Membro di
Socia della

Il futuro dell’energia

Riccardo Graziano

In Italia si sta dibattendo molto sul futuro dell’approvvigionamento energetico e della mobilità elettrica, argomenti strettamente correlati e sui quali le opinioni divergono sensibilmente nelle varie formazioni che compongono il panorama politico.

In particolare, la Destra al Governo frena sulla transizione alle rinnovabili e alla mobilità elettrica, adducendo motivazioni relative a possibili problemi occupazionali per quanto riguarda le aziende impegnate nei settori “tradizionali”. L’attuale esecutivo è addirittura entrato in rotta di collisione con l’Unione europea sullo stop imposto alla produzione di veicoli con motore a scoppio entro il 2035, termine che secondo il nostro Governo andrebbe prorogato perché i tempi – 12 anni, pari a quattro Olimpiadi … - sarebbero troppo ristretti per consentire all’industria automobilistica italiana di convertirsi, cosa che invece non sembra preoccupare la Germania, maggior produttore europeo di veicoli. Naturalmente, la posizione governativa ha riscosso ampi consensi fra imprenditori, lavoratori e cittadini, preoccupati dalla prospettiva di ulteriori  cali occupazionali.

Ma è tempo di evidenziare che su questi argomenti esistono due linee di pensiero, o meglio due realtà parallele: quella prospettata dall’attuale Governo italiano e quella che sta già avvenendo nel resto del mondo. Attenzione, non si tratta di un’affermazione politicizzata, ma della semplice presa d’atto delle tendenze mondiali attualmente in corso, che a loro volta consentono proiezioni piuttosto precise sugli sviluppi a venire nei prossimi sette anni, quelli che ci separano dal fatidico 2030, anno entro il quale l’Unione europea prevede l’obbligo di ridurre le proprie emissioni del 55%.

I dati relativi al procedere della transizione energetica sono stati recentemente pubblicati nel World Energy Outlook (WEO), il rapporto dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (International Energy Agency - IEA) che analizza i dati a livello mondiale. In esso vediamo per esempio che la potenza installata di fotovoltaico ed eolico è più che quadruplicata fra il 2019 e il 2023, arrivando a sfiorare i 5.000 GW. Un risultato superiore alle stesse previsioni delle precedenti edizioni del WEO, dovuto all’aumento del sostegno politico e alla progressiva diminuzione dei costi che contraddistingue tutte le tecnologie man mano che progrediscono e implementano processi industriali ed economie di scala. Tuttavia, l’incremento non è sufficiente per raggiungere i traguardi previsti dall’Accordo di Parigi e che la stessa UE si è imposta, dunque occorre fare ancora di più.

La crescita esponenziale delle rinnovabili appena descritta rientra in uno scenario più ampio che lascia intravedere un rivolgimento profondo dell’intero sistema energetico nei prossimi sette anni, da qui al 2030. Motivo per cui il rapporto WEO quest’anno è stato pubblicato in anticipo, in modo da fornire per tempo elementi utili ai decisori politici impegnati nella COP 28 di Dubai, la conferenza sul clima che dovrebbe portare a decisioni cruciali sulla transizione ecologica, ma che parte già sotto pessimi auspici, visto che quest’anno viene ospitata in uno dei Paesi meno “sostenibili” al mondo, nonché settimo produttore di petrolio a livello globale e che ha già in previsione di aumentare le estrazioni. Tra l’altro, il rapporto esce nel 50* anniversario dalla fondazione dell’IEA, in un momento nel quale, esattamente come allora, il mondo vive una grave crisi legata al mondo mediorientale, all’epoca relativa alla produzione petrolifera, oggi segnata dalla feroce carneficina fra Israele e Palestina, evento destinato a incidere sugli scenari geopolitici ed economici del futuro prossimo. In più, adesso stiamo vivendo gli effetti del cambiamento climatico indotto proprio dal consumo di combustibili fossili e dalle relative emissioni, scenario già previsto all’epoca da alcuni esperti che iniziavano a lanciare i primi allarmi, assolutamente inascoltati.

Tuttavia, mentre i petrolieri ancora oggi proseguono imperterriti sulla propria strada e la politica latita o addirittura rema contro la transizione, come nel caso dell’attuale Governo italiano, una considerevole parte del mondo procede spedita verso la riconversione energetica. Ne è un chiaro esempio quanto sta avvenendo nel settore automobilistico: soltanto due anni fa, si vendeva un’auto elettrica ogni 25 col motore a scoppio, oggi siamo già a una su cinque. Un aumento percentuale di cinque volte in due anni, che porta a prevedere che nel 2030 il rapporto sarà di uno a uno, come già avviene oggi in Norvegia, mentre sul promettente mercato cinese le elettriche sfiorano un terzo delle vendite (in Italia, meno del 4%, fra gli ultimi in Europa).

È evidente che un aumento esponenziale di questo nuovo paradigma della mobilità, dove attualmente l’Italia è fanalino di coda, avrà importanti ripercussioni sull’intero sistema energetico, a sua volta proiettato verso le rinnovabili. I dati ci dicono che 10 anni fa il 70% dell’elettricità era prodotta da fonti fossili, oggi siamo scesi al 60% e le previsioni indicano che nel 2030 si arriverà al 40%, dal momento che l’80% dei nuovi impianti installati funzionerà con energie rinnovabili.

