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Francesco Corbetta: addio vecchio botanico

Valter Giuliano

Francesco Corbetta (Zeme, 3 febbraio 1932) si è spento, il 6 settembre 2019 nella sua abitazione di Bologna.
Nella tanto amata e mai dimenticata Lomellina aveva passato la sua gioventù ed era stato uno degli animatori più attivi delle goliardia mortarese, fondando l'associazione il Circolo universitario mortarese. A lui si deve altresì la costruzione della cappelletta votiva ad angolo di via Cortellona a Mortara.
Poi la laurea in scienze biologiche, nel 1955, all'Università di Pavia e la docenza in botanica negli atenei di Bologna, Ferrara e Catania.
In seguito, titolare di cattedra, ha insegnato Botanica applicata all'Università dell'Aquila dal 1983 al 2003, assumendo anche la direzione del Dipartimento di Botanica. Al suo attivo ha oltre 300 pubblicazioni scientifiche e numerosi saggi divulgativi.
Fu particolarmente interessato all’indagine floristica in aree mediterranee del Sud Italia, in particolare in Basilicata, negli Alburni, nel Cilento e nella Sila. Un ruolo fondamentale lo svolse nell'ideazione e nell'istituzione del Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, di cui divenne poi direttore.
Fece altresì parte del Consiglio direttivo del Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna e del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga.
Ha fatto parte del Consiglio Nazionale dell'Ambiente, Presidente del Comitato scientifico della Fondazione Villa Ghigi di Bologna (dal 1981) quando l'istituzione era ancora denominata Centro Villa Ghigi.
Il professor Corbetta si impegnò, sin da subito, nel movimento per la tutela degli interessi ambientali.
Dal 1976 al 1979, per la prima volta, assunse la carica di Presidente dell’Unione Bolognese Naturalisti, che ricoprirà ancora nei periodi dal 1984 al 1987 e dal 1998 al 2001.
Nella nostra Federazione Nazionale Pro Natura Francesco esordisce molto presto e lo incrociamo sulle pagine di Natura e Società e nel Consiglio sin dagli inizi degli anni Settanta.
Ricoprirà la carica di Segretario generale tra il 1976 e il 1986, quando sarà chiamato alla Presidenza che reggerà sino al 1993, restando nel Consiglio direttivo sino al 1999.
A lui e alla sua generosità si deve l’avvio del programma delle Oasi di protezione della Federazione, che partì proprio con la cessione dei terreni di sua proprietà in territorio pavese, la sua natia e mai dimenticata Lomellina.
Le motivazioni del suo impegno sono ben sintetizzate in queste riflessioni: «La Federazione Pro Natura ha recentemente costituito commissioni di esperti nei vari campi in cui si può articolare la problematica conservazionista che annoverano il fior fiore del mondo scientifico italiano e, in qualche caso, internazionale. Per quanto poi concerne la qualità della attività svolta, assistiamo ad una sorta di antipatico (e soprattutto non veritiero) luogo comune per cui alle associazioni (che avrebbero la colpa di agire, si dice, su basi emotive e non scientifiche o razionali) spetterebbe unicamente il ruolo di denuncia mentre le società scientifiche dovrebbero rimanere chiuse ed arroccate nella purezza della turris eburnea di una asettica Scienza e non “sporcarsi le mani”, anche loro, nella politica attiva di conservazione e difesa dei beni naturali. Personalmente non sono d’accordo su queste semplicistiche schematizzazioni per due motivi.
Il primo è che la valutazione di cui sopra (emotività ascientifica), oltreché gravemente lesiva del prestigio delle Associazioni, è anche gravemente inesatta per non dire falsa del tutto. Infatti, per quanto mi consta, spesso e volentieri le Associazioni, oltre alla attività di denuncia, sanno anche produrre documentazioni e studi scientificamente ineccepibili.
L’altro è che nella situazione di emergenza in cui versiamo non riconosco alle Società scientifiche questo perbenismo in guanti bianchi e il diritto di non battersi esse pure, in prima fila, fianco a fianco con le Associazioni ambientalistiche, contro l’onnipresente nemico di sempre: la speculazione e, più ancora, l’ignoranza!» (da I movimenti portatori di interessi ambientali, intervento alla Giornata dell’ambiente presso l’Accademia dei Lincei, Roma 5 giugno 1985).
