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Tom delle Montange

Tom Ballard, il giovane scalatore morto sul Nanga Parbat, era di casa in Val di Fassa

Gianni Marucelli

È rimasto lassù, a quota 5900 metri, appena sotto lo Sperone Mummery del Nanga Parbat, la montagna del Destino, come molti la chiamano, insieme al suo compagno di arrampicata Daniele Nardi, in un momento qualsiasi del 25 febbraio scorso, giorno in cui si sono perduti i contatti radio col campo base.
Per un paio di settimane il mondo dell'alpinismo è rimasto col fiato sospeso, anche se le speranze
di ritrovare vivi i due non erano più consistenti di un fiocco di neve in primavera.
Alla fine, è stato possibile avvistare con un potente strumento i due corpi affioranti dalla neve.
Daniele Nardi, esperto alpinista, e Tom Ballard, giovane ma già noto per le sue imprese, avevano deciso di sfidare la Montagna Nuda, o Montagna del Destino, nella sua via più estrema, e in inverno. Lo Sperone Mummery, che porta il nome di un antico scalatore himalaiano, Albert Frederick Mummery, primo esploratore e prima vittima del Nanga Parbat, nel 1895, costituisce una via di ascesa alla vetta (8125 metri) non tecnicamente difficile, ma pericolosissima, mai percorsa con successo. Il perché è presto detto: sopra di esso, a circa 7000 metri, vi è una zona di seracchi e un plateau di ghiaccio, da cui possono staccarsi ad ogni momento devastanti slavine. Il tempo atmosferico, poi, cambia continuamente, come è proprio di queste altitudini, ed è difficile trovare una finestra temporale adeguata per dare l'assalto alla cima.
Logico, quindi, che lo Sperone Mummery costituisca un'irresistibile attrazione per gli alpinisti affascinati dalle sfide estreme: Daniele Nardi ci aveva già provato quattro volte, a violarlo, e per quattro volte era stato respinto.
Il lettore, però, a questo punto si chiederà come mai sto raccontando questa vicenda, recente e tragica, che ha trovato già grande spazio sui media di tutto il mondo.
Anche io, come tutti gli appassionati di montagna, sono rimasto colpito, nel marzo scorso, dalla scomparsa di Nardi e del suo giovane compagno scozzese, ma mi ero quasi dimenticato di loro quando, ai primi di luglio scorso, in Val di Fassa, mi sono imbattuto nella locandina di una manifestazione, la proiezione di un docufilm intitolato “Tom” e dedicato a Tom Ballard.
Il lampo di una domanda mi ha attraversato la mente: perché proprio qui, in una delle più note valli dolomitiche? La risposta l'ho avuta quella sera stessa, nella sala del Consiglio Comunale di Pozza di Fassa, ampia e affollata all'inverosimile. Quasi inverosimile è anche la storia di Tom, e troppo bella, nella sua purezza e nel suo amore per la montagna e la natura, perché io mi esima dal raccontarla.
Innanzi tutto: Tom passava buona parte dell'anno, col padre Jim, in due tende e un furgone, in uno dei campeggi ai margini del paese. Anche in pieno inverno. Il luogo era contrassegnato da una serie di tipiche bandierine tibetane, appese tra una tenda e l'altra, facilmente visibili dall'esterno. Allora mi sono ricordato: qualche anno fa le avevo notate e mi ero chiesto il motivo della loro presenza, ma non avevo approfondito, ed ora me ne pento.
I due vivevano poveramente, con la risorsa costituita dalla pensione di mille euro al mese di Jim, e si spostavano da anni, da una catena montuosa all'altra dell'Europa, per consentire a Tom, free climber e poi arrampicatore con tecnica “classica”, di scalare. Non potevano permettersi attrezzature costose: i chiodi da parete li forgia Jim utilizzando metalli riciclati, giacche a vento e altri indumenti, per lo più usati, vengono loro regalati da amici e conoscenti. Tom gira per le strade del paese in bicicletta, coi sacchetti per la spesa. Più per motivi economici che per scelta etica, non mangiano carne; sul loro fornellino da campo però bolle la pentola dell'acqua per la pastasciutta non meno che il pentolino per il tè. E Tom, in qualsiasi stagione, arrampica le più difficili pareti dolomitiche, preferibilmente in solitaria. Non ama la compagnia di altri scalatori, lo distrae dal suo rapporto viscerale con la montagna. Pochi anni