Ri-connessione ecologica - idraulica delle unità morfologiche fluviali laterali
Andrea Dignani, geologo, Geo Studio Dignani Jesi – www.geostudiodignani.it
Dopo ogni evento alluvionale, una forte erosione in un fosso, sorge spontanea la richiesta di “laminare le piene a monte”, “ridare spazio al fiume”, giuste e ragionevoli richieste, purtroppo concetti che normalmente rimangono nella idea astratta della buona gestione del fiume o che al più trovano sporadiche e soggettive interpretazioni progettuali non sistematiche.
Interpretando la definizione dell’ingegneria idraulica (Wikipedia), “l'effetto di laminazione delle portate di piena consiste nel progressivo abbassamento del colmo di piena, per un alveo fluviale, man mano che il fenomeno prosegue da monte verso valle”, il fiume che viene rappresentato diminuisce le portate di picco andando verso valle, laminando lateralmente rispetto all’alveo le portate. Dal punto di vista del rischio idraulico l’approccio che si è affermato negli ultimi due secoli è esclusivamente basato sulla realizzazione di opere di difesa idraulica, progettate nell’ottica di contenere le piene entro stretti argini, rigide sponde, e allontanare l’acqua il più in fretta possibile, ritendo così di mettere “in sicurezza” il territorio. Nella moderna consapevolezza scientifica tale approccio progettuale altera pesantemente i processi e le dinamiche fluviali a medio e lungo termine, con conseguenze spesso imprevedibili e negative soprattutto in termini di rischio e dissesto. Inoltre esistono ripercussioni molto negative in termini ambientali e di disponibilità di risorsa idrica. L’acqua viene di fatto considerata come un problema da scaricare a valle, verso il mare, il più in fretta possibile; al contrario, l’acqua oggi rappresenta una preziosa risorsa, in considerazione degli attuali cambiamenti climatici, da accumulare nel “serbatoio” naturale offerto dal sistema dei corpi idrici superficiali (il suolo) e sotterranei (gli acquiferi). Ad analizzare bene il principio di favorire il deflusso verso valle per mezzo delle pratiche di arginare, canalizzare, rimuovere le condizioni di attrito sulle sponde (togliere la vegetazione, sistemare con gabbionate, realizzare una perfetta sezione di deflusso a trapezio rovesciato), le portate di picco, con il contributo degli affluenti, di fatto aumentano da monte verso valle. Di conseguenza, la vera soluzione progettuale per diminuire il rischio idraulico è quella di “laminare le piene”, diversamente dell’azione puntuale della cassa di espansione, in modo diffuso e continuo, con una costante riduzione del rischio verso valle.
Le Aree di Laminazione
La progettazione per la laminazione delle piene si basa sulla connessione laterale tra le unità morfologiche, in modo da soddisfare contemporaneamente le funzionalità ecologica, le dinamiche fluviali e le esigenze idrauliche, in un quadro sostenibile di gestione territoriale in funzione dalle caratteristiche del territorio circostante.
Le unità morfologiche-ecologiche di riferimento della progettazione sono quindi: il canale, le barre attive, la fascia di vegetazione spondale, la piana inondabile, (Fig.1).
In questo quadro conoscitivo l’unità morfologica-ecologica di riferimento della gestione fluviale è rappresentata dalle sponde, una unità di transizione tra l’alveo e la piana inondabile.
La sponda fluviale è l’unità morfologica maggiormente sollecitata dal punto di vista idraulico, geotecnico e morfodinamico. La costante non comprensione dei metodi di analisi, lo sfruttamento per le biomasse, le forzate geometrizzazioni, hanno fatto della sponda l’unità maggiormente vulnerabile del sistema fluviale.
