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Socia della

La sfida della sostenibilità

Il prezzo della natura: Quanto siete disposti a pagare per difendere l’ambiente???

Ferdinando Boero
Università di Napoli Federico II - CoNISMa
CNR-IAS
Fondazione Dohrn

Tutti, ma proprio tutti, concordano che sia necessario applicare criteri di sostenibilità al nostro modo di abitare il pianeta. Nessuno è così folle da pensare che potremmo vivere su un pianeta abitato solo da noi (anche se qualche folle progetta la colonizzazione di altri pianeti privi del resto della natura). Questa consapevolezza, però, ancora concepisce la natura come fornitrice di “beni e servizi” alla nostra specie che, quindi, continua a considerarsi come cliente di un supermercato. La sostenibilità è salita alla ribalta quando ci siamo accorti che il supermercato-natura non ci stava dando tutto quello che ci aspettavamo da lei.
Non è il rispetto a generare la necessità di trattare diversamente la natura, ma l’interesse. Se non smettiamo di depauperare la natura non saremo più in grado di usufruire di quello di cui abbiamo bisogno e che possiamo prendere solo da lei.
I movimenti ambientalisti sono nati per garantire la continuità dei processi naturali e, soprattutto, la sopravvivenza di strutture (organismi e habitat) che ci colpiscono per le loro caratteristiche. Li vogliamo salvaguardare non per il nostro interesse, ma per la loro importanza assoluta, indipendentemente dai beni e dai servizi che da essi possiamo trarre. In effetti, i fautori della visione “beni e servizi” considerano anche questo aspetto etico ed estetico: lo chiamano “ispirazione”. Certe espressioni della natura sono fonte di ispirazione per noi, e quindi le salvaguardiamo per questo.
Come misurare l’importanza delle cose di natura, in termini di beni e servizi, inclusa l’ispirazione? Qui entra in gioco l’economia. Per gli economisti, il prezzo di una cosa si misura con la volontà di pagare per essa da parte di chi la vuole.
Vuoi salvare i delfini? Quanto sei disposto a pagare per evitare che siano sterminati? Ovviamente non c’è un proprietario dei delfini a cui potremmo dare i nostri soldi per evitare che i delfini siano sterminati. Però possiamo comprare pesce che sia stato pescato senza che siano pescati anche i delfini. Questo comporta che il pesce costi di più, considerando il costo delle nuove attrezzature e della manodopera. Il pesce pescato senza evitare di catturare i delfini costa, diciamo, 10, quello pescato in modo “amichevole” per i delfini costa 15. E quindi tu sei disposto a pagare 5 in più per salvare i delfini dalla minaccia della pesca? Poi c’è l’inquinamento. Quanto sei disposto a pagare i prodotti dell’industria per fare in modo che i processi che li originano non generino anche inquinanti che danneggino i delfini? E torniamo di nuovo alle differenze di prezzo.
Facendo i conti, vien fuori che in molti casi nessuno è disposto a pagare prezzi altissimi per evitare di distruggere la natura. Non ce lo possiamo permettere, pare sia la risposta. E quindi distruggiamo pure. Pare assurdo? Eppure è quello che succede. E questo non vale solo per la natura. Trattiamo così anche la nostra salute. Pensate alle acciaierie, tipo quella di Taranto. Quel modo di produrre acciaio distrugge l’ambiente e favorisce l’incidenza di tumori all’apparato respiratorio. Gli ecosistemi e gli umani ne risentono in modo molto negativo. Bisognerebbe produrre l’acciaio in modo sostenibile, ma questo farebbe aumentare il prezzo e nessuno lo comprerebbe, il nostro acciaio, visto che se ne può comprare a prezzi più bassi da Paesi che lo producono in assenza di regole che difendano l’ambiente e la salute. E quindi il ragionamento risulta essere: è vero che l’acciaieria fa morire l’ambiente e le persone, ma se la adeguiamo a principi di sostenibilità non è più competitiva, e se la chiudiamo ci saranno molti disoccupati, e poi l’acciaio ci serve. E quindi continuiamo pure ad inquinare e a morire. In nome dell’economia. La sostenibilità, apparentemente, non conviene perché costa troppo.
Sappiamo che non è così
Basta l’esempio del nucleare, per capire. Quando l’Italia si trovò a fronteggiare la scelta nucleare, i fautori dell’atomo dissero che era conveniente sotto tutti i punti di vista. E, in effetti, nel breve termine lo era. Poi, però, si presentò il problema dello stoccaggio delle scorie, della dismissione degli impianti e della gestione degli incidenti. I risparmi iniziali generarono i costi inimmaginabili delle conseguenze di queste scelte. Costi che ancora stiamo pagando e che superano di gran lunga gli iniziali benefici economici. La sostenibilità conviene anche economicamente.