fa, nonostante il suo carattere piuttosto chiuso e taciturno, Tom si fidanza con Stefania, una ragazza italiana, figlia, (ma poteva essere altrimenti?) di uno scalatore e anche lei arrampicatrice. Questo legame rafforza il suo rapporto con le nostre Alpi, che, in qualche modo, divengono “casa”, anche se questa, in senso proprio, è stata venduta, in patria, nel 2009, quando padre e figlio hanno deciso di vivere “l'avventura”, per adempiere anche un'antica promessa. Sì, una promessa fatta tra coniugi, negli anni '80. Perché Tom ha – aveva – anche una madre. E che madre: Allison Hargreaves, la regina delle scalatrici, che, incinta di sei mesi, lo aveva portato nel suo ventre a scalare la parete nord dell'Eiger, anche per sfidare i tabù antifemministi.
“Sono incinta, non sono mica malata!”, si narra dicesse ai giornalisti.
Tom Ballard, e più tardi la sorellina Kate, insieme a papà, accompagnano spesso la mamma nei campi-base, non più sulle Alpi, ma sull'Himalaya. Jim ed Allison, entrambi anticonformisti, si sono fatti dunque la seguente promessa: “Qualsiasi cosa accada, all'uno o all'altra, i nostri ragazzi dovranno avere una vita avventurosa!” Quando Tom ha appena sette anni, viene per il padre il momento di restar fedele alla parola data: Allison viene spazzata via dalla bufera, coi suoi compagni, mentre sta scendendo il K2, dopo aver conquistato l'Everest e tante altre vette.
Il DNA di Allison resta però nel sangue dei figli. I ragazzi continuano a girare il mondo col padre, e ambedue iniziano ad arrampicare. Tom sa perfettamente che il suo avvenire non potrà essere che la montagna. Con essa vive un rapporto simbiotico, intenso. Si sente veramente bene solo se è in parete, a risolvere come un'equazione difficoltà alpinistiche che a un altro sembrerebbero insormontabili.
Non gli importano la fama, la ricchezza. Nemmeno quando il suo nome comincerà ad essere noto nel giro, si intratterrà volentieri ai giornalisti. Infine, si sente pronto per un'impresa che nessuno ha mai compiuto: scalare in solitaria, durante i tre mesi invernali, esattamente tra il solstizio d'inverno e l'equinozio di primavera, le sei pareti nord più ardue e famose dell'arco alpino. Comincia il 21 dicembre 2014 con la parete nord della Cima Grande di Lavaredo. Per una serie di circostanze, senza nemmeno essersi portato dietro una torcia elettrica e un piumino adeguato, raggiunge la vetta ma non riesce a scendere prima di notte. La passa su una cengia, a rischio di congelamento. All'alba, Kate, Stefania la fidanzata e il padre lo vedono tornare e chiedere solo la solita tazza di tè. A seguirlo, finalmente, c'è anche un fotografo. L'impresa, e quelle che seguiranno, sono documentate da lui e da Tom stesso, e i filmati costituiranno il bellissimo docufilm che sto guardando in questa serata afosa di luglio, mentre ciò che resta di questo ragazzo di 31 anni giace sotto la neve del Monte del Destino.
Ma bisogna che elenchi le altre pareti di questa eccezionale impresa invernale: il Cervino, l'Eiger, naturalmente, il Piz Badile, le Grandes Jorasses, il Petit Dru.
Il 21 marzo 2015 l'impresa è finita, Tom Ballard è ormai nell'olimpo degli scalatori. Il documentario ci mostra un breve colloquio, avvenuto subito dopo, tra Tom e Reinhold Messner: “Allora, vuoi diventare uno scalatore professionista?”, chiede il grande alpinista a Tom. “Credo di sì”, risponde semplicemente il giovane.
Nel 2017, Tom accetta l'offerta di Daniele Nardi di andare con lui in Pakistan, viaggio che è un preludio al tentativo dell'anno dopo, sul Nanga Parbat.
C'è commozione, alla fine della proiezione, ed un lungo, lunghissimo applauso. Vicino a me, gli occhi velati di lacrime, è seduta Kate Ballard. La sua vita è ora in Sud Africa, è volata qui per questa cerimonia. La brava giornalista che conduce la serata la invita sul palco, le avvicina il microfono alla bocca. Kate dimostra veramente meno della sua età (25 anni), sembra un'adolescente.
Per un lungo minuto non riesce a pronunciar parola, poi mormora una frase in inglese.
La conduttrice traduce: “Fate come Tom. Vogliate bene alla montagna!”
E così sia.

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