Con Francesco ho collaborato, spesso discusso, talvolta litigato.
Ma tra noi non mancò mai il rispetto.
Mi concesse di firmare, con lui, un’indagine fitosociologica sulla vegetazione del Bosco della Partecipanza di Trino Vercellese, in cui ci incontrammo per una giornata, per me, ricca di esperienze e di insegnamenti.
Quando assunse la direzione della nuova serie di “Natura e Montagna” mi onorò, inaspettatamente, di inserire il mio nome tra i redattori. Rimasi nel colophon, per un solo numero. L’irascibile Corbetta non esitò a depennarmi.
Terreno di scontro, ma francamente non ricordo, fu probabilmente la nostra diversa visione sul ruolo dell’associazione che ho sempre voluto più “politico”, andando spesso in minoranza.
Era fatto così, ma neppure quell’episodio alienò la strana empatia del nostro rapporto.
Restò il rapporto di affetto e la stima, perché Francesco era, prima di tutto, un gentiluomo.
Giovane ecologista, all’incontro con il Professore universitario mi colpì, nelle prime riunioni del Consiglio direttivo all’Istituto di Botanica di via Irnerio a Bologna, trovarlo effigiato, proprio all’ingresso dell’Istituto, sotto forma di organo sessuale maschile, che qualche suo allievo con innegabili doti grafiche (forse meno in botanica) aveva disegnato. Quella “ testa di C...orbetta” che lui non volle fosse cancellata mi rivelò molto della sua intelligenza, del suo spirito rimasto gogliardico e della sua autoironia, dote che resta, nella mia concezione della vita, tare le più apprezzabili e meno praticate.
E non scordo la sua amabile ospitalità, nella gradevole e preziosa abitazione nel centro storico  bolognese, allietata da una cena con deliziosi arrosticini di rognoni con alloro.
Era, la passione per la gastronomia semplice ma di qualità, un altro segno distintivo di Francesco, probabilmente un’eredità antica sprofondata nelle terre contadine di Lomellina e poi rinnovata nei gusti straordinari del Cilento dove, da Acciaroli, non mancava di mandare lettere con le sue riflessioni sulle questioni ambientali. Il cibo come elevazione dello spirito che si nutre di gusto: un imprinting mai dimenticato. Ma anche prodotto di un equilibrio con la natura e con la terra, di ricostruire e riconquistare.
Del suo valore scientifico parlano curriculum e pubblicazioni, insieme a una carriera non sempre agevolata (e qualche volta se ne lamentò...).
Del suo impegno in campo ambientale - in epoche nelle quali non era di moda e non agevolava carriere universitarie - ho trovato tracce numerose (provando ogni volta per lui gratitudine) nel momento in cui sto lavorando alla ricostruzione di settant’anni di vita della nostra Federazione.
Tra le carte che sto leggendo – lettere accorate, inviate a Presidenti e Consiglieri di turno, articoli pubblicati sugli organi di informazione della Federazione – emerge una passione e una totale dedizione alla causa della Pro Natura e un costante impegno nel migliorarne la presenza nazionale.
Mi è venuto, d’istinto, il desiderio di risentirlo, per esprimergli gratitudine. Il destino non ci ha concesso quest’ultima opportunità e mi costringe a dargli l’ultimo saluto soltanto con queste inadeguate righe scritte con l’affetto e l’amicizia che avrei voluto dirgli.
Che non possono concludersi se non con le sue parole di cultore della storia e della memoria. Francesco ci ha consegnato, in ultimo, un suo diario di vita (Il vecchio botanico racconta) che presenta così: «il botanico è ormai vecchio… Pensa sempre, con acuta nostalgia, persino a periodi della sua vita che allora aveva ritenuti bui… l’attività didattica… qualche bella escursione…
La tensione interiore sale e allora il vecchio botanico sente il bisogno di raccontare. Ed ecco questo libriccino di racconti, ovviamente botanici, ma non solo...
Quando poi il discorso cade su piante mangerecce allora non resiste alla tentazione e vi infligge le sue ricette: dai natii risotti o “barbarici” piatti di cavoli…
Il vecchio botanico è… un torrente in piena e si è imposto – con grande sacrificio – di limitarsi.»

