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La Legge (europea) è uguale per tutti

di Riccardo Graziano

 

L’8 e il 9 giugno i cittadini italiani sono [stati] chiamati a votare per l’elezione del Parlamento Europeo. L’affluenza in questi casi è generalmente più bassa, perché l’Unione Europea viene percepita come qualcosa di distante e a volte persino ostile rispetto alle nostre vite quotidiane, per cui tendiamo a dare più importanza alle elezioni politiche, regionali o all’elezione del Sindaco. È un grave errore, dal momento che una quota significativa della legislazione che regolamenta le nostre società viene emanata dal Parlamento europeo e in seguito semplicemente recepita dai singoli Stati, attività nella quale l’Italia non è particolarmente solerte, dal momento che abbiamo decine di infrazioni a nostro carico per “mancato recepimento delle direttive europee” con relative sanzioni anche pecuniarie [ne parliamo in un altro articolo mi pare].

L’influenza della legislazione europea è sensibilmente tangibile, ma la percentuale di penetrazione è diversificata a seconda degli ambiti. Ampio margine di movimento viene lasciato ai singoli Stati membri per quanto riguarda ad esempio le politiche sulla sicurezza interna, ma anche su quella sociale e sanitaria, come pure per quanto riguarda lavoro e occupazione, fattore non del tutto positivo, visto che può determinare fenomeni di delocalizzazione e dumping sociale, che tradotto significa più o meno “sposto la fabbrica dove pago meno gli operai, a meno che i lavoratori locali accettino condizioni contrattuali peggiorative”, pratica della quale abbiamo numerosi esempi.

Dove invece la legislazione europea incide significativamente, con percentuali di provvedimenti superiori al 50%, è nell’ambito delle politiche economiche, agricole e ambientali, le quali ultime sono indissolubilmente legate alle prime due. Lo stato dell’ambiente dipende ormai infatti dalle attività umane, con l’economia e l’agricoltura che influiscono in maniera diretta e indiretta su biodiversità, conservazione degli habitat, riscaldamento globale e così via.

In Europa ne sono consapevoli (in Italia molto meno) e hanno emanato una serie di provvedimenti e direttive che, a cascata, arrivano poi anche nella nostra legislazione, quando ci decidiamo a recepirle, appunto, invece di incorrere nelle procedure di infrazione a cui abbiamo accennato sopra.

In particolare, sono destinate ad avere grande impatto (sull’ambiente e sulle nostre vite) le diverse strategie riunite sotto la sigla “Fit for 55%“ ovvero “Pronti per il 55%", che hanno l’ambizioso obiettivo di ridurre entro il 2030 le emissioni di gas serra di almeno il 55% rispetto al 1990. Questo in sintonia con l’Accordo di Parigi, col quale l’UE si è impegnata a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050, attraverso il “Green Deal”, l’auspicata svolta ecologica che però stenta a decollare, nonostante la pioggia di miliardi messi in campo.

Analizzare nel dettaglio le strategie comprese nel pacchetto “Pronti per il 55%" sarebbe lungo e complesso, per cui ci limiteremo a fornire l’elenco, rimandando chi vuole approfondire uno o più punti direttamente al sito dell’Unione Europea [https://commission.europa.eu/strategy-and-policy/priorities-2019-2024/european-green-deal/delivering-european-green-deal/fit-55-delivering-proposals_it].

Fra le altre, evidenziamo la disposizione “norme sulle emissioni di CO per autovetture e furgoni”, ovvero il contestatissimo provvedimento che impone lo stop alla produzione di motori a scoppio dopo il 2035, di cui parliamo ampiamente in un altro articolo.

Strategie “Pronti per il 55%"

  • sistema di scambio di quote di emissione dell'Unione europea
  • regolamento sulla condivisione degli sforzi
  • uso del suolo e silvicoltura (LULUCF)
  • infrastruttura per combustibili alternativi
  • meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere
  • Fondo sociale per il clima
  • ReFuelEU Aviation e FuelEU Maritime
  • norme sulle emissioni di CO₂ per autovetture e furgoni
  • tassazione dell'energia
  • energia rinnovabile
  • efficienza energetica
  • prestazione energetica nell'edilizia, ovvero il provvedimento secondo il quale tutti gli edifici nuovi dovrebbero essere a emissioni zero entro il 2030 e gli edifici esistenti dovrebbero diventare a emissioni zero entro il 2050. Quest’ultima disposizione è probabilmente quella destinata a pesare di più sulle giovani generazioni, perché in un Paese come l’Italia, con un patrimonio immobiliare in gran parte datato e di proprietà privata, l’esborso per i cittadini potrebbe essere notevole, o in termini di ristrutturazione, o in termini di acquisto di quote di compensazione secondo i meccanismi previsti per questo tipo di scambio.

Un motivo in più per seguire con attenzione quello che succede nel Parlamento UE, perché, parafrasando un vecchio detto sulla politica, “anche se Tu non ti occupi dell’Europa, l’Europa si occupa di Te!

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