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Trent'anni da rilanciare

Nell’anniversario della Legge quadro sui parchi e le aree protette. Intervista a Gianluigi Ceruti

Libero Sédola

Era il 6 dicembre 1991 e, dopo decenni di attesa, il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga appose la sua firma in calce alla legge n. 394.
La legge quadro sui parchi e le aree protette era all’ordine del giorno, ed attesa dal movimento ambientalista e dal mondo scientifico, da decenni. Grazie alla presenza in Parlamento dei Verdi il risultato fu raggiunto.
Primo firmatario l’avvocato Gianluigi Ceruti da Rovigo, già vicepresidente di Italia Nostra.
Con lui abbiamo fatto una chiacchierata in merito a questi trent’anni dalla legge quadro, in un momento che, rispetto ad allora, registra una decisa riduzione di attenzione nei confronti dei parchi e delle aree protette. Nonostante si sia alla vigilia del Centenario della istituzione dei Parchi nazionali del Gran Paradiso e d’Abruzzo che, in un solidale abbraccio di simbolica fratellanza, hanno deciso di celebrare insieme il loro compleanno.
Per tutti noi che ci interessiamo di tutela dell’ambiente naturale il riferimento storico è la data del 1832; per la preservazione delle Sorgenti Calde (Hot Springs) dell’Arkansas gli Stati Uniti d’America introducono l’istituto giuridico dell’inalienabilità che nel 1905 sarà applicato con legge speciale anche alla Pineta di Ravenna. Nel 1864 il presidente statunitense Abramo Lincoln adottò un provvedimento di adeguata protezione delle ciclopiche sequoie delle Valli della Sierra Nevada, in California.
Finalmente con Act del giorno 1 marzo 1871 ecco l’istituzione, negli Stati Uniti d’America, del Parco Nazionale di Yellowstone (il Fiume Giallo delle Rocce, nell’appellativo dei nativi d’America), il primo parco nazionale del mondo.
A seguire l’Australia che nel 1879 costituì quello che oggi è chiamato Royal National Park; poi il Canada, nel 1887, con il Parco Nazionale di Banff; il Sudafrica con due riserve naturali che nel 1926 costituiranno il nucleo iniziale del Parco Nazionale Krüger, intitolato al presidente della prima Repubblica sudafricana
Per l’Europa occorrerà attendere il 1914, con il Parco nazionale svizzero della Bassa Engadina nel Cantone dei Grigioni.
Nel 1919, in Polonia, l’immensa foresta di Bialowieza fu destinata a riserva integrale.

E in Italia, dove comincia la storia?
«La storia delle aree protette italiane affonda le sue radici nel 1907, allorché l’insigne zoologo prof. Alessandro Ghigi suggerì l’istituzione, nella regione del Sangro, del Parco Nazionale d’Abruzzo, che il prof. Pietro Romualdo Pirotta, direttore dell’Istituto di Botanica dell’Università di Roma, rilancerà nel 1913 e il presidente della Società Botanica Italiana, prof. Lino Vaccari riproporrà. Finalmente,  nel novembre 1921, per iniziativa della Federazione Pro Montibus et Sylvis, veniva costituito, con atto di natura privatistica, l’Ente Autonomo del Parco Nazionale d’Abruzzo, che sarà riconosciuto dallo Stato con il R.D.L. n. 257 in data 11 gennaio 1923, convertito nella legge 1511 del 12 luglio 1923. Nel dicembre 1922 il Regio Decreto Legislativo 3 dicembre 1922, n. 1584, convertito nella legge 17 aprile 1925, n. 473, istituì il Parco Nazionale del Gran Paradiso, dopo che la Corona aveva rinunciato alla sua riserva di caccia. Successivamente, il nostro Paese si doterà di altri tre Parchi nazionali: in Calabria, nel Circeo e sullo Stelvio. Questa è la situazione dei Parchi nazionali italiani quando, nel 1952, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), per solerte iniziativa del suo presidente prof. Giovanni Polvani, costituisce una Commissione (attiva per alcuni anni) comprendente, oltre a uomini politici e docenti universitari di scienze naturali, rappresentanti di parchi nazionali e di giardini e musei zoologici, esperti designati da Touring Club Italia e Italia Nostra, con il compito di studiare una proposta di normativa unitaria dei Parchi nazionali esistenti e futuri, che fu predisposta e inviata nel 1962 al Presidente del Consiglio e ad alcuni ministri affinché diventasse un disegno di legge di iniziativa del Governo».

