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Il passaggio da caccia e raccolta ad agricoltura sta avvenendo ora, in mare

Ferdinando Boero
Fondazione Dohrn della Stazione Zoologica Anton Dohrn

Oltre l'etimologia
La parola agricoltura, etimologicamente, significa coltivazione dell'agro, o campo, e si riferisce alle colture vegetali. Ad essa si accompagna l'allevamento del bestiame, come mezzo di produzione di risorse alimentari e non solo. La nostra specie, però, ha iniziato la sua storia ottenendo risorse da popolazioni naturali di piante ed animali, con la caccia e la raccolta. Il passaggio da cacciatori-raccoglitori ad agricoltori è avvenuto migliaia di anni fa: secondo i libri di storia il passaggio avvenne in un luogo ben preciso, in Mesopotamia, tra il Tigri e l'Eufrate, ma recenti ricerche mostrano che la domesticazione delle piante avvenne diverse volte, in modo indipendente, in varie parti del globo.

Oggi, le regole europee riguardanti la produzione di cibo considerano "agricoltura" anche la pesca e l'acquacoltura, estendendosi oltre le pratiche terrestri.

 

Al supermercato
Ora pensiamo a un supermercato e consideriamo tutte le risorse alimentari che quotidianamente acquisiamo tramite il commercio: quasi nessuna proviene da popolazioni naturali terrestri, tutto proviene da popolazioni artificiali, sia vegetali sia animali. Le eccezioni sono pochissime, ad esempio i funghi porcini raccolti nei boschi.

Se passiamo al banco della pescheria, però, ecco che le popolazioni naturali ancora ci offrono risorse prelevate attraverso la pratica che, in acqua, corrisponde alla caccia a terra: la pesca. L'Italia, con i suoi 8.500 km di coste, dovrebbe avere a disposizione pesce locale in quasi tutto il suo territorio vicino al mare, e le zone interne dovrebbero comunque essere rifornite con pesce mediterraneo. Un tempo era così, oggi non più. I banchi delle pescherie sono obbligati a segnalare la provenienza del pesce secondo le zone FAO. Il Mediterraneo, ad esempio, è la zona 37 e a questo numero se ne accompagnano altri che dividono il bacino nelle sezioni occidentale, centrale e orientale, a loro volta suddivise ulteriormente. Il cartello con l'elenco delle zone è spesso ben nascosto. Se vi capita di trovarlo e di confrontarlo con quanto è scritto accanto ai nomi dei pesci vi accorgerete che in molti casi non sono pesci "nostrani" mentre, fino a qualche decennio fa, tutto quello che si trovava in una pescheria era naturale e veniva dal mare "locale". Oggi, buona parte di quel che è presente sul banco non viene da popolazioni naturali. Spigole, orate, rombi, ombrine e altri pesci "pregiati" provengono da acquacoltura. Le differenze di prezzo tra pesci di mare e pesci allevati è enorme. Alcuni pesci allevati, specialmente se di piccola taglia, arrivano a costare 5 euro al chilo, mentre la stessa specie, se pescata e di buona taglia, ne può costare anche 50. Se i pesci "naturali" sono migliori di quelli allevati e rendono di più a chi li vende, come suggerisce la differenza di prezzo, come mai la produzione di pesce si sta orientando verso l'acquacoltura? Semplice: tutti i mari del globo sono sovrasfruttati e, quindi, le popolazioni naturali non sono sufficienti a soddisfare la richiesta di prodotti della pesca. Il prelievo non viene compensato dal rinnovamento della risorsa attraverso la riproduzione: peschiamo di più di quello che il mare riesce a rigenerare, almeno per quel che riguarda le specie più richieste dai consumatori.

 

Le statistiche di pesca
Raccogliere i dati di pesca è difficilissimo. A seconda dei paesi, infatti, si assiste a sovrastime della produzione ittica a fronte di obiettivi ufficiali che mirano a grandi quantitativi, come in Cina, o a sottostime a fronte di norme che limitano il sovrasfruttamento. Le quote di prelievo per il tonno rosso, ad esempio, si basarono sulle dichiarazioni di resa da parte dell'industria peschereccia e posero proprio le dichiarazioni del passato come limite al prelievo. Il rispetto delle quote ha portato alla ricostituzione delle popolazioni di tonno rosso, a riprova che i quantitativi dichiarati fossero nettamente sottostimati, a causa di dichiarazioni fasulle.

I banchi delle pescherie sono la migliore misura di quanto la pesca industriale stia impoverendo i mari. La rarefazione del prodotto locale indica che le popolazioni sono impoverite, l'importazione di specie da altri mari indica che il sovrasfruttamento viene "esportato" verso aree oceaniche che, ora, stanno subendo quel che è già stato fatto alle popolazioni nostrane. Il passaggio all'acquacoltura è dovuto al fatto che le popolazioni locali e, via via, anche quelle globali sono avviate verso l'estinzione commerciale. Le specie bersaglio sono oramai così rarefatte che lo sforzo per prendere quantitativi sufficienti a soddisfare la domanda non consente di coprire le spese del prelievo. I sussidi alla pesca mirano a mantenere attiva la flotta peschereccia industriale, ma non sono altro che un incentivo a continuare il sovrasfuttamento delle risorse. Se il guadagno riveniente dalla vendita del pescato non compensa la spesa per il prelievo, lo sforzo di pesca diminuisce e le popolazioni si rigenerano, ma se lo sforzo viene compensato con gli incentivi, non si fa che incentivare lo sfruttamento della risorsa.

 

Pesca sostenibile
La pesca artigianale è di solito costiera, si vale di piccole imbarcazioni con pochi pescatori a bordo, e usa attrezzi abbastanza selettivi che mirano a specie bersaglio senza colpire altre specie di scarso valore commerciale. I pescatori operano su un "territorio" a loro familiare che sentono come "proprio" e che hanno interesse a salvaguardare. La pesca industriale, invece, ha un raggio d'azione praticamente globale, si vale di imbarcazioni efficientissime che raccolgono sia specie bersaglio sia specie di scarso valore commerciale. Lo scarto di pesca viene rigettato a mare ed è spesso costituito da specie che formano l'habitat delle specie commerciali. Lo strascico "ara" i fondali e rimuove tutto quello che vi cresce, creando deserti sottomarini. Quando un fondale non è più "produttivo" si passa ad altri fondali che subiscono la stessa sorte. Anche la pesca d'altura, con reti a circuizione, si vale di sistemi di individuazione dei banchi di pesce che non lasciano scampo alle specie bersaglio, portandole sull'orlo dell'estinzione, come stava per avvenire con il tonno rosso in Mediterraneo.

La limitazione dei prelievi di tonno rosso, però, ha portato alla ricostituzione delle popolazioni di questa pregiatissima specie, in pochi anni. Le centinaia di migliaia di uova prodotte dalle femmine di teleostei possono compensare rapidamente un prelievo dissennato, a patto che non si ricominci come prima. La pesca artigianale è più sostenibile della pesca industriale ed è anche necessario orientare i consumatori verso specie più abbondanti, come il pesce azzurro, che non siano carnivori che si nutrono di altri carnivori che, a loro volta si nutrono di altri carnivori, tipo un tonno che mangia uno sgombro, che mangia le sardine che, a loro volta, mangiano crostacei, finalmente erbivori... Mangiare pesce azzurro significa nutrirsi di un carnivoro che mangia erbivori, mentre un tonno o un pesce spada, per non parlare degli squali, sono carnivori di carnivori di carnivori, di carnivori di erbivori. La lunghezza delle catene alimentari marine è molto maggiore rispetto alle catene terrestri dove, di solito, i carnivori si nutrono di erbivori, e i carnivori di carnivori sono rari. Se il pesce di "scarso valore" non fosse trasformato in farine da dare a pesci in gabbia ma fosse consumato da noi, salteremmo diversi anelli delle catene alimentari e il nostro impatto sarebbe minore. Occorre però educare la popolazione a consumi alimentari sostenibili, e il mare offre moltissime opportunità in questo senso, dai bivalvi filtratori ai pesci che sono alla base delle reti trofiche, come il già citato pesce azzurro.

 

La transizione agricola in mare
In mare, il passaggio da cacciatori raccoglitori ad agricoltori, avvenuto a terra decine di migliaia di anni fa, sta avvenendo ora, in questi decenni. A terra la caccia viene esercitata per diletto. Spesso le specie bersaglio sono allevate, poi i cacciatori le liberano per divertirsi a prenderle a fucilate mentre scappano. La caccia industriale non può avere lunga vita, perché porterebbe rapidamente all'estinzione delle specie bersaglio, visto che, a terra, le femmine delle specie cacciate non producono centinaia di migliaia di uova, come avviene invece per i pesci ossei marini. L'ultima caccia industriale fu quella dei cacciatori di bisonti del continente nord americano: in poche stagioni di caccia, con fucili di precisione a lunga gittata, portarono il bisonte americano sull'orlo dell'estinzione. Prima di Buffalo Bill e dei suoi complici, i nativi avevano praticato la caccia artigianale, e i bisonti se la passavano bene. E' evidente che la caccia artigianale è sostenibile, mentre quella industriale non lo è. In mare, come spiegato prima, la pesca artigianale è di solito sostenibile, mentre la pesca industriale di solito non lo è.

La distruzione delle popolazioni di specie bersaglio a seguito di pesca industriale ha portato, quindi, alla necessità di allevarle. Si parla di domesticazione di specie ittiche quando è possibile riprodurre l'intero ciclo biologico in condizioni di cattività: non basta tenere gli adulti in uno spazio ristretto e dar loro da mangiare, come forse facevano i romani con le murene tenute nei murenari. La domesticazione, quindi, prevede che le uova delle femmine siano fecondate in condizioni controllate, che si sviluppino prima in embrioni e poi in larve, e che queste, nutrite opportunamente, diventino stadi giovanili che poi saranno messi all'ingrasso, fino a raggiungere una taglia commerciale che ne permetta la vendita a prezzi congrui.

Il pesce più venduto in Italia, oggi, è il salmone. Non si tratta di un pesce mediterraneo e quel che arriva nelle pescherie è di solito allevato in Norvegia, mentre quello affumicato può essere norvegese, scozzese o irlandese. I salmoni hanno una carne color... salmone, conferito loro da una dieta a base di crostacei, tipo quella che tinge il piumaggio dei fenicotteri. La dieta con farine di pesce rende bianca la loro carne, come quella di spigole e orate. Ma i clienti vogliono che i salmoni siano di color salmone, e così si aggiungono coloranti alle farine di pesce e il gioco è fatto. In più, i pesci ammassati nelle gabbie corrono seri rischi di ammalarsi e quindi sono trattati con antibiotici. Costretti nelle gabbie, le loro muscolature non si sviluppano in modo armonioso e la carne di solito è flaccida.

 

Dobbiamo diventare mitiliani?
Tutt'altro discorso riguarda l'allevamento dei mitili, o cozze. I mitili filtrano l'acqua marina intrappolando sul muco delle loro branchie tutte le piccole cose in sospensione nell'acqua: batteri, virus, particelle organiche in sospensione, alghe unicellulari del fitoplancton e, oggi, anche le microplastiche. Il muco trattiene questi materiali e poi viene convogliato alla bocca, ingerito e digerito, neutralizzando gli organismi patogeni che, però, possono infettarci se le cozze sono mangiate crude, quando hanno i patogeni ancora vivi, sul loro muco. La stabulazione delle cozze prevede la loro permanenza in acque pulite per un certo numero di giorni, in modo che ingeriscano il muco e digeriscano i patogeni, neutralizzandone la patogenicità. Dopo la stabulazione, le cozze possono anche essere consumate crude. La stabulazione, però, non elimina un potenziale accumulo di microplastiche, anche se questo problema è spesso molto amplificato, e la presenza di tossine derivanti dall'ingestione di alghe che producono sostanze chimiche per noi dannose. In generale, però, le cozze sono un alimento tra i più sostenibili: non hanno bisogno di essere nutrite, puliscono l'acqua e... sono ottime. Una dieta vegetariana è più sostenibile di una dieta carnivora, ma per coltivare le piante bisogna eradicare la biodiversità da un appezzamento di terreno, seminare la pianta che ci interessa, aggiungere fertilizzanti, e trattare con pesticidi il terreno. L'agricoltura biologica è meno "invasiva" da un punto di vista chimico, ma comunque "occupa spazio". Le cozze si allevano in acque con alto carico organico e trasformano la "sporcizia" in proteine animali. Chi ha a cuore la sostenibilità deve considerare seriamente di adottare una dieta di animali marini filtratori, prima di tutto molluschi bivalvi. A patto che non siano datteri di mare (Lithophaga lithophaga) perché, per raccoglierli, bisogna spaccare le rocce in cui scavano gallerie e, così facendo, si distrugge tutta la fauna e la flora che cresce sulle rocce marine.

 

Nutrire la popolazione mondiale
Il numero di umani presenti sul pianeta cresce in modo prorompente e il cibo necessario per sfamare tutti va oltre la capacità di produzione di beni alimentari da parte dei sistemi naturali. L'agricoltura è una "forzatura" della natura, per spremere in modo sempre più pervasivo quanto riesce a darci. Si sta cercando di ovviare ai problemi di spazio con capannoni multipiano dedicati alla coltivazione di vegetali, per non parlare dei lager in cui sono tenuti molti animali destinati a soddisfare i nostri bisogni con le loro carni.

I bisogni primari (mangiare, bere, respirare) non si possono soddisfare in modo troppo artificiale o addirittura virtuale. In molti paesi la qualità dell'aria è talmente degradata da causare alte frequenze di malattie respiratorie, e le diete squilibrate causano obesità in molti paesi, soprattutto nella parte più povera della popolazione, abituata a nutrirsi di cibo spazzatura. Stiamo modificando i beni primari (aria e cibo) e questo mette a rischio il nostro benessere.

 

La transizione alimentare
La transizione ecologica prevede un "transito" da sistemi di produzione di energia che alterano la qualità dell'aria e del cibo. Il transito dalla produzione di energia con combustibili fossili a modi più sostenibili di alimentare i nostri sistemi produttivi, prima di tutto con le rinnovabili ha la finalità di migliorare la qualità dell'aria che respiriamo e che determina il clima. L'altra transizione ineludibile è quella alimentare, visto che gli attuali sistemi agricoli consumano troppo spazio e usano troppa chimica, per non parlare del transgenico che, a volte, può essere un valido contributo alla sostenibilità ma altre volte è complice di strategie mostruose, come la generazione di piante resistenti agli erbicidi per impiegare in modo massiccio erbicidi che, oramai, non eliminano le erbacce, diventate resistenti. Per non uccidere le piante coltivate, queste sono ingegnerizzate per resistere ai veleni, il che porta a impieghi sempre più massicci di veleni che, poi, si accumulano nel terreno, nelle falde, e poi arrivano al mare.

E' evidente che la popolazione mondiale non può crescere all'infinito, visto che lo spazio sul pianeta è finito. L'ecologia offre il concetto di capacità portante: il numero massimo di individui di una data specie che un dato ecosistema è in grado di sostenere. Non può essere infinito, ma può cambiare. L'invenzione dell'agricoltura ha spostato l'asticella della capacità portante, permettendo lo sviluppo di popolazioni umane sempre più numerose che, ovviamente, non avrebbero potuto svilupparsi se fossimo rimasti cacciatori-raccoglitori.

Il passaggio all'agricoltura anche in mare è un campanello di allarme che ci deve mettere in guardia: se faremo al mare quel che abbiamo fatto alla terra, poi non resterà più nulla di naturale.

Le agrotecnologie ci devono permettere di produrre buon cibo in modo sostenibile, ma questo non sarà possibile in un mondo sovrappopolato. Parallelamente, quindi, si apre il problema dell'incremento demografico. Forse potremmo ancora sfamare la popolazione mondiale se divideremo meglio le risorse ed eviteremo gli sprechi ma questo non ci permetterà di eliminare il limite della capacità portante. Se non ci fermeremo volontariamente, con una saggia transizione alimentare e demografica, ci fermerà la natura.

Prima di tutto, comunque, dovremo usare in modo più saggio le risorse marine. Se distruggeremo le risorse naturali marine e passeremo in toto all'agricoltura anche negli oceani, significherà che avremo eliminato ogni forma di "natura" su un pianeta oramai totalmente antropizzato che, però, non reggerà per molto in condizioni di scarsa naturalità. Questo non significa l'estinzione della natura: l'evoluzione troverà altre soluzioni che non necessariamente comprenderanno anche il nostro benessere o, addirittura, la nostra stessa esistenza.

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