Le sponde con la vegetazione riparia hanno importanti funzioni:
- riforniscono l’alveo di tronchi e di accumuli legnosi, arricchiscono grandemente il mosaico di habitat, funzionano da strutture di ritenzione della materia organica, forniscono una riserva alimentare di lunga durata, inducono la corrente a scavare buche (questione di vita o di morte per gli organismi acquatici nei periodi di secca) e influenzano l’evoluzione morfologica (alvei secondari, barre, isole, zone di calma);
- attraverso l’azione combinata dell’ombreggiamento (contenimento della produzione primaria fotosintetica) e degli apporti alimentari vegetali, determinano la stessa composizione delle comunità di macroinvertebrati (in particolare i rapporti tra gruppi trofici: trituratori, raccoglitori, raschiatori, erbivori, predatori);
- attraverso la denitrificazione delle acque di scorrimento ipodermico che, dai versanti, alimentano i corsi d'acqua (intercettate dagli estesi apparati radicali), proteggono le acque dall’eutrofizzazione;
- riducendo la velocità della corrente, contribuiscono ad aumentare i tempi di corrivazione e a ridurre i picchi di piena (in altre parole, favoriscono la laminazione e riducono globalmente il rischio idraulico a scala di bacino).
Dal punto di vista geotecnico aumenta la coesione (c) del terreno, aumenta la resistenza disponibile nelle superfici di potenziale scivolamento (Fig. 2), si evitano i franamenti di sponda.
Alle fasce di vegetazione riparia segue in continuità la piana inondabile (Fig. 3), (floodplain), definibile come una superficie pianeggiante adiacente al corso d’acqua e costruita da sedimenti trasportati nelle attuali condizioni di regime, che svolge un ruolo chiave nel mantenimento dell’equilibrio geomorfologico. La piana inondabile riceve le acque di piena, riduce il tirante idrico in alveo, quindi, la forza erosiva, contrastando così l’incisione verticale dell’alveo.
La piana inondabile è geneticamente legata principalmente alle variazioni laterali del corso d’acqua, in particolare all’accrescimento delle barre di meandro, in fiumi a canale singolo sinuoso – meandriformi, fenomeni questi della naturale dinamica fluviale. Nei naturali fenomeni erosivi delle sponde presenti durante la dinamica laterale, si rifornisce l’alveo di sedimenti (contrastando, anche in questo modo, l’incisione dell’alveo e l’erosione dei litorali) e permette la formazione/evoluzione delle barre e delle isole fluviali, nonché la migrazione dei meandri e i processi di rimodellamento morfologico. L’unità morfologica della piana inondabile è costituita da sedimenti permeabili, assorbe le acque di piena favorendo la ricarica degli acquiferi che, a loro volta, alimentano il fiume nei periodi asciutti.
In un corso d’acqua naturale, in condizioni di equilibrio dinamico, la piana inondabile è normalmente soggetta a essere inondata per portate con tempi di ritorno dell’ordine di 1÷3 anni, la piana inondabile attiva, quindi, svolge un fondamentale ruolo per le piene, rallenta la velocità della corrente idrica, evita le forti erosioni e attenua il picco di piena a valle.
In condizioni naturali, la piana inondabile è caratterizzata da elementi morfologici modellati dalle piene: bracci morti, lanche, zone umide, alvei abbandonati, rilievi e bassure e una copertura vegetale strettamente dipendente dalla frequenza e durata della sommersione, dalla vicinanza alla superficie freatica e dalla sequenza degli eventi di piena (con la loro azione di “ringiovanimento” morfologico ed ecologico).
Il nuovo approccio progettuale si basa sulla riattivazione/progettazione delle connessioni tra le unità morfologiche laterali per ristabilire le dinamiche idromofologiche ed ecologiche, allo stesso tempo si ripristineranno le connessioni verticali con la zona iporreica, che si caratterizza per il flusso idrico all’interno dei sedimenti fluviali e la falda idrica sotterranea (Fig.4).
Nei nostri contesti territoriali la piana inondabile è occupata dall’attività agricola e generalmente, per storici motivi di trasformazione del territorio, generalmente disconnessa dalla dinamica fluviale; per questa disconnessione si definisce un approccio progettuale per la riattivazione della dinamica fluviale laterale.
