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Massimo Scalia, l’ultimo appello: attenti al “nuovo” nucleare!

Valter Giuliano

L’irresponsabile Sindaco di Trino Vercellese, nonostante la Carta nazionale delle aree idonee escluda il territorio del suo Comune – per la posizione considerata a rischio – si autocandida ad ospitare il Sito nazionale per le scorie nucleari radioattive e si eccita all’dea dei denari e dei posti di lavoro che possono arrivare, senza preoccuparsi di rischi e salute pubblica. Resta la speranza che i suoi concittadini lo sconfessino. Il guaio non sono la sua ignoranza o la sua insipienza ma il fatto che un decreto del Ministro Pichetto Fratin preveda deroghe che rendono possibili ipotesi irrazionali di questo tipo, che superano pareri tecnici che, su questa materia, sono oltremodo delicati.
Il Ministro è determinato a favorire il rilancio della politica nucleare in Italia e per farlo prevede un apposito Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare, il cui unico scopo sembra essere quello di superare ogni ostacolo (certificazioni di sicurezza, regolamentazioni tecniche di progettazione, pareri delle Soprintendenze...) che possa frapporsi al disegno politico che parla, a vanvera, di “nucleare sostenibile”.
La retorica nuclearista che sostiene il ritorno a questa scelta energetica si veste dell’opzione “small modular reactor”, più volte promozionata dal Ministro Pichetto Fratin come fonte mininucleare sicura, da adottare in tutte le aziende energivore.
A questa ipotesi fasulla Massimo Scalia ha replicato: «piccoli certamente, ma sulla sicurezza non c’è nulla di nuovo. Gli SMR adottano le stesse tecnologie di fusione nucleare già note e non hanno alcuna caratteristica in più per la sicurezza intrinseca».
Ancora una volta la sua passione politica, mirabilmente coniugata a una incontestabile sapienza tecnico-scientifica era scesa in campo per mettersi a servizio di quella corretta informazione sui temi delle scelte energetiche, messa in atto dal momento in cui il movimento ambientalista iniziò il suo impegno e la battaglia contr il nucleare, con la costituzione del Comitato per il controllo delle scelte energetiche. Una mobilitazione che portò alla vittoria nei referendum dell’8 e 9 novembre 1987 e all’archiviazione della via nucleare come fonte energetica per il Paese. Se l’assistenza di quel gruppo di preziosi scienziati contro il nucleare – che indicarono la rotta principale da seguire con il ricorso alle tecnologie delle fonti rinnovabili – fossero stati presi seriamente in carico dalla politica, oggi il nostro Paese sarebbe all’avanguardia nel settore delle energie naturali e rinnovabili e non ci sarebbe disagio nell’adeguarsi alla transizione energetica.
Invece, oggi come ieri, dobbiamo lottare contro la mai rassegnate lobbies del profitto a ogni costo, che tornano ad agitare le bandiere del nucleare, specchietti per le allodole. E la pseudo informazione (perché così siamo ormai costretti a chiamarla, almeno in Italia, scivolata agli ultimi posti nella classifica mondiale) al seguito va ancora una volta inseguita per smentire le affermazioni come nel caso del mininucleare.
Massimo Scalia ci ha avvertiti che non è niente di diverso da quello degli anni Novanta, con la messa a punto dei propulsori nucleari per i sottomarini. Se ne era forzosamente tornato ad occuparsene per respingere al mittente la favola di chi vorrebbe insignire del titolo di tecnologia innovativa quelle che il Premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi ha liquidato come tecnologia «più vecchia dei transistor».
Eppure il documento del Ministro dell’ambiente e della Sicurezza energetica “Il nuovo nucleare in Italia” aveva trovato ascolto in Parlamento, con un emendamento al Decreto Sud in cui si tentò lo scorso ottobre di affidare alla Difesa la realizzazione – insieme ai Centri per il rimpatrio – anche di impianti energetici che in una vaga definizione creavano gli spazi per il nucleare.
La propaganda del Governo parla di «nucleare pulito, di nuova generazione, tanto diverso da quello referendario». Peccato non esista e, infatti, ripropongono la vecchia tecnologia.
