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La gestione dei bacini degli invasi

Andrea Dignani
(geologo – www.geostudiodignani.it)

Con il cambiamento climatico, la tendenza futura porterà ad accentuare le crisi idriche. Questo trend  si  inserisce in un contesto ambientale gravemente provato da una gestione del territorio che per decenni ha perseguito uno sviluppo economico senza tener conto dei vincoli ecologici. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Negli ultimi 50 anni abbiamo alterato gravemente più dell’80% degli habitat fluviali  e distrutto più del 50% delle aree umide.
Nell’attuale dibattito sull’accumulo idrico soprattutto per il settore agricolo, si inseriscono tre soluzioni con diverse problematiche scientifiche e sociali.
- Stoccare l’acqua in falda. La ricarica controllata della falda determina vantaggi per prevenire la subsidenza indotta dall’abbassamento della falda; inoltre, le falde più elevate rilasciano lentamente acqua nel reticolo idrografico sostenendo le portate di magra. I sistemi di ricarica controllata consumano meno il territorio, per essi è più facile trovare siti idonei. Condizioni fondamentale per queste pratiche sono le opportune condizioni geologiche ed idrogeologiche.
- Laghetti collinari. I laghetti collinari possono essere considerati serbatoi di piena ad uso multiplo. Questo tipo di opere sfrutta la morfologia collinare all'interno della quale sono individuati molteplici sistemi di bacini imbriferi: un impluvio sbarrato da una piccola diga in terra trasforma parte di un letto torrentizio in un laghetto artificiale, il quale può avere, a seconda dei casi, le capacità d'invaso più varie. I laghetti sono tipici dell’ambiente appenninico. La morfologia offre innumerevoli possibilità di collocazione degli invasi e presenta le condizioni idrogeologiche ideali in quanto generalmente i terreni che costituiscono i rilievi sono caratterizzati da permeabilità molto basse. Per contro, queste zone collinari sono spesso caratterizzate da diffusi fenomeni di instabilità a causa delle caratteristiche geotecniche dei terreni. È fondamentale quindi uno studio geologico e geomorfologico attento dell'area destinata ad accogliere l'invaso.
- Dighe. Una diga è uno sbarramento artificiale permanente realizzato per creare un lago artificiale. Quando una diga produce un invaso superiore al milione di metri cubi, o è alta più di 15 m, prende il nome di "grande diga" e il suo controllo spetta direttamente allo Stato. Quando supera i 10 m di altezza o i centomila metri cubi risulta essere sotto il controllo delle Regioni. Per dimensioni inferiori, il suo controllo spetta al gestore che può essere anche privato. Un esempio di diga per l’accumulo idrico è l’invaso di Cingoli (detto anche di Castreccioni) con la sua funzione idrica ed irrigua. Situato in provincia di Macerata, nel bacino del fiume Musone, sarà analizzato più avanti per i suoi aspetti territoriali. Gli invasi di questo tipo possono stoccare ingenti quantità di acqua e possono quindi rifornire un intero comparto agricolo posto generalmente a valle dello stesso invaso. La gestione risulta complessa, come la manutenzione dell’invaso che inevitabilmente tende ad interrarsi. La realizzazione di queste opere risulta costosa, complessa ed occorrono molti anni (anche dieci o più anni) per la realizzazione. Sono iniziative che creano un impatto sul territorio e generano conflitti sociali tra sostenitori e scettici sulla necessità realizzativa.

Principali problemi ambientali delle dighe
Le dighe perdono molta acqua per evaporazione, soprattutto nel sud Italia. Negli invasi più piccoli l’acqua può avere temperature elevate, con formazioni di condizioni anossiche, fioriture algali e sviluppo di cianotossine che potrebbero compromettere il successivo utilizzo delle stesse acque.
Per mitigare  il riscaldamento dello specchio d’acqua occorre operare attraverso la rinaturalizzazione delle sponde con una diversificazione morfologica longitudinale e trasversale per attivare, soprattutto in estate, la circolazione termica verticale. La differenza di temperature tra le zone di sponda, quelle centrali e quelle profonde, con il gradiente termico dell’aria che innesca locali venti, opera un rimescolamento delle acque più superficiali (più calde e quindi meno dense) con quelle immediatamente sottostanti (più fredde e quindi più dense), contribuendo così alla distribuzione del calore dagli strati più superficiali a quelli via via più profondi. Il fenomeno del surriscaldamento e dell’evaporazione viene così efficacemente ridotto.
Un ulteriore problema è rappresentato dall’accumulo di terreno eroso all’interno dell’invaso con la conseguente perdita di volume di acqua accumulato. In questo caso si agisce per mezzo di sghiaiatori sul fondo della diga, una pratica che produce l’interruzione dell’accumulo di acqua ma solo per un determinato periodo.  Notevole, poi, l’impatto ecologico per la quantità di sedimento riversato sul corso d’acqua a valle dell’invaso.
Un ulteriore problema nasce dalla eventuale contaminazione del sedimento accumulato per via di scarichi urbani e produttivi che possono rendere necessarie operazioni di bonifica o conferimento in discarica.

Il bacino della diga di Cingoli
Come esempio approccio metodologico per le problematiche da considerare nella gestione di un bacino,  si prende come esempio l’invaso di Cingoli (detto anche di Castreccioni), un bacino che ben rappresenta le tipiche condizioni territoriali delle regioni appenniniche.
La diga è stata realizzata negli anni Ottanta. Si tratta di un invaso della profondità massima di 55 metri, uno specchio d’acqua di 2.25 kmq, un bacino idrografico interessato di circa 75 Kmq. (Fig. 1- Elaborazione digitale)
La morfologia del bacino presenta una zona collinare centrale mentre le zone a nord-est e sud-ovest presentano caratteri fisici tipici dei rilievi appenninici (Fig. 2 – Elaborazione digitale)
La geologia e la struttura tettonica  (Fig. 3- Carta Geologia Regione Marche) del bacino trova corrispondenza con la morfologia rilevata:  la zona centrale collinare con litologie arenaceo-pelitiche in struttura sinclinatica, rilievi appenninici con litologie calcaree e struttura anticlinalica.
Come ulteriore risultato della geologia e della tettonica è anche il dato delle pendenze: le aree collinari con pendenze moderate mentre i rilievi di montagna con pendenze alte (Fig. 4 – Elaborazione digitale).
L’uso del suolo (Fig. 5 – Corine Land Cover 2018) è rappresentato da aree agricole nella zona centrale collinare, nei rilievi abbiamo boschi.
In queste rappresentazioni cartografiche-digitali sono presenti i principali elementi di studio per la gestione delle erosioni in un bacino di invaso.

Non produrre sedimenti dalle erosioni a monte
In Italia i due terzi dei suoli presentano erosioni che risultano più accentuati laddove è maggiore l’attività antropica, non solo di tipo agricolo ma anche derivante da una pianificazione urbanistica del territorio (aree urbane ed industriali con relative infrastrutture) che spesso non ha tenuto conto dell’impatto ambientale prodotto soprattutto sul suolo, con conseguente innesco di fenomeni degradativi, nella maggior parte dei casi molto evidenti.
Il processo di degradazione più evidente è l’erosione che consiste nel distacco e nell’allontanamento di particelle solide dalla superficie del suolo dovuta principalmente al ruscellamento.
La velocità e l’intensità del processo di erosione idrica dipendono non solo dall’acqua ma anche dalla geologia, dal reticolo idrografico, dal suolo, dalla pendenza e dall’uso del suolo.
Per la gestione del bacino occorre una quantificazione del materiale eroso trasportato dai corsi d’acqua verso l’invaso, il confronto tra i metodi di stima dell’erosione, la redazione di “carte del rischio erosivo” con la relativa individuazione di zone critiche e la proposta di interventi di mitigazione del fenomeno.
Le principali cause di erosione del suolo sono la deforestazione, la coltivazione senza l’adozione di misure conservative, l’uso inappropriato del suolo e le piogge intense.
Un importante fattore che limita l’erosione è rappresentato dalla quantità di sostanza organica dei suoli. Questa, infatti, migliora la struttura del terreno, la penetrazione delle radici, la capacità di tenuta dell’acqua e l’infiltrazione.