La strada per giungere a una legge di sistema che portasse ordine nella politica delle aree protette è stata travagliata e lunga.
«Nell’inerzia assoluta dell’esecutivo fu il professor Vincenzo Rivera, deputato, docente ordinario di Botanica nell’Università di Roma, a presentare il 4 ottobre 1962 alla Camera dei Deputati il disegno di legge n. 4158, che decadde con la fine della terza legislatura . Nella successiva legislatura, i deputati Paolo Rossi, Franco Restivo, Ugo La Malfa e Vittorio Badini Confalonieri raccolsero i risultati di un gruppo di esperti designati dall’associazione Italia Nostra, coordinato da Bonaldo Stringher  e presentarono, il 24 settembre 1964, il progetto di legge n. 1669, nel quale si contemplava la potestà legislativa in materia in capo alle Regioni nel proprio territorio: la differenziazione tra parchi nazionali e parchi regionali si fondava sulla rilevanza scientifica degli ecosistemi e della biodiversità. Ma anche in questo caso non se ne fece nulla. Con l’istituzione delle Regioni a statuto ordinario (1970) iniziò, in questa materia, una lunga stagione di dispute dottrinali, giurisprudenziali e politiche, spesso conflittuali, fra sostenitori di contrapposte rivendicazioni istituzionali e di competenze tra Stato, Regioni e Enti locali, nonché di decisioni importanti della Corte Costituzionale. Nel 1972, durante la quinta legislatura, furono presentati al Senato due disegni di legge: n. 122 d’iniziativa del senatore Michele Cifarelli e altri e n. 473 del senatore Giacomo Samuele Mazzoli: proposte di legge-cornice che valorizzavano gli enti regionali, abilitandoli a costituire parchi e riserve naturali regionali. Opportunità che molte Regioni seppero cogliere. La prima iniziativa legislativa in materia da parte del Governo (per impulso del Ministro dell’Agricoltura e delle Foreste senatore Giovanni Marcora) fu il disegno di legge n. 711 del 7 febbraio 1980, nato dalla collaborazione del Governo con WWF Italia, Italia Nostra e Club Alpino Italiano: unificato ad altri progetti, alimentò speranze per la sua organicità e completezza, ma decadde quando già era all’ordine del giorno dell’Aula. Nell’ottava e nella nona legislatura ulteriori proposte legislative non approdarono alla meta».

Nel 1986 si apre la decima Legislatura, poco dopo  la tragedia ecologica di Chernobyl e un’opinione pubblica improvvisamente attenzionata sulle questioni ambientali.
I Verdi arrivano in Parlamento con una buona rappresentanza. In cui ci sei tu.
«Preparai e presentai, il 26 novembre 1987, alla Camera dei Deputati, il progetto di legge numero 1964 sulle aree protette, con la collaborazione vitale ed essenziale della parte più sensibile della comunità scientifica e di appartenenti qualificati all’ambientalismo militante, assistei ad una vera e propria gara tra i deputati per apporre la propria firma in calce al testo depositato alla Camera. Infatti, oltre a chi scrive quale primo proponente, ben 37 furono i firmatari, di tutti i Gruppi parlamentari (ad eccezione di Südtirolervolkspartei, che alla fine però votò la legge, e di Union Valdôtaine)».

Quali sono i caposaldi della legge?
«La legge disciplina unitariamente, per la prima volta nell’ordinamento giuridico italiano, l’intera materia delle aree naturali protette terrestri e marine, detta norme e appresta risorse finanziarie per la loro istituzione e per il loro stabile funzionamento, anche delle aree regionali. Istituisce i Parchi nazionali terrestri: Cilento e Vallo di Diano (Cervati, Gelbison, Alburni, Monte Stella e Monte Bulgheria); Gargano; Gran Sasso e Monti della Laga; Maiella; Val Grande; Vesuvio. Inoltre, d’intesa con la regione Sardegna, il Parco nazionale di Orosei, Gennargentu e dell’isola di Asinara: qualora l’intesa con la regione Sardegna non si perfezioni entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge fu prevista l’istituzione del parco della Val d’Agri e del Lagonegrese (Monti Arosio, Volturino, Viggiano, Sirino, Raparo). Inoltre, con l’approvazione della legge, i Parchi nazionali del Pollino, delle Dolomiti Bellunesi, dei Monti Sibillini, dell’Arcipelago Toscano e di Falterona-Campigna e Foreste Casentinesi, non senza giustificazione denominati “parchi di carta” furono posti nelle condizioni di funzionare con un ente di gestione e dotazione finanziaria. Infine fu confermato e ampliato l’elenco delle aree protette marine stabilito dalla legge sulla difesa del mare. A oggi sono solo in parte realizzate, lacuna che voglio sperare possa essere colmata dall’attuale Ministro della Transizione Ecologica».

