Giù le mani dal Parco Nazionale del Gargano
Vincenzo Rizzi
Era il 1998 quando salendo per i tornanti che da Manfredonia portano a Monte Sant'Angelo, notai un anziano signore curvo che, lentamente, arrancava sul ciglio della strada, rinchiuso nel suo paltò mentre il vento di tramontana lo sferzava. Il cielo era cupo e foriero di pioggia, mi fermai e gli chiesi se voleva un passaggio per il paese. Lui accettò, e mentre continuavo a guidare verso Monte, mi chiese in dialetto montanaro che ero venuto a fare. Gli risposi vagamente che dovevo andare in Foresta per fare dei rilievi per conto del Parco… Lui mi guardò perplesso, poi dopo un lungo silenzio mi chiese «ma poi sto parco l'hanno fatto?»
Dopo tanti anni, sinceramente, mi viene da rispondere con un grande e deciso NO.
Il parco è rimasto sulla carta, ben pochi sono stati gli interventi finalizzati a incrementare le conoscenze e a tutelare effettivamente il suo immenso patrimonio, ben poco è stato fatto per bloccare il crescente consumo di suolo. La cosa che più di altre attesta questo fallimento è la mancanza di strumenti di pianificazione tesi a proiettare il territorio nel futuro attraverso chiare linee di sviluppo, ecocompatibili e in grado di tutelare e valorizzare le risorse naturali.
Se andiamo ad esaminare con precisione tutte le risorse spese dall'Ente, ci accorgiamo che principalmente queste hanno finanziato interventi legati a eventi e iniziative che rientrano più nella sfera degli Enti di Promozione Turistica e delle Pro Loco. Il tutto in un'ottica priva di respiro.
Un parco di sagre e concerti, eventi di certo non condannabili come tali, ma che lasciano perplessi se rappresentano, insieme ai classici calendari, le principali attività su cui si l’Ente investe le sue residuali risorse, tenuto conto che gran parte del suo budget serve per coprire i costi della pianta organica. Una pianta organica ridondante di alcune figure professionali e completamente sfornita di altre, forse più utili per costruire un anima e un senso di appartenenza all’Ente.
Un Ente che ancor oggi non ha un albo fornitori, per cui incarichi e forniture rispondono a regole arcaiche di difficile lettura per chi non è all'interno di quel sistema.
Di certo la presenza di un tessuto sociale inquinato da una potentissima e diffusa mafia non ha certo agevolato le attività del Parco e le conseguenze di tale oscura presenza, forse le scopriremo negli anni a venire. Sta di fatto che ben tre comuni del Parco sono stati sciolti per mafia e diverse persone di riferimento per il territorio hanno ricevuto l'interdittiva antimafia, tra cui anche alcuni dipendenti dell’Ente.
Insomma, un quadro le cui tinte non fanno presagire l’avvicinarsi della primavera ma piuttosto, prendendo in prestito la frase di una serie televisiva di successo (Il trono di spade): L'inverno sta arrivando.
Interessante è anche dare uno sguardo alle Associazioni ambientaliste e alle singole figure di intellettuali che sono state gli artefici tra gli anni ’70 e ’90 della nascita del Parco. Un periodo avvincente di lotte che, grazie alla legge 394/91, hanno permesso l'istituzione dell'Ente Parco Nazionale del Gargano. Appare naturale porsi la domanda: ma quale ruolo hanno svolto poi le associazioni nella fase gestionale? Bene, la risposta è che hanno avuto un ruolo marginale, in parte dovuto alle costanti conflittualità interne al movimento, dove le singole Associazioni erano più prese al recupero di risorse economiche per il mantenimento delle proprie strutture sovradimensionate di personale dopo la sbornia di consensi avuti negli anni ’80.
Tutto questo ha permesso alla sempre eterna classe politica locale, ampiamente schierata storicamente con gli anti parco, di appropriarsi e poi rimanere saldamente al governo del Parco.
L’abilità di questi politici è stata ed è la capacità di far credere all'opinione pubblica che i fallimenti veri o presunti del Parco siano opera degli ambientalisti, quando questi in realtà sono stati totalmente esclusi da qualsiasi possibilità di condizionare le decisioni dell’Ente.
Basti pensare, al semplice fatto, purtroppo mai contestato dalle Associazioni ambientaliste, che le nomine che a livello nazionale vengono fatte per la costituzione dei Consigli Direttivi degli Enti Parco, non poche volte non rispondono ai criteri previsti dalla legge, che richiede specifiche competenze da parte dei consiglieri nel campo della conservazione della natura.