La gestione del ruscellamento
Altra questione, la gestione del ruscellamento. Si interviene lungo il versante in modo da diminuire l’erosività, oppure mediante un “rallentamento” del deflusso superficiale che causa la deposizione dei sedimenti trasportati.
Ciò può essere realizzato nei seguenti modi:
1. gestendo il reticolo di deflusso attraverso gli interventi di rinaturalizzazione;
2. modificando la pendenza o la direzione del ruscellamento mediante terrazzamenti, canali di accumulo, piccoli bacini o altre opere di sistemazione idraulico-agraria;
3. creando linee di interruzione del versante con vegetazione e canali protetti;
4. aumentando la sostanza organica nei suoli;
5. applicando pratiche agronomiche sostenibili;
6. gestendo le aree boscate preservando la continuità della copertura vegetazionale;
7. favorendo l’infiltrazione per l’accumulo in falda:
8. attuando interventi progettuali antierosivi su zone di alta criticità;
9. realizzando drenaggi urbani sostenibili in aree antropizzate;
10. creando zone umide nel fondovalle degli affluenti

Per la gestione del bacino è opportuno dotarsi di una mappa dell’erodibilità, come sommatoria e prodotto analitico, partendo dalle analisi realizzate nel bacino di Cingoli. Questa cartografia consente di individuare le aree caratterizzate dalla maggiore vulnerabilità all’erosione sulla base delle analisi e problematiche descritte. Dalla mappa dell’erodibilità è possibile trarre indicazioni per la pianificazione di azioni di mitigazione e recupero dei fenomeni erosivi a partire dalla scala di bacino per arrivare ai progetti e pratiche a scala locale.

GLOSSARIO DIGHE
(1) Altezza della diga: è la differenza tra la quota del piano di coronamento e quella del punto più depresso dei paramenti.
(2) Quota di massimo invaso: è la quota massima a cui può giungere il livello dell'acqua dell'invaso ove si verifichi il più gravoso evento di piena previsto, escluso la sopraelevazione da moto ondoso.
(3) Quota massima di regolazione: è la quota del livello d'acqua al quale ha inizio, automaticamente, lo sfioro degli appositi dispositivi.
(4) Altezza di massima ritenuta: è il dislivello tra la quota di massimo invaso e quella del punto più depresso dell'alveo naturale in corrispondenza del parametro di monte.
(5) Franco: Dislivello tra la quota del piano di coronamento e quella di massimo invaso.
(6) Franco netto: dislivello tra la quota del piano di coronamento e quella di massimo invaso, aggiunta a questa la semiampiezza della massima onda prevedibile nel serbatoio.
(7) Volume totale di invaso: capacità del serbatoio compresa tra la quota di massimo invaso e la quota minima di fondazione; per le traverse fluviali è il volume compreso tra il profilo di rigurgito più elevato, indotto dalla traversa, ed il profilo di magra del corso d'acqua sbarrato.
(8) Volume utile di regolazione: quello compreso fra la quota massima di regolazione e la quota minima del livello d'acqua alla quale può essere derivata, per l'utilizzazione prevista, l'acqua invasata.
(9) Volume di laminazione: quello compreso fra la quota di massimo invaso e la quota massima di regolazione ovvero, per i serbatoi specifici per laminazione delle piene, tra la quota di massimo invaso e la quota della soglia inferiore dei dispositivi di scarico.
(10) Volume di invaso: Il volume d'invaso è pari alla capacità del serbatoio compreso tra la quota più elevata delle soglie sfioranti degli scarichi o della sommità delle eventuali paratoie e la quota del punto più depresso del paramento di monte.

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