Due disposizioni, episodiche e disorganiche “in attesa dell’approvazione della legge-quadro sui parchi nazionali e le riserve naturali”, velleitariamente anticipatrici della legge n. 394/1991, approvate nel 1988 e nel 1989, si rivelarono negative perché, dopo l’emanazione dei decreti ministeriali di istituzione, le perimetrazioni provvisorie non furono operative (né potevano esserlo) e per questo suscitarono delusioni là dove avevano alimentato aspettative ed attese concrete nelle popolazioni interessate.
«Ecco perché si può con sicurezza affermare che soltanto con la legge 394/1991 e con i successivi decreti del Presidente della Repubblica, anche i Parchi nazionali delle Dolomiti Bellunesi, del Monte Falterona, Foreste Casentinesi e Campigna, dell’Arcipelago Toscano, dei Monti Sibillini, del Pollino hanno conseguito, per così dire, una certezza di status e un futuro, cessando di essere “parchi di carta”. In una condizione di precarietà è rimasto il territorio del Delta del Po tra Veneto ed Emilia Romagna. Il testo legislativo originariamente proposto non è stato integralmente confermato nel corso del dibattito parlamentare. Infatti un emendamento, approvato al Senato, ha escluso dall’elenco dei Parchi nazionali terrestri il Delta del Po, la cui sorte è stata affidata ad una futura intesa delle Regioni Emilia Romagna e Veneto tra le stesse e con lo Stato: intesa che non è mai intervenuta benché si tratti della più vasta zona umida italiana inclusa da Unesco nel progetto MAB, comparabile, per rilevanza naturalistica, ecosistemi e biodiversità, alle foci del Danubio in Romania, del Guadalquivir in Spagna e del Rodano in Francia, dove la preservazione dei valori naturalistici e paesaggistici è perseguita e convive con un turismo ricco e nel contempo correttamente disciplinato e rispettoso del patrimonio da conservare. Il Delta del Po non è ancora parco nazionale. Debbo ancora sottolineare il principio di “leale collaborazione”, inserito nella legge, che ha agevolato il superamento dei conflitti tra Stato, Regioni ed Enti locali».

I tentativi di scardinare l’impianto normativo si sono reiterati più volte perché la legge era in anticipo sui tempi per il livello generale, culturale ed etico-politico.
Alcuni sono andati a segno, come l’abolizione del Comitato Stato-Regioni e della Consulta Tecnica per le Aree Naturali Protette, che in dieci anni di vita aveva svolto un’attività consultiva intensa e preziosa, indirizzando al Ministro dell’Ambiente di turno anche pareri di propria iniziativa, che erano normativamente consentiti, ma forse furono talvolta più subiti che graditi.
Così anche per quanto riguarda le modalità per la nomina del Direttore del Parco, che nel testo inizialmente proposto doveva avvenire per titoli ed esami, mentre poi è rimasta la procedura concorsuale per soli titoli e il direttore viene scelto in una rosa di tre candidati proposti dal Consiglio direttivo tra soggetti iscritti all’Albo degli idonei alla Direzione.
Altri tentativi di stravolgere la legge, più penetranti e invasivi, sono invece rientrati.
«L’offensiva più insidiosa di una parte della società politica prese corpo nel 2016, quando il disegno di legge di un Senatore (Massino Caleo, NdR) fu approvato in prima lettura dal Senato ma poi non ebbe seguito per l’iniziativa apprezzabile di Giorgio Boscagli e di Francesco Mezzatesta, che costituirono il cosiddetto Gruppo dei Trenta, autore di un appello, allarmato e documentato, alle istituzioni, a cominciare dal Parlamento e dal Governo, tramