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La normativa sul controllo della fauna selvatica

di Roberto Piana

 

 

Premessa
La storia del conflitto tra la specie umana e gli animali selvatici è lunga quanto la storia dell’umanità. L’essere umano nei millenni ha ampliato a dismisura il proprio potere sugli altri animali piegandone l’esistenza alle proprie esigenze. L’addomesticamento, la caccia, l’allevamento, la selezione delle specie per modificarne le caratteristiche, l’utilizzo nei laboratori di sperimentazione rappresentano aspetti diversi di una eterna guerra agli “altri animali” che continua ancora oggi. Le residue popolazioni animali selvatiche continuano nel nostro tempo a subire sia persecuzioni indirette come la distruzione degli ambienti naturali e sia dirette attraverso la cattura o l’uccisione. Oggi in Italia questa guerra alla fauna selvatica assume, nella forma diretta la dimensione della caccia, o “attività venatoria” e la dimensione del “controllo”.  Trattasi di interventi contro gli animali selvatici motivati da ragioni diverse. Alla base della caccia, non essendo più attività necessaria per la sopravvivenza, vi è il piacere dell’essere umano nell’affermare il proprio potere attraverso l’uccisione di un altro essere vivente, mentre il controllo trova le motivazioni nella difesa degli interessi economici legati alle attività umane. Non sempre la differenza tra queste due “guerre” contro gli animali selvatici è netta.
Spesso anche esperti di settore confondono la caccia di selezione con il controllo. Anche il controllo può essere selettivo. La “selezione” nella gestione faunistica significa intervenire nei confronti di animali individuati per specie, genere, età.
La caccia è esercitata da persona munita di licenza entro precisi limiti temporali, secondo regole precise dettate dal calendario venatorio. La fauna cacciata appartiene a colui che l’ha abbattuta.
Il controllo può avvenire anche al di fuori dei tempi, degli orari, delle metodiche della caccia. Viene deliberato dalla Regione o dalle Province e Città Metropolitane sulla base di esigenze di tutela delle attività antropiche e di difesa della biodiversità. La fauna abbattuta durante l’attività di controllo continua a rimanere patrimonio indisponibile dello Stato e dovrebbe essere alienata secondo le  norme che regolano l'alienazione del patrimonio dello stato e cioè il bando pubblico. Spesso gli enti pubblici aggirano questo obbligo con formule di dubbia legittimità quale ad esempio la concessione dell’animale all’abbattitore “quale rimborso forfetario per l’attività svolta”.

Per comprendere come sia normato oggi nel nostro paese il controllo della fauna selvatica giova effettuare una breve ricognizione di come si sia evoluta la legislazione negli ultimi decenni.

Il Testo Unico del 1939
Il “Testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l’esercizio della caccia” approvato con R.D.  n. 1016 del 5/6/1939, in epoca fascista, percorrerà tutto il periodo bellico e  sarà abrogato  solo negli anni ‘70 con l’istituzione delle Regioni. La caccia era vista come attività prodromica all’attività militare. Per legge venivano definite nocive anche specie che oggi sono a rischio di estinzione.
Ricordiamo il lupo, la volpe, la faina, la puzzola, la lontra, il gatto selvatico e fra gli uccelli le aquile, i nibbi, l'astore, lo sparviero, il gufo reale, anche la martora, la donnola, oltre a corvidi e averle e persino gli aironi. Il Laboratorio di Zoologia applicato alla caccia dell’Università di Bologna, nato nel 1933, assunse il ruolo di consulente scientifico e tecnico del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste.

La Legge n. 968/1977
Nel dicembre del 1977 venne approvata la legge n. 968 che per certi versi fu straordinaria. Mammiferi e uccelli viventi in stato di naturale libertà sul territorio italiano acquisirono lo status di “patrimonio indisponibile dello stato”. Fino ad allora la fauna era res nullius, ossia cosa di nessuno. Nacque il “furto venatorio”, opera dei bracconieri. Vennero demandate alle leggi regionali funzioni amministrative e legislative in tema di caccia. La legge n. 968/1977 introdusse anche il “controllo” delle specie che creano gravi danni alle attività umane. Il controllo, allora solo cruento, poteva essere effettuato anche al di fuori dei tempi e dagli orari della caccia, ma  doveva essere effettuato tuttavia con metodi selettivi. Il fucile è sicuramente un metodo selettivo, sempre ammesso che chi spara sappia a cosa spara. Gabbie, reti, trappole, esche avvelenate sino ad allora di largo uso vennero così vietate in quanto mezzi non selettivi. Oggi la stessa UE ha messo al bando strumenti di cattura o uccisione non selettivi . Con la legge n. 968/1977 il Laboratorio di Zoologia applicato alla caccia assunse la nuova denominazione di “Istituto Nazionale di Biologia della Selvaggina INBS” e mantenne il ruolo di consulente del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste.