Fig. 1. Le tre sfere della sostenibilità. A: l’ordine gerarchico naturale. B: l’ordine gerarchico  attualmente riconosciuto. Le frecce indicano l’influenza di ogni sfera rispetto alle altre.

La matrioska delle leggi: ambiente, società, economia
Possiamo concepire la sostenibilità come composta da tre sfere disposte una dentro l’altra (Fig. 1 A), come le bambole russe matrioska. La sfera principale, che contiene le altre due, è quella ambientale: la sfera della natura. La natura vivente risponde ovviamente alle leggi della fisica e della chimica, ma obbedisce anche ad altre leggi, specifiche della organizzazione vivente della materia. Ne bastano due per capire come “funziona il mondo”. Una è la legge della crescita: tutte le specie tendono a crescere di numero. L’altra è la legge del limite: anche se tutte le specie tendono a crescere di numero, non tutte possono farlo, perché le risorse naturali sono limitate.
L’implementazione delle due leggi avviene a livelli differenti. La legge della crescita è “interna” alle specie e corrisponde agli istinti riproduttivi. La legge del limite è “esterna” alle specie, ed è imposta dall’ambiente circostante. Le leggi della natura sono universali, e valgono anche per la società e per l’economia. Il motivo è semplice: senza l’ambiente non possono esistere né la società né l’economia. All’interno della sfera ambientale si colloca la sfera sociale. Le società elaborano leggi che regolano le interazioni sociali. Tali leggi non sono universali e possono essere differenti in diverse strutture societarie: in alcune società, per esempio, la poligamia è accettata, mentre in altre no. Le leggi delle società non hanno effetto, se non temporaneo, sulla natura, nel caso che contravvengano alle sue leggi. Crescere troppo, per esempio, consuma le risorse e ci espone alla legge del limite che, prima o poi, ci fermerà. Le leggi della sfera sociale, quindi, devono essere disegnate in ottemperanza con le leggi della natura e hanno valore sulla società e sulla economia che ne è l’espressione. La sfera economica, quindi, risponde alle leggi della sfera naturale, e a quelle della sfera sociale. Le leggi dell’economia che contravvengono le leggi sociali sono represse dalle strutture sociali stesse. Per esempio: se il guadagno economico implica la riduzione in schiavitù dei lavoratori e le leggi elaborate dalla società lo vietano, l’economia che impiega gli schiavi viene bloccata e sanzionata. A maggior ragione le leggi della natura regolano anche l’economia che, in estrema sintesi, si basa sull’uso di risorse naturali.

Gerarchia invertita
Se analizziamo lo stato attuale delle cose, ripensando al caso delle acciaierie, la sfera economica detta legge sulle altre due, con un’inversione delle gerarchie (Fig. 1 B). Anche a fronte della pandemia da COVID19 si privilegiano approcci medici, tecnologici ed economici, mentre le questioni ambientali sono totalmente tralasciate. Non esistono esperti di biodiversità e funzionamento degli ecosistemi in alcuna task force governativa devoluta ad affrontare non solo la fase 1 dello “stare a casa” ma neppure le fasi 2 e 3 che vedono la ripresa delle attività.
Tutti vogliono tornare alla normalità, intesa come la restaurazione degli stili di vita precedenti, secondo lo schema della Fig. 1 B che vede il totale predominio della sfera economica sulle altre due sfere. Il che significa che nessuna lezione ha avuto gli effetti sperati.
Il problema non è di volontà. I decisori sono fermamente convinti che sia necessario riformare i sistemi di produzione e consumo in vista della sostenibilità. Contro ogni logica, però, la politica europea sul mare si chiama Blue Growth. Blue significa “relativo al mare, all’oceano” e Growth è la crescita economica. In pratica, quindi, ci si ripromette di sfruttare le risorse marine allo scopo di far aumentare la sfera economica e, anche, quella sociale. Rimane la logica dei “beni e servizi” e della volontà di pagare.
Non possiamo pensare che siano gli economisti e i sociologi a cambiare questo modo di intendere il nostro rapporto con il resto della natura. Prima di tutto queste categorie intellettuali non hanno una preparazione formale sul funzionamento dei sistemi naturali. La natura non fa parte della cultura dominante e trova spazi irrisori nei percorsi di formazione del cosiddetto “capitale umano”. Non si può preservare e gestire qualcosa di cui si ignorano sia la struttura sia la funzione.

