anche le specie assenti: quelle presenti nella lista che non sono state ritrovate nel rilevamento.
Se, a seguito di valutazioni temporali e spaziali dello stato della biodiversità in un dato habitat, esiste un certo numero di specie che non risulta mai presente, è possibile sollevare casi di estinzione putativa da investigare con maggiore attenzione.
Molte specie hanno stadi di resistenza e possono riapparire dopo lunghi periodi di assenza, altre specie possono estinguersi localmente ed essere reintrodotte da siti limitrofi dove sono sempre state presenti. Ogni situazione andrà affrontata caso per caso. Si possono proporre soglie temporali al periodo di assenza: per quanto tempo una specie non deve essere trovata perché se ne dichiari l'estinzione putativa? Ovviamente i tempi sono diversi per specie di grandi dimensioni e molto evidenti, rispetto a specie poco appariscenti e di piccole dimensioni, magari tipiche di habitat poco studiati o di gruppi poco studiati.
L'applicazione dell'indice storico di biodiversità a tutta la fauna e alla flora italiane porterebbe a lunghe liste di specie putativamente estinte se, ad esempio, si considerassero 40 o 50 anni di assenza di segnalazioni come campanelli di allarme.

Al lupo al lupo
Durante il secondo congresso mondiale sulla biodiversità marina, ad Aberdeen, una relazione ad invito trattò delle estinzioni in mare e il relatore parlò di sesta estinzione di massa. Alzai la mano e gli chiesi di nominarmi cinque specie marine estinte. Non minacciate, estinte localmente, estinte commercialmente, gli chiesi quali fossero le estinzioni documentate. Imbarazzo. Non ne seppe dire neppure una. Io ne avevo diverse, oltre a Tricyclusa singularis, ma lui no. Quale sarebbe la reazione di un politico che, a fronte di continui allarmi sulle estinzioni, ponesse la domanda che ho posto io al relatore di quel congresso, sentendosi rispondere che non lo sappiamo? Se fossi quel politico direi: ma sapete di cosa state parlando? Se qualcuno mi dicesse che milioni di persone moriranno per un determinato motivo gli chiederei quanti sono attualmente i morti. E se non mi sapesse rispondere perderei fiducia nel suo allarme. Il che è male, perché quel che ho trovato per gli idrozoi ci dice che le estinzioni ci sono eccome. Anche se bisogna capire se ne siamo responsabili.

Responsabilità dirette e indirette
Il riscaldamento globale causa l'aumento delle temperature superficiali degli oceani e dei mari e sono documentate mortalità di massa di animali marini dovute al surriscaldamento delle acque marine. Parallelamente, però, si assiste all'instaurarsi di specie tropicali in mari dove prima non erano presenti. In Mediterraneo sono stati registrati numerosi casi di mortalità massive dovute a ondate di calore ma, contemporaneamente, si registra l'instaurarsi di migliaia di specie tropicali che, oggi, formano popolazioni fiorenti dove prima erano assenti.
La biodiversità risponde ai cambiamenti. Le specie ad affinità fredda non sono morte per l'arrivo di specie ad affinità calda, sono morte per il caldo. Lo spazio ecologico vacante è stato riempito da specie preadattate alle nuove condizioni.
Gli impatti che hanno portato a questa situazione sono di origine antropica ma il riscaldamento globale non è stato generato direttamente nei luoghi dove il suo impatto ha causato problemi a specie con determinate caratteristiche: quelle specie non hanno problemi a causa di comportamenti degli umani che vivono proprio in quei luoghi. I ghiacci polari, ad esempio, non si sciolgono per le attività di popolazioni che vivono in prossimità dei poli: l'impatto è indiretto e le responsabilità sono su scala globale.
La rimozione di impatti diretti è relativamente facile, mentre è difficile rimuovere gli impatti indiretti. Le aree protette evitano gli impatti diretti ma non quelli indiretti che, viste le ripercussioni del riscaldamento globale, sono molto più drammatici.

Dall'emotività alla conoscenza
Come suggerito da Papa Francesco, l'estinzione possibile di specie carismatiche causa reazioni emotive che ci spingono a voler "salvare" le specie in pericolo, ignorando la complessità dei fenomeni che stiamo causando con le nostre azioni. La conoscenza della biodiversità è rudimentale anche solo in termini di specie conosciute ma è ancora più drammatica la scarsa conoscenza della biologia e dell'ecologia delle specie conosciute.
Dato che l'estinzione è un fenomeno naturale e fa parte del gioco dell'evoluzione, potremmo compiere enormi sforzi per salvare specie arrivate alla fine della loro storia evolutiva, mentre non ci curiamo di specie molto importanti che potrebbero essere ancora sconosciute, come le specie "keystone" ricordate da Francesco.

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