La Legge n. 157/1992
La successiva legge n. 157/1992 nacque sullo slancio del referendum contro la caccia del 1990, che non aveva conseguito il quorum di votanti e non aveva apportato alcuna modifica legislativa, ma che aveva fatto crescere nella popolazione la sensibilità verso gli animali selvatici.   La legge n. 157/1992 vige tuttora e in qualche modo anche questa conteneva aspetti straordinari, alcuni dei quali, attraverso modifiche successive, oggi si sono persi. Con la legge n. 157/1992 l’INBS assunse la denominazione di “Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica INFS” e nel 2006 la vigilanza su questo ente venne trasferita al Ministero dell’Ambiente. Nel 2008 l’INFS assunse poi la denominazione attuale di “Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale ISPRA”.
Viene ancor oggi mantenuto il principio che mammiferi e uccelli selvatici  costituiscono “patrimonio indisponibile dello stato”. L’art. 19 della legge n. 157/1992 aveva subordinato il controllo, cioè l'intervento nei confronti delle specie selvatiche problematiche  alla inefficacia di metodi cosiddetti ecologici. L’abbattimento veniva consentito solo come estrema soluzione. Quali siano i metodi ecologici la legge non ce lo dice, ma sono evidentemente gli interventi indiretti di prevenzione dei danni. L’articolo 19 della legge nel 1992 fissava altri paletti. Il cacciatore in quanto tale veniva escluso dall’attività di controllo che rimaneva a carico delle guardie dipendenti dalle Province. La legge n.  157/1992 stabiliva un confine ben preciso tra attività venatoria e controllo. Oggi questo confine è andato in gran parte perduto.
La legge n. 157/1992 vige tuttora ma non è la stessa del 1992. In questi trent’anni di vigenza è stata
rimaneggiata, modificata, emendata.
Le speranze del mondo ambientalista e animalista erano che si andasse verso la convivenza  con la fauna selvatica.  La legislazione è andata invece in direzione opposta.
Negli anni novanta le specie selvatiche problematiche non erano molte, soprattutto alcuni corvidi e la volpe. Il cinghiale oggetto di massicce immissioni a fini venatori  incominciava già a creare problemi all’agricoltura, ma non i problemi che viviamo oggi.
Nelle campagne si sentiva sparare da settembre a gennaio poi i fucili tacevano per il resto dell’anno.
Oggi l’attività venatoria si svolge tutto l’anno e si sovrappone e si confonde con le attività di controllo.  
La legge n. 248 del 2005 autorizzò la caccia di selezione agli ungulati anche al di fuori dei periodi previsti per la normale attività venatoria. Oggi la caccia al capriolo inizia nel mese di giugno. Si spara al capriolo maschio anche nel mese di agosto prima che perda il palco.
Vogliamo mica mettere in salotto la testa di un capriolo maschio senza le corna!

Le specie alloctone
Nel corso di questi tre decenni lo scambio delle merci, la globalizzazione,  lo spostamento di intere popolazioni hanno aumentato a dismisura l’arrivo in Italia e in Europa di specie esotiche da altri continenti. Molte di queste specie definite alloctone hanno determinato un aumento dei danni alle attività umane e problemi alle specie nostrane o autoctone, non in grado di difendersi da questi nuovi colonizzatori. Il problema dell’arrivo in Europa di specie alloctone riguarda naturalmente anche pesci, insetti e specie vegetali. Vengono definite alloctone quelle specie importate nel continente europeo da altri continenti dall’essere umano sia volontariamente e sia involontariamente.
L’attività di controllo a carico delle Province si è intensificato soprattutto in questo ultimo decennio. La priorità dei metodi ecologici di controllo e il divieto dell’utilizzo dei cacciatori vennero spesso aggirati costringendo le associazioni ambientaliste a animaliste a innumerevoli ricorsi, quasi sempre vinti, contro le pubbliche amministrazioni.  

Il 1500 d.C.
Con la legge n. 116 del 2014 il legislatore italiano modificò l'articolo 2 della legge 157/1992 di poco anticipando il Regolamento Europeo n. 1143 /2014, immediatamente applicabile,  che obbliga gli Stati aderenti a provvedere all'eradicazione o al controllo delle specie alloctone.
Il Ministro dell’Ambiente così a gennaio del 2015 approvò il decreto 19/01/2015 per individuare quali fossero le specie alloctone da eradicare. Individuarle non è stato semplice. Il fagiano importato dai Romani dall’oriente in tempi antichi è alloctono o no?  Dichiarare il fagiano alloctono e non poterlo più immettere sul territorio per fini venatori sarebbe stata una tragedia!
E allora la scienza si piegò alla politica e inventò  il 1500 d.C..  Con il decreto del 19 gennaio 2015 il Ministro dell’Ambiente stabilì che le specie selvatiche immesse prima del 1500 d.C. fossero “naturalizzate” e paragonabili a quelle autoctone, mentre quelle immesse dopo il 1500 d.C. fossero da considerare alloctone. Daini, conigli, fagiani poterono così essere mantenuti sul territorio a disposizione dei cacciatori e non necessariamente eradicati, cioè sterminati!

Il controllo oggi
Solo con la legge n. 221/2015 il legislatore incominciò ad accorgersi che forse il cinghiale non andrebbe immesso sul territorio per fini venatori a causa dei danni che arreca alle coltivazioni.  La legge n. 221/2015 tuttavia non ne vietava né la detenzione e nemmeno l’allevamento. Le immissioni clandestine a fini venatori continuarono su tutto il territorio italiano fino a determinare ipotesi di presenza sul territorio italiano di oltre due milioni di capi. A fare le spese di questa follia furono soprattutto le attività agricole.
La Corte Costituzionale che per anni aveva sempre dichiarato incostituzionali le leggi regionali che autorizzavano i cacciatori a partecipare alle attività di controllo improvvisamente con la sentenza n. 21 del 2021, considerando la riduzione del personale dipendente dalle Province, modificò il proprio orientamento e non censurò una legge della Regione Toscana che affidava le attività di controllo ai cacciatori.
Le leggi regionali hanno in tempi brevi recepito questo nuovo orientamento della Suprema Corte ed oggi il controllo della fauna quando crea danni è affidato quasi interamente ai cacciatori.
I responsabili dei danni causati dai ripopolamenti si proposero come solutori del problema.
Quella netta separazione che esisteva tra l'attività venatoria e l'attività di controllo è andata così perduta. Come è andata perduta la speranza di una pacifica convivenza con le specie selvatiche. Ai giorni nostri si spara tutto l'anno, si spara di notte, si spara nei centri abitati, si spara nei parchi e nelle aree protette, si spara in quelli che sulla carta sono ancora giorni di silenzio venatorio.
L’arrivo della Peste Suina Africana P.S.A., malattia virale dei suini e dei cinghiali selvatici, non pericolosa per l’essere umano, ma pericolosa per gli allevamenti industriali di maiali, ha originato la legge n. 29/2022 “Misure urgenti per il controllo della PSA dei cinghiali”. Con tutti i successivi  provvedimenti di Stato e Regioni il controllo è stato definitivamente assegnato ai cacciatori. Oggi i seguaci di Diana si possono fregiare del titolo di “selecontrollori”, “bioregolatori”. “depopolatori”.
La legge n. 197/2022 approvata nel mese di dicembre, stravolse l’art. 19 della legge n. 157/1992 e inserì un articolo 19 ter prevedendo la realizzazione da parte delle Regioni di un piano quinquennale di controllo della fauna selvatica. Con il Decreto interministeriale 13 giugno 2023 del Ministro dell’Ambiente (Gilberto Pichetto Fratin)  e del Ministro dell’Agricoltura (Francesco Lollobrigida) il piano quinquennale di guerra dichiarata alla fauna selvatica prende l’avvio. Il principio sancito nel 1992 che l’abbattimento dovesse essere consentito solo in caso di inefficacia dei metodi ecologici venne ribaltato. Il controllo deve essere cruento e il decreto fornisce un lunghissimo elenco di strumenti utili per la soppressione degli animali “scomodi”: reti, gabbie, trappole di cattura, ottiche di mira, termocamere, fucili, arco, cerbottane, fucili ad aria compressa, camere di induzione per eutanasia, richiami acustici sia elettronici e sia meccanici, stampi, richiami vivi, esche alimentari... mancano le testate nucleari tattiche.  Gli interventi indiretti e preventivi sono ammessi solo in casi estremi di inefficacia degli interventi diretti.
Strumenti non selettivi come reti, gabbie e trappole tornano in auge e vengono spacciati per selettivi.
Le associazioni ambientaliste e animaliste insorgono contro questa recrudescenza della guerra alla fauna definendola “caccia selvaggia”. Da un lato la definizione non è corretta perché si tratta di controllo e non di caccia, ma per altro verso interpreta bene la commistione tra caccia e controllo.

Durante la campagna elettorale per le elezioni europee di giugno 2024 sono comparsi manifesti di candidati armati alla ricerca del voto dei cacciatori e anche con immagini di fucili puntati.
Tanta protervia negli anni non si era ancora vista. Sopra un manifesto di Fratelli d’Italia qualcuno, il cui pensiero è condivisibile, ha scritto “MEGLIO FIGLI UNICI CHE FRATELLI D’ITALIA”.

PAN Pro Natura Animali ha riproposto il Controconvegno “NOCIVOSARAITU” svoltosi il 4 maggio 2024 a Torino e visibile da chiunque al link https://www.youtube.com/watch?v=YAXl4Y0utME&feature=youtu.be perché mai come ora è necessario far conoscere alla popolazione questa guerra dichiarata e che richiede la continuazione delle battaglie per la difesa della nostra martoriata fauna selvatica.

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