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Torino 2006-2022. Cosa resta dell’eredità delle Olimpiadi dopo 18 anni

Piero Belletti

È indubbio che l’occasione olimpica sia stata, per la città di Torino, un’occasione forse irripetibile per migliorare e rendere più efficienti strutture e servizi, nonché per farsi conoscere dal mondo, superando quel concetto capillarmente diffuso di Torino quale grigia città industriale, priva di fascino e attrattive turistiche. Obiettivi che, bene o male, sono stati, almeno in parte, raggiunti. Oggi Torino è senz’altro più “attrattiva” rispetto al periodo pre-olimpico e alcuni servizi sono migliorati: si pensi ad esempio al sistema museale e alla metropolitana, che, per quanto ancora insufficiente, ha consentito un sostanziale passo in avanti nella mobilità urbana sostenibile. Non solo: oggi Torino è conosciuta nel mondo e meta di un flusso turistico notevole e che risulta in generale soddisfatto della visita. Nel solo 2019 si sono registrate circa 4 milioni di presenze e, più in generale, il flusso turistico a cavallo dell’evento olimpico è di fatto raddoppiato.

Il problema, ovviamente, è valutare tutto ciò in termini di rapporto costi-benefici. Considerando, tra i primi anche quelli ambientali e sociali. Cosa che, in realtà, non si fa quasi mai e rende così attraenti anche iniziative del tutto insostenibili se valutate in un’ottica più ampia.

Fare un bilancio, anche solo limitato all’aspetto economico, delle Olimpiadi di Torino è praticamente impossibile, sia per la complessità delle relative vicende finanziarie che per la difficoltà di quantificare in modo preciso i costi delle opere realizzate. Le cifre che più comunemente vengono riportate sono quindi forzatamente approssimative e discutibili. Comunque, danno un’idea abbastanza precisa della dimensione economica di riferimento. Si parla di un debito a carico delle casse comunali della Città di Torino che ha superato 3 miliardi di Euro, che equivale a circa 3.500 Euro per cittadino, neonati ed ultracentenari compresi (dati pubblicati da Il Sole 24 Ore a settembre 2017) e che, se tutto va bene, finiremo di pagare nel 2035. Un debito che è il più alto d’Italia, o che si gioca con Roma questo scoraggiante primato a seconda di come si considerino le cifre. I servizi pubblici per i cittadini nella Torino del post-olimpico sono indiscutibilmente peggiorati: dai trasporti pubblici all’assistenza, dalla promozione di attività culturali al verde urbano (settore, quest’ultimo, nel quale gli investimenti sono via via scesi da 4 milioni a 800.0000 Euro l’anno e che solo in questi ultimissimi tempi mostra confortanti segni di ripresa). Non solo: la disperata ricerca di risorse economiche ha “costretto” l’Amministrazione a svendere alcuni delle sue più pregevoli proprietà e a cercare disperatamente di monetizzare i tristemente famosi “oneri di urbanizzazione” ovunque fosse possibile, con conseguenze molto pesanti sul tessuto urbanistico e sociale della città. Certamente il debito non è imputabile integralmente all’evento olimpico, ma in gran parte sì, come peraltro ebbe modo di affermare la stessa ex sindaca (e attuale parlamentare) Chiara Appendino, quando sedeva ancora in Consiglio Comunale sui banchi dell’opposizione: “Le Olimpiadi invernali di Torino 2006 hanno segnato la nostra città. Lasciando un’eredità pesante fatta di enormi debiti con cui ancora facciamo i conti”.

Gli esempi più lampanti di discutibile gestione dei finanziamenti olimpici riguardano senza dubbio il trampolino per il salto di Pragelato e la pista per il bob di Cesana Torinese, anche se sono numerosi gli esempi di impianti o strutture appositamente realizzate, o pesantemente ristrutturate, per l’evento olimpico e poi di fatto abbandonate o quanto meno sotto utilizzate. Il villaggio olimpico realizzato a Torino sull’area che in precedenza ospitava i mercati generali ne è un esempio. Terminate le Olimpiadi le abitazioni, evidentemente realizzate in fretta e adottando ridottissimi criteri di qualità, hanno cominciato a deteriorarsi: alcune sono state occupate abusivamente e solo recentemente sgombrate e “sigillate” per evitare ulteriori intrusioni. Ma la riqualificazione del quartiere, che era stata promessa e sbandierata ai quattro venti, di fatto non è avvenuta.

Ma torniamo ai due esempi più eclatanti. Il complesso per il salto è stato realizzato a seguito di enormi sbancamenti e disboscamenti a Pragelato (alta val Chisone, giusto qualche chilometro a valle del più famoso centro di Sestriere); è costato non meno di 35 milioni di euro ed è, al momento, di fatto abbandonato e in rovina. Analoga la situazione per la pista da bob, realizzata nella frazione Pariol di Cesana (alta valle di Susa) e costato 110 milioni di euro. Nel 2011 l’impianto, peraltro utilizzato in modo molto saltuario, è stato “svuotato” del liquido refrigerante (ammoniaca), ritenuto pericoloso e obiettivo sensibili di possibili attacchi terroristici. Successivamente all’abbandono, atti di vandalismo e furti di rame hanno praticamente distrutto tutto o quasi. Il destino di questi impianti era peraltro già segnato fin dall’inizio. Inutilmente le Associazioni ambientaliste avevano affermato che sport come il salto con gli sci e il bob sono pochissimo diffusi nelle Alpi occidentali e che non sarebbe bastato l’evento olimpico per creare un bacino d’utenza compatibile con una gestione economicamente sostenibile degli impianti. Analoga risposta negativa fu ricevuta alla proposta di effettuare queste discipline presso località già dotate dei necessari impianti e localizzate nelle vicinanze di Torino.

Naturalmente, le vicende di queste cattedrali nel deserto hanno più volte sollecitato l’interesse della Magistratura: l’ultimo caso riguarda un’indagine della Corte dei Conti del Piemonte avviata ad inizio anno per il degrado e l’incuria di cui gli impianti sono stati oggetto.

Ma come si legge nell’articolo sulle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026 la lezione non è servita a nulla e si stanno ricommettendo praticamente gli stessi errori di allora. Impossibile ipotizzare che gli organizzatori non si rendano contro della realtà: evidentemente la prospettiva di attingere a risorse finanziarie quanto mai sostanziose e il prevedibile allentamento dei vincoli e dei controlli legati alla realizzazione di infrastrutture scatena molti appetiti, anche i meno onorevoli.

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