Non a caso, uomini politici garganici hanno più volte manifestato la propria avversità alla nomina di un ambientalista ai vertici dell'Ente, quale Presidente o Direttore del Parco.
Questa aspra polemica ha portato fratture profonde nel consiglio direttivo dell'Ente Parco, che da una parte vede i componenti dell'area che chiamerei “tecnico-scientifica” contrapporsi duramente con l'altra anima, quella “politica”.
Il risultato di questa mancanza di dialogo è stato sancito dalla nomina dell'attuale Presidente che, di certo, non si può considerare un ambientalista, e che ha manifestato più volte valutazioni critiche, per esempio sui cambiamenti climatici e sulla giovane Greta Thunberg, che rappresenta la bandiera di una nuova consapevolezza sui rischi che tali cambiamenti comportano per il nostro pianeta. Affermazioni sulle quali mi piacerebbe conoscere l'opinione del Magnifico Rettore dell’Università di Foggia e del Ministro Costa.
Per non parlare delle prese di posizione a favore di strade o la proposta di rivisitazione della norma regionale che vieta, in aree protette, l’abbruciamento dei residui vegetali derivanti da lavorazioni agricole, pratica universalmente ritenuta obsoleta e pericolosa.
L'incapacità del centrosinistra di formalizzare una candidatura competitiva alternativa a quella del prof. Pazienza evidenzia la debolezza culturale di questa componente politica, che, non accettando il dialogo con il mondo ambientalista, non è riuscita con lucidità ad individuare, anche eventualmente nella stessa Università di Foggia, personalità vicine per sensibilità politica e in grado di competere con il curriculum del candidato proposto dall'area politica vicina alla Lega. Eppure, senza ombra di smentita, queste figure sono presenti e hanno un profilo curriculare ben più vicino alle indicazioni date dal Ministro dell’Ambiente.
Forse ancor più deprimente è stato il tentativo di procedere, senza una chiara impostazione meritocratica, alla scelta della terna per il direttore del Parco, il cui esito finale è stato l'allontanamento di questa giovane dottoressa evidentemente non in linea con i desiderata della attuale presidenza.
Per non parlare di come sia stata distrutta dall’Ente Parco l’Oasi Lago Salso, realtà che tanto poteva esprimere in termini di risorsa del territorio e che invece, pur di schiacciare gli odiosi nemici ambientalisti del Centro Studi Naturalistici Onlus – Pro Natura, doveva essere chiusa e rottamata, coprendo questo avventato atto con fumose e inconsistenti proposte di ipotetico rilancio, insomma una trama degna di essere scelta da Ken Loach per un suo film.
Così come la politica ha operato per eliminare Marco Lion, già rappresentante delle Associazioni Ambientaliste nell'ambito del Consiglio del Parco.
Di certo plaudo allo sdegno dei parlamentari che hanno depositato delle interrogazioni sulla questione dell'allontanamento della Direttrice, ma se si fossero interessati prima a quello che stava accadendo, nell’avvilente ragionamento politico con cui è stata costruita la terna dei direttori, per non parlare di quanto stava accadendo all’Oasi lago Salso, forse quest'ultimo atto non si sarebbe consumato.
Probabilmente, c’è ancora tempo per invertire la rotta, ma è necessario che la politica del centro sinistra e del centro destra di Capitanata diventi inclusiva e apra un vero dialogo con le forze culturali residuali ancora presenti sul territorio, a partire dalle Associazione ambientaliste. E anche le stesse Associazioni la smettano di competere in maniera insana, screditandosi e godendo meschinamente delle altrui difficoltà.
Perché anche in questo caso rimane valido il pensiero del pastore Martin Niemölle: «Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare».
Ora è necessario intervenire, attraverso un'operazione verità.
Dobbiamo avere il coraggio di scoperchiare questo sepolcro imbiancato e di assumerci anche le nostre responsabilità per i troppi silenzi, chiedendo un commissariamento forte, foriero di una reale rifondazione dell’Ente.
Chiamatemi pure pazzo visionario, visto che ancora credo, malgrado i molteplici fallimenti di questo Ente, nel fatto che potrebbe finalmente diventare il più importante strumento di sviluppo del nostro territorio, in grado di trainare il rilancio della Capitanata attraverso parole chiave come cultura, legalità, tutela, identità, ospitalità, ecc.
C'è tanto da ricostruire sulle macerie ancora fumanti, ma la domanda è: avremo la capacità e la volontà di farlo? Ai posteri l'ardua sentenza.