La progettazione della piana inondabile/area di laminazione sarà quindi finalizzata alla creazione di una nuova connessione ecologica ed idraulica tra l’alveo e la zona perifluviale/piana inondabile con un tempo di ritorno di 1-3 anni.
Le soluzioni di attivazione delle aree di laminazione possono essere:
- abbassare, con modeste trasformazioni di terreno, la quota del piano campagna
- innalzare il tirante idrico (livello medio del corso d’acqua rispetto al fondo).
In generale, è opportuno integrare i due metodi, realizzando un vero proprio progetto integrato di riqualificazione fluviale per avere un aumento del tempo di corrivazione a scala di bacino.
Una analisi geomorfologica ed una analisi ecologica definirà uno schema coerente tra le unità morfologiche e gli habitat fluviali tipici del corso d’acqua esaminato.
La trasformazione morfologica comporta di fatto un aumento complessivo della sezione di deflusso, permette inoltre la realizzazione dei meccanismi di autodepurazione del corso d’acqua (effetto tampone – fitodepurazione).
La modellazione del terreno, per la connessione idraulica, consiste nell’abbassamento, modesto, nell’ordine indicativamente di 0.5 – 2.0 m, dal piano campagna, una trasformazione morfologica che si può realizzare attraverso una superficie piana, una superficie curva oppure due livelli distinti di superfici.
Per il modellamento morfologico, per realizzare un’area di laminazione, si possono realizzare diverse tipologie di sezioni funzionali per le aree di laminazione (Fig.5).
Per la composizione planimetrica territoriale delle aree di laminazione, sono stati considerati dei casi principali di forme coerenti con i principi di congruità (Fig.6)
Le aree di laminazione plurifunzionali
Nelle aree riattivate/ricostruite a piana inondabile occorre affermare il principio di plurifunzionalità, ovvero utilizzare l’area, oltre che per laminare le piene, anche per altri scopi naturalistici ed economici:
- Aree di laminazione destinate ad aree umide (biodiversità) (Fig.7)
- Aree di laminazione destinate per la ricarica delle falde idriche (Fig.8)
In molti casi le area vocate per la laminazione delle piene sulle unità morfologiche di piana inondabile si trovano in terreni agricoli, risulta quindi di estrema importanza il coinvolgimento attivo nei processi di decisione progettuale degli agricoltori per la realizzazione:
- di coltivazioni compatibili con la temporanea sommersione (Fig.9);
- di sistemi di depurazione delle acque (fascia tampone, fitodepurazione) (Fig.9);
- della filiera energetica a scala locale (Fig.10).
Conclusioni
Il sistema fluviale riconnesso ecologicamente ed idraulicamente con le unità geomorfologiche laterali mitiga il rischio idraulico, l’impatto del cambiamento climatico, preserva le risorse idriche, stabilisce nuovi metodi per la produzione alimentare delle campagne e la produzione risorse di energia.
La resilienza del salice può, in definitiva, essere il concetto ideale di gestione resiliente di un fiume. Il salice è una pianta autoctona dei corsi d’acqua; essendo flessibile, durante le inondazioni si piega senza ostacolare il passaggio dell’acqua rallentandola per poi rialzarsi passata la piena; grazie al suo apparato radicale resistente riesce a consolidare efficacemente le sponde; e proprio per queste sue caratteristiche è spesso utilizzato negli interventi di ingegneria naturalistica. Favorisce condizioni di ombreggiatura sui corpi idrici, riducendo il rischio di eutrofizzazione delle acque.
Il salice è quindi una specie simbolo che promuove un concetto di riqualificazione fluviale mirata a rafforzare gli ecosistemi e la biodiversità e a favorire per i corsi d’acqua soluzioni flessibili, naturali e più sicure (dal X Tavolo Nazionale Contratti di fiume | Milano 15-16 ottobre 2015).
Bibliografia:
Dignani A. Belfiori D. (2020) – Linee guida per la progettazione e gestione delle aree di laminazione e del reticolo idrografico minore nel Bacino del F. Esino – ed. WWF Marche Centrali Ancona Macerata