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Sequestro di anidride carbonica

Riccardo Graziano

È noto che l’anidride carbonica (CO2) è il principale gas responsabile dell’effetto serra, causa di quel riscaldamento globale che a sua volta sta provocando mutamenti climatici dalle conseguenze già oggi disastrose e potenzialmente catastrofiche in un futuro drammaticamente vicino. È noto anche che, per evitare tutto ciò, dovremmo abbattere le emissioni di CO2, sostanzialmente riducendo l’utilizzo di combustibili fossili e arrestando la deforestazione che sta distruggendo gli ultimi polmoni verdi e serbatoi di biodiversità del Pianeta. Ma nonostante il fatto di essere perfettamente a conoscenza della situazione, stiamo tuttora viaggiando in direzione contraria a quello che dovremmo fare.
Prima dell’avvento dell’era industriale, a cavallo fra XVIII e XIX secolo, la concentrazione di CO2 in atmosfera era intorno alle 280 parti per milione (ppm). Da allora si è registrato un aumento progressivo che, nell’arco di poco più di due secoli, ha portato a superare la soglia simbolica delle 400 ppm, un valore mai raggiunto negli ultimi 800.000 anni. Una tendenza ancora in corso, che vede un incremento medio annuo di 2,2 ppm e attualmente fa registrare il nuovo record di 415 ppm, senza accennare a fermarsi. L’aumento della concentrazione di anidride carbonica è in linea con l’andamento delle emissioni, che nel 2018 sono state calcolate nell’ordine di 55 miliardi di tonnellate di CO2, con un incremento del 2% rispetto all’anno precedente.
Nel 2020, a causa dello stop forzato imposto dalla pandemia, si prevede una diminuzione delle emissioni di circa il 7%, più o meno in linea con quella che dovrebbe essere la decrescita annuale da qui al 2030 per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e contenere l’incremento della temperatura globale a +1,5°C al 2100. Tuttavia, è chiaro che quell’obbiettivo non può essere perseguito grazie a quarantene provocate dall’epidemia o imponendo chiusure alle attività produttive, perché il danno socio-economico sarebbe devastante. Inoltre, occorre sottolineare che la concentrazione in atmosfera di CO2 ha comunque subito un incremento di 2,48 ppm. Quindi la quantità totale di anidride carbonica presente in atmosfera è di fatto aumentata, anche se in misura minore che negli anni precedenti.
Per tradurla con un’immagine pratica, è come se l’atmosfera fosse una vasca che rischia di traboccare perché il rubinetto è ancora aperto, anche se con una portata minore di prima. Per evitare di tracimare, bisognerebbe chiudere il rubinetto, ovvero azzerare le emissioni di CO2, cioè principalmente rinunciare del tutto ai combustibili fossili. Una strategia al momento inattuabile e che comunque richiede tempi medio-lunghi, vista la nostra attuale dipendenza da tali fonti energetiche.  
Dunque, come fare per ridurre la presenza di CO2 in atmosfera senza incidere pesantemente sui sistemi economici e produttivi?
Per tornare all’esempio della vasca, l’alternativa è… togliere il tappo, che nel caso dell’atmosfera significa mettere in atto le tecniche già oggi disponibili di “sequestro” dell’anidride carbonica in eccesso, cioè sostanzialmente quella di origine antropica, ovvero prodotta dall’uomo con le sue attività alimentate a combustibili fossili.
Il sequestro di CO2, tra l’altro, è coerente con i principi dell’economia circolare, che prevede l’utilizzo degli scarti di produzione come “materia prima seconda” per altri cicli produttivi. Nel caso dell’anidride carbonica, lo “scarto” sono i fumi di scarico, dai quali è già possibile oggi recuperare la CO2 e purificarla grazie a composti chimici o materiali naturali, per poi riutilizzarla per altre produzioni, basti pensare all’industria alimentare, che mette in commercio milioni di confezioni di bevande gasate, le cui “bollicine” sono composte appunto di anidride carbonica.
Attualmente, le tecniche per la cattura della CO2 utilizzano solventi chimici o processi fisici basati su filtri, in grado di restituire l’anidride carbonica a diversi livelli di purezza, a seconda del reimpiego al quale sarà destinata. Per esempio, dal trattamento della frazione organica dei rifiuti (FORSU) si può ricavare, oltre al compost utilizzato come fertilizzante, anche la CO2, nonché metano che può essere immesso in rete o bruciato per produrre energia.
Per quanto riguarda l’anidride carbonica, le prospettive di riutilizzo si concentrano su due indirizzi complementari. Il primo punta a ulteriori ambiti di impiego nel già citato settore alimentare, il secondo prevede di ricombinare chimicamente la CO2 per produrre combustibili o altri materiali, scenari entrambi che dipendono da un’attività di ricerca e sperimentazione tecnologica a più livelli.
Nello specifico, citiamo a titolo di esempio il progetto Engicoin dell’azienda torinese Asja, che sfrutta delle “fabbriche microbiologiche” per inserire l’anidride carbonica in un processo di produzione di bioplastiche di elevato pregio. Sempre Asja è capofila del progetto Saturno, con il quale, in collaborazione con altre aziende piemontesi d’avanguardia, si sta realizzando una bioraffineria per trasformare i prodotti di scarto, tra i quali la stessa CO2, in nuova materia prima, secondo i principi dell’economia circolare.
Progressi tecnologici che aprono prospettive interessanti per gestire l’eccesso di anidride carbonica in atmosfera, ma che non devono farci dimenticare che resta imperativo puntare sulla riduzione delle emissioni di questo gas, perché i soli processi di cattura non possono garantire l’abbassamento della sua concentrazione, né tantomeno del conseguente “effetto serra” responsabile del riscaldamento globale.

Tratto da Agendadomani (www.agendadomani)

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