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Giuliano Cervi

A metà degli anni 70 il mondo ambientalista era connotato da un forte attivismo, sull'onda di un affascinante scenario che prospettava alle giovani generazioni la possibilità di ribaltare le dinamiche che stavano arrecando gravi danni al patrimonio naturalistico e culturale italiano. L'entusiasmo giovanile supportava un dinamico coinvolgimento a tutto campo, che trovava degli importanti interlocutori nelle più importanti associazioni italiane per la protezione della natura. Sull'onda di questo stato emotivo, dopo aver svolto intensa attività all'interno di Italia Nostra e del Club Alpino italiano, ebbi occasione di incontrare per la prima volta il professor Francesco Corbetta nel 1977, all’atto della costituzione del Coordinamento Regionale delle Associazioni per la protezione della natura dell'Emilia Romagna. Il suo attivismo, abbinato ad una profonda competenza scientifica non disgiunta da una grande disponibilità al confronto, mi colpirono inducendomi ad avviare la collaborazione con la Federazione Nazionale Pro Natura, che col tempo si tramutata in un autentico percorso di vita. Ciò che più mi colpì del professor Corbetta fu la sua disponibilità a dare fiducia a tutti coloro che intendevano impegnarsi nella difesa dell'ambiente naturale, affidando loro sin dal primo momento dei precisi compiti operativi. In tal modo, sotto la sua attenta regia, nel 1984 fu costituita la Pro Natura di Reggio Emilia e poco dopo ebbe inizio l'affascinante ma impegnativo  percorso che portò alla istituzione delle prime Oasi della Federazione. In quegli anni accompagnai il professor Corbetta in diverse località dell'Italia centro-settentrionale: dagli scenari alpestri della torbiera di Pian del Re sotto il Monviso, alle pianure dell'Agogna Morta, passando attraverso i ripidi versanti vulcanici del Monte Prinzera per giungere alle paludose risorgive della Pegolotta. Il suo fermo impegno protezionistico, non disgiunto dalla capacità di creare rapporti di amicizia con tanti diversi interlocutori, consentì di porre le condizioni favorevoli per dare origine ad un primo nucleo di aree protette ,che per le loro diverse caratteristiche offrono un importante quadro conoscitivo della complessa varietà dell'ambiente naturale italiano. Il professore era ben conscio che la sola acquisizione delle aree non era sufficiente ad assicurarne l'efficace salvaguardia: per questo motivo si impegnò per riuscire a creare un'articolata rete di appassionati cultori locali, che divennero ben presto i diretti custodi e gestori di queste oasi, facendosi   parte attiva di molteplici attività ed iniziative costantemente ed intelligentemente suggerite dalla sua esperienza umana e grande capacità comunicativa. La sua è stata una grande scuola che ha permesso di comprendere i complessi processi anche psicologici che sono alla base dell'impegno protezionistico italiano, nel quale l'azione di tutela, per essere realmente efficace, non può disgiungersi da una precisa strategia di coinvolgimento e compartecipazione delle comunità locali. In tale scenario diventavano fondamentali i momenti conviviali intesi come strumento di diffusione della conoscenza scientifica, ma anche di crescita di quel senso di appartenenza e di consapevolezza che è alla base delle più’ efficaci istanze di salvaguardia. Il suo attivismo fu incessante: proponeva in continuazione iniziative per supportare le “sue oasi”, per estendere l'attivismo protezionistico e promuovere la divulgazione della cultura naturalistica. Le sue “erbacciate“ hanno fatto epoca: partendo da approcci rigorosamente accademici si giungeva ad affrontare il mondo della botanica anche in termini squisitamente gastronomici, coniugando in modo estremamente efficace la conoscenza scientifica con il momento ludico, raggiungendo in tal modo l’obiettivo di avvicinare    il più vasto pubblico alle istanze protezionistiche, creando i presupposti per l'instaurarsi di profondi rapporti umani che rappresentano probabilmente il più grande valore che ci ha trasmesso il Professore. Per tutti questi aspetti fu un autentico antesignano dei moderni scenari della divulgazione scientifica e certamente il maggiore interprete del motto della Federazione: Far conoscere la natura perché conoscendola la si ami e amandola la si protegga.

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