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La posizione della Federazione nazionale Pro Natura rispetto alla bozza del “Piano di conservazione e gestione del lupo” del Ministero dell’Ambiente

La Federazione nazionale Pro Natura, dopo una attenta e approfondita analisi della bozza del “Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia”, redatta da Luigi Boitani e Valeria Salvatori per conto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, esprime le sue perplessità su alcuni punti del documento e per altri una forte contrarietà.

La Federazione ha elaborato e articolato le sue osservazioni al Piano inviandole direttamente al Ministero e agli estensori del documento, insieme alla Carta di Fano sul Lupo, documento elaborato dal suo gruppo di lavoro e condiviso ufficialmente dall’Assemblea Nazionale.

Tra i motivi di perplessità è l’idea prevalente sviluppata nel piano di gestione, che vede il lupo come elemento faunistico problematico per la convivenza con l’uomo.

Al contrario, noi riteniamo che la sua presenza e diffusione rappresenti un elemento positivo e la cui gestione, accompagnata da una corretta informazione, deve condurre a superare la logica della problematicità per inquadrarla all’interno di una visione positiva portatrice di un valore aggiunto per i territori, sia da punto di vista turistico che di un riacquisito equilibrio faunistico.

Se è vero, infatti, che in talune circostanze il lupo può procurare, soprattutto alla pastorizia, danni economici anche di una certa importanza, tuttavia esso, di fatto, è l’unico predatore in grado di limitare le popolazioni di ungulati, soprattutto cinghiali, in grado di procurare danni ben più rilevanti.

Indubbiamente, nelle aree di presenza del lupo vanno sollecitate e incentivate, anche economicamente, una serie di precauzioni e di accorgimenti utili per limitare i danni che potrebbero produrre agli allevamenti. Qualora l’attuazione di tali strumenti tecnici non dovesse essere sufficiente ad abbattere del tutto i danni, questi dovrebbero essere prontamente e interamente risarciti, anche al fine di attenuare il conflitto tra allevatori e la specie.

I livelli di criticità che la Federazione ha ritenuto di sollevare sono di due tipi: il primo, più generale, relativo alla validità dei Piani d’azione in Italia. Il secondo, più tecnico, entra nel merito delle specifiche criticità che a nostro parere sono presenti nel Piano.

In merito all’utilità gestionale dei Piani d’azione si rileva come essi non abbiano, contrariamente a quanto accade in altri paesi, alcun valore prescrittivo, contravvenendo di fatto quanto previsto dalla Direttiva 92/43 CEE (Habitat). In essa, agli articoli 1 e 2, il legislatore comunitario ha sancito che lo scopo della Direttiva è quello di “contribuire a salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo degli stati membri al quale si applica il trattato”. Tale Direttiva inserisce il lupo negli allegati B e D -specie di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa-, proibendone la cattura, l’uccisione, il disturbo, la detenzione, il trasporto, lo scambio e la commercializzazione. L’Italia, con il DPR dell’8 settembre 199, n. 357, ha recepito tale Direttiva, dunque ha l’obbligo di mettere in atto tutte le più efficaci strategie di gestione e conservazione. Invece, come spesso accade nel nostro Paese, i documenti pianificatori rimangono inapplicati e si limitano quindi quasi ad un puro esercizio accademico: lo stesso Piano d’Azione sul lupo precedentemente elaborato ha fornito risultati molto inferiori alle aspettative. Da rimarcare anche come gli interventi per l’attenuazione dei conflitti tra lupo ed attività produttive, nonché le iniziative più in generale a tutela della specie, necessitino di adeguate risorse economiche. Occorre quindi che gli Enti Pubblici si facciano carico di tale impegno in maniera convincente e duratura.

Entrando seppure sommariamente nel merito del Piano, appare condivisibile considerare separatamente la popolazione alpina da quella appenninica, soprattutto per la differente consistenza numerica delle due entità e il differente stato di conservazione. Infatti, come viene affermato, la popolazione alpina non si trova in uno stato di conservazione favorevole, mentre per quella appenninica lo stato di conservazione è valutata favorevole.

Per entrambe le popolazioni, tuttavia, mancano adeguati censimenti, come per altro previsti nel precedente piano d’Azione del 2002.

Anche la consistenza numerica della popolazione appenninica, certo più strutturata di quella alpina, è effettuata in modo deduttivo e non come risultato di metodi di censimento tra loro confrontabili.

Questa incertezza dei dati disponibili, unita alla la mancanza di dati relativi alla mortalità antropogenica (bracconaggio, avvelenamento, mortalità stradale ecc.), ci fa esprimere una assoluta contrarietà ad ogni forma di abbattimento, sia per la popolazione appenninica e, a maggior ragione, per quella alpina.

Il Piano fa un continuo riferimento e affidamento di mansioni al Corpo Forestale dello Stato, alle Polizie provinciali e agli organi di vigilanza delle aree protette, ignorando completamente il depotenziamento del Corpo Forestale dello Stato, il quale a breve sarà accorpato all’Arma dei Carabinieri, lo smantellamento dei corpi di vigilanza provinciali e infine la gravissima crisi economica in cui versano le aree protette, che certo non consentono di confidare in una attività efficace di prevenzione e di repressione del bracconaggio. I dati di questi ultimi anni fanno ritenere il bracconaggio una piaga per nulla in diminuzione, anzi, in alcune realtà quasi fuori controllo.

Tra gli elementi di criticità che andrebbero affrontati con grande fermezza e che configgono con una strategia di conservazione c’è il fenomeno delle razze canine ibride, di cui si assiste in questi anni una grande proliferazione, e quella del randagismo canino. Il Piano non sembra fornire strategie di gestione e controllo adeguati per questi due fenomeni.

Riportare la questione della convivenza tra lupo e uomo con le sue attività entro confini tecnicamente corretti passa inevitabilmente attraverso una corretta informazione.

A differenza del periodo storico in cui si inquadrava la campagna San Francesco negli anni '70 e '80 del secolo scorso, attualmente non c'è un’analoga attenzione mediatica, anzi il più delle volte le informazioni diffuse o sono palesemente errate o, in altri casi, viene data grande enfasi a fatti del tutto marginali, senza per altro che le istituzioni preposte alla protezione e alla tutela della fauna intervengano per riportare i fatti nella corretta dimensione.

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