Anche nel settore del riscaldamento domestico, che in Europa incide per il 40% delle emissioni di anidride carbonica, si sta andando verso una rapida riconversione, con la sostituzione delle attuali caldaie a gas con pompe di calore, che nel 2030 saranno già in maggioranza, riducendo quindi la domanda di metano. Naturalmente, anche qui l’Italia resta fanalino di coda, anche grazie al fatto che continuiamo a incentivare gli impianti a gas.

Ma il dato forse più significativo è quello relativo agli investimenti, ormai sempre più orientati verso le rinnovabili nella maggior parte dei Paesi (non in Italia, ovviamente, dove destiniamo milionate di euro per costruire rigassificatori …). Dal 2020, in soli tre anni, gli investimenti in rinnovabili sono aumentati del 40%, raggiungendo la cifra iperbolica di un miliardo di dollari al giorno. La previsione è che entro il 2030 il solo settore dell’eolico offshore, con le pale ancorate in mare aperto, attirerà finanziamenti tripli rispetto alle centrali a gas e carbone.

Tutto questo, solo proiettando in avanti le tendenze già attualmente in corso, senza tenere conto di ulteriori implementazioni eventualmente disposte dai governi impegnati nella transizione. Uno scenario che porta a ipotizzare il raggiungimento a breve termine del cosiddetto “picco” della domanda di combustibili fossili, dopo il quale il consumo inizierà a scendere progressivamente e con esso anche le relative emissioni.

Purtroppo, ciò non avverrà abbastanza in fretta per rispettare i termini prudenziali del già citato Accordo di Parigi, che punta a contenere l’aumento delle temperature globali a fine secolo al di sotto dei 2°C, meglio ancora se entro 1,5°C, per contenere gli effetti già critici dei mutamenti climatici in corso. Con le tendenze sopra descritte, in sé positive, l’aumento è comunque previsto dell’ordine dei 2,4°C, incremento che ci porterebbe verso uno scenario che da critico rischia di diventare catastrofico.

Per evitare o perlomeno mitigare questa eventualità, la IEA ammonisce che in tempi brevi i decisori politici dovrebbero impegnarsi per raggiungere 5 obiettivi strategici entro il 2030: raddoppiare l’efficienza energetica; triplicare l’apporto delle rinnovabili; ridurre di tre quarti le emissioni di metano; finanziare la transizione dei Paesi poveri e, soprattutto, ridurre drasticamente il consumo di combustibili fossili.

Una serie di impegni al momento disattesi o portati avanti in modo insufficiente, nonostante l’accelerazione descritta in precedenza, con un’Italia che, occorre ribadirlo, si muove addirittura in direzione contraria, con una visione miope e distorta, che penalizza le nostre stesse imprese, a volte all’avanguardia nel campo delle rinnovabili, nonostante tutto. Non si tratta solo di essere ecologisti: la transizione sarebbe vincente anche dal punto di vista economico, con la creazione di un numero di posti di lavoro superiore a quelli destinati a essere cancellati nei settori destinati all’obsolescenza. Investendo nelle rinnovabili, in particolare nel fotovoltaico, potremmo azzerare la nostra dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili, risanando il divario negativo della nostra bilancia economica import/export. Invece, a pochi anni dal raggiungimento del picco della domanda di fonti fossili, con i consumi destinati in prospettiva a calare, sentiamo ancora vaneggiamenti che vorrebbero trasformare l’Italia “nell’hub del gas destinato all’Europa”, col rischio di sperperare cifre faraoniche per cercare di vendere metano a chi presto non saprà più cosa farsene …

Una follia dal punto di vista economico prima ancora che ecologico, che rischia di relegare l’Italia ai margini delle tendenze produttive ed economiche proprio nel momento decisivo per la transizione necessaria e ineludibile che dobbiamo mettere in atto per scongiurare il peggioramento delle conseguenze dei cambiamenti climatici.

Uno scenario che, nonostante i progressi degli ultimi anni, resta ancora il più probabile, con l’aumento dei fenomeni climatici estremi che già oggi provocano vittime e danni ingenti anche nel nostro Paese. Eppure, una parte della politica si ostina a negare l’evidenza. Per questo, tra l’altro, saranno cruciali le prossime elezioni europee del 2024. Se prevarranno le forze reazionarie, le timide politiche intraprese ultimamente dall’UE per la transizione verranno stoppate del tutto, come già successo in Italia, dove l’attuale Governo ha mostrato chiaramente il proprio atteggiamento negazionista nei confronti dei mutamenti climatici. Se anche il futuro Parlamento europeo sarà composto in maggioranza da forze politiche reazionarie e negazioniste, l’UE innesterà una fatale retromarcia verso le fonti fossili, portandoci inesorabilmente verso uno scenario climatico catastrofico. Un rischio più concreto di quanto si possa pensare.

Torna indietro