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Il podio della vergogna

Piero Belletti

L’emergenza sanitaria che stiano tuttora vivendo ha suscitato una enorme quantità di commenti e prese di posizione. Molti di essi sono stati di encomio nei confronti delle categorie che maggiormente si sono distinte e prodigate a favore del prossimo, ad esempio il personale sanitario, le forze dell’ordine, le Associazioni di volontariato e tante altre. Ovviamente ci troviamo d’accordo, anche se, come sempre, non è possibile una generalizzazione al 100% e qualche lazzarone si annida sempre anche negli ambiti più virtuosi. Ma tant’è: ci pare inevitabile.
Sulle categorie che, al contrario, si sono distinte in modo negativo si sono invece spese meno parole, se non per motivi di pura strumentalizzazione politica o per amor di protagonismo, magari favorito dall’anonimato garantito dal Web.
Cerchiamo quindi di bilanciare la situazione, ipotizzando un podio virtuale di chi ha sfruttato la pandemia unicamente per perseguire interessi personali o dare una chiara dimostrazione della propria inadeguatezza, se non addirittura grettezza e immoralità. Si tratta, ovviamente, di considerazioni personali, che potranno anche non essere condivise.
Iniziamo dal gradino più basso del podio, assegnato ai giornalisti. Ovviamente, di nuovo, non possiamo generalizzare, ma semplicemente indicare una tendenza comune a una parte cospicua dei rappresentanti della categoria. Hanno fatto un’enorme confusione, dimostrando di anteporre l’obiettivo del titolone ad effetto a quello di fornire una seria ed equilibrata informazione. O quanto meno di essere totalmente impreparati a scrivere di argomenti sui quali avevano scarse competenze (ma nemmeno hanno ritenuto di colmare la lacuna…). Per mesi abbiamo continuato a ragionare sul numero degli individui risultati positivi ai tamponi, considerando questo dato come l’unico in grado di fornirci precise indicazioni sull’andamento epidemiologico della malattia. Solo dopo sei mesi ci siamo finalmente accorti che la percentuale di positivi non ci dice nulla senza il dato del numero totale di tamponi effettuati. E anche in questo caso ci dice poco. Però nessuno se ne è accorto e si è continuato a fornire numeri del tutto insignificanti se non addirittura fuorvianti. E poi siamo stati invasi da dati spesso contraddittori, distribuiti con troppa leggerezza e che altro risultato non hanno avuto che quello di aumentare nell’opinione pubblica una confusione già di per sé pericolosamente alta. Ma quello che ha maggiormente infastidito è stata l’esasperata ricerca della spettacolarizzazione della notizia: quanto volte abbiamo visto giornalisti (o presunti tali) chiedere ad una persona in lacrime che aveva appena perso un caro “che cosa prova in questo momento?”. Domanda stupida, fuori luogo e soprattutto da non porre in quella particolare circostanza. E che dire poi dei cosiddetti “talk show”, in cui i conduttori fanno di tutto per scatenare risse violente tra i presenti e comunque monopolizzano la discussione, interrompendo di continuo gli ospiti, a volte impedendo di capire cosa volessero dire? Ma tant’è: se gli ascolti poi premiamo, allora buttiamo a mare ogni esitazione e comportiamoci pure in modo così azzardato.
Ma se ai giornalisti possiamo a volte riconoscere almeno la buona fede, lo stesso vale molto meno per chi ha conquistato il secondo gradino del podio: i politici. Qui, l’innocenza può essere tirata in ballo molto più forzatamente. Abbiamo assistito spesso a uno squallido teatrino, nel quale questo o quel politico contestava, a turno, le decisioni prese da qualcun altro al solo scopo di cavalcare il malessere della gente e quindi incrementare il numero di potenziali elettori. Quando il Governo (che pure non è esente da responsabilità sulla gestione della crisi) decideva di applicare norme restrittive, ecco che i vari politici (soprattutto quelli felpati o falso biondi) inneggiavano alla libertà, salvo poi chiedere chiusure più drastiche non appena il Governo approvava qualche concessione. Un teatrino veramente squallido. Così come la decisione di aprire una crisi per motivi indefinibili: magari il ragazzaccio fiorentino avrà anche avuto ragione, però alzi la mano chi è riuscito a capire davvero perché ha voluto far cadere il Governo. Ma il massimo è stato raggiunto dalla petrol-vicepresidente della Regione Lombardia, allorquando ha proposto di distribuire i pochi vaccini disponibili in base al PIL delle varie Regioni. E per fortuna non si è sbilanciata su come procedere poi con le priorità all’interno delle Regioni. Prima i redditi più alti e poi i poveracci? Non contenta di aver dato un contributo essenziale allo sfascio del sistema scolastico e universitario del nostro Paese, questo fulgido esempio di amministratore pubblico ha pensato bene di aggiungere una nuova perla al suo invidiabile curriculum.
Ma veniamo al posto più ambito: il gradino più alto del podio. Se lo sono aggiudicato, e con distacco, i cacciatori. Nonostante la drammatica situazione, il loro unico pensiero è stato quello di poter continuare ad andare in giro a sparare su tutto ciò che si muove. Hanno fatto di tutto per non subire nemmeno la più piccola limitazione alla loro perversa attività, qualunque fosse il “colore” vigente in quel periodo. In questo favoriti da un mondo, quello politico, che è ormai legato alle Associazioni venatorie come mai forse in passato. Hanno addirittura fatto passare la caccia come un’attività “necessaria” per mantenere gli equilibri naturali ed impedire non si capisce bene quali drammatiche conseguenze derivanti dal silenzio delle doppiette. Incredibile: è ormai ampiamente appurato come la caccia sia una delle principali cause degli squilibri ambientali (classico il caso del cinghiale), eppure costoro hanno la faccia tosta di trasformarsi da causa in unica categoria in grado di sistemare le cose… E qui, a differenza delle altre categorie, non abbiamo sentito una voce dissenziente dalle folli pretese della categoria. Quindi la generalizzazione è pienamente giustificata.

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