«Vedremo tanti “small reactor, che sono piccole centrali da 300,500, 1000 megawatt (...) saranno i privati, nel 2030, 2050, a fare domanda per quelle centrali...».
Queste dichiarazioni – che trascurano il fatto che allora la crisi climatica avrà assunto la fase del non ritorno – Massimo Scalia le aveva definite «grosse minchiate» messe in onda dal nuovo «schiamazzo sul nucleare» e sottolineava il «niente di nuovo sul fronte dell’innovazione nella fissione nucleare» tanto propagandata quanto assente.
Per questi scenari irreali, usando la sua profetica ironia, quasi si dispiaceva di non poter partecipare – non solo per motivi anagrafici – alla terza battaglia referendaria di cui, al momento, non vedeva quale avrebbe potuto essere la sostanza.
Queste le sue ultime riflessioni, messe a disposizione, ancora una volta, del movimento ambientalista. Dei suoi consigli e delle sue nozioni tecnico-scientifiche a supporto del mai interrotto impegno sulle questioni non solo energetiche ci siamo avvalsi. Ne avremmo avuto ancora tanto bisogno. Soprattutto sarebbero utili ai giovani che hanno raccolto il nostro testimone di militanti ambientalisti di solida preparazione scientifica, come ci insegnarono i nostri padri naturalisti, protezionisti e poi ambientalisti.
Purtroppo un incidente sulla Casilina, alle porte di Roma, ci ha portato via Massimo e il suo bagaglio di scienza ed esperienza.
La biblioteca di saperi che Borges ci ha indicato appartenere a ogni esistenza, è sparita lasciandoci orfani e più poveri.
È accaduto la mattina di mercoledì 11 dicembre, Massimo aveva 81 anni.
Laureato in Fisica nel 1969 presso la Sapienza, con una tesi di fisica teorica nucleare, ha continuato le ricerche in tale disciplina negli anni immediatamente successivi. Dalla metà degli anni ’70 si è orientato verso la ricerca sulla stabilità e sull’’analisi qualitativa dei sistemi dinamici. Dagli anni ottanta si è interessato delle interazioni tra campi elettromagnetici e sistemi biologici (bioelettromagnetismo), degli effetti dei “campi deboli” e del ruolo del “rumore termico” nei materiali biologici. Per oltre 40 anni ha insegnato e fatto ricerca presso la Sapienza, riuscendo a coniugare il metodo scientifico con lo spirito necessario nelle battaglie ambientaliste e per un nuovo futuro energetico.
Massimo, leader del movimento antinucleare degli anni 70 e 80, cofondatore di Legambiente, è stato uno dei promotori dei Verdi e del movimento ecologista. Non dell’ambientalismo, che esisteva da decenni e che già si stava affacciando, sempre più prepotentemente sul terreno della politica.
Tra i firmatari, nel 1984, insieme ad Alex Langer, dell’appello per costituire le Liste Verdi in Italia. Con le elezioni del 1987 entrò, con i Verdi, in Parlamento e vi rimase quattordici anni, nei quali si spese per la tutela dell’ambiente e la giustizia sociale. Per mettere al bando l’amianto e combattere le ecomafie, presiedendo la prima Commissione bicamerale sul ciclo illegale dei rifiuti, con cui aprì la strada alla repressione dei reati ambientali. In ultimo ci ha anche chiamati a non lasciarci ingannare dalle  mistificazioni dell’Eni, partecipata statale (dunque finanziata con le nostre tasse) che è oggi il più ostinato ostacolo per avviare la transizione ecologica nel nostro paese e persegue progetti ambientalmente discutibili, come quello di Ravenna con il deposito di CO2.
Massimo abbiamo scelto di ricordarlo così, con gratitudine e fuori dalla retorica.
Certi che con la sua piega di sorriso ironico e con le sue sferzanti parole ci avrebbe dissuasi dal fare della sua scomparsa un monumento, sia pure di parole.
Siamo convinti ci avrebbe invitati a raccogliere il suo testimone per continuare, come lasciò detto Alex Langer, «in ciò che è giusto».
In questo caso, riaprire un fronte di lotta contro l’invocato e perseguito ritorno al nucleare, sui cui l’attuale Governo è determinato. Sarà la maniera migliore per ricordare Massimo cui, per intanto, mandiamo un grazie collettivo.

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