Le Associazioni ambientaliste
La nascita delle Associazioni ambientaliste risponde a grande sensibilità nei confronti di specie e habitat carismatici. L’aspetto estetico-emotivo è amplificato dalla divulgazione televisiva e cartacea, tesa a sollecitare reazioni di sorpresa e ammirazione (la strategia ohhh) e non di presa di coscienza (la strategia ahhh). Migliaia di ore di programmi televisivi dedicate alla natura non forniscono una cultura naturalistica sufficiente a rispondere a semplici domande come: quali sono gli animali più importanti della biosfera? A nessuno viene in mente che il 98% dello spazio abitabile dalla vita sia l’oceano, visto che ricopre il 70% della superficie terrestre e ha una profondità media di 3.5 km ed è quindi un volume e non una superficie, come sono invece gli ambienti terrestri. E pochissimi sanno che i copepodi, i principali consumatori di alghe unicellulari (i produttori primari), sono i garanti del funzionamento attuale degli ecosistemi planetari e sono, quindi, gli animali più importanti della biosfera.
Le Associazioni ambientaliste devono anch’esse effettuare un salto qualitativo che miri all’evoluzione culturale della nostra società, ristabilendo l’ordine gerarchico delle scale di priorità definite dalla sostenibilità che, prima di essere economica, deve essere assimilata a livello sociale, nel rispetto delle leggi della natura.

Natura e società
È quanto mai attuale, quindi, il nome della rivista della Federazione Pro Natura. La Natura se ne infischia della Società. La Natura era presente prima dell’arrivo della nostra specie, e continuerà ad essere presente quando ci saremo estinti in modo finale o per evoluzione in un’altra specie. La società deve prendere cura di se stessa e dell’economia che esprime. Per farlo saggiamente deve promuovere una cultura naturale che ci metta in grado di comprendere la scala di importanza delle tre sfere. Questa scala non solo non è rispettata; non è neppure presa in considerazione!  Siamo talmente presi da noi stessi che abbiamo chiamato Antropocene il periodo attuale.
Siamo mosche cocchiere che cavalcano un pianeta bellissimo e complessissimo, di cui siamo il prodotto. Anche se lo scienziato che più di ogni altro ha cambiato radicalmente la nostra visione del mondo era un naturalista (Charles Darwin) non abbiamo ancora assimilato la natura come parte fondamentale della nostra esistenza e continuiamo a sentirci al di sopra di essa.
Molto spesso si parla di “gestione della natura” come se noi potessimo gestire gli ambienti. Noi possiamo gestire la nostra azione sugli ambienti. E se tale gestione sarà dissennata, gli ambienti continueranno ad esistere in altre condizioni. Alexander von Humboldt, visitando la Mesopotamia, culla della civiltà, constatò che la nascita dell’agricoltura (una forma di gestione della natura) era stata seguita da fenomeni gravissimi di desertificazione: la culla della civiltà ora è un deserto. Una cattiva gestione del nostro rapporto con la natura determina condizioni naturali a noi ostili.
Dobbiamo imparare a gestire noi stessi per restare in armonia con la natura. Abbiamo sufficiente cultura per capire che questo obiettivo è necessario, ma non abbiamo abbastanza cultura per perseguirlo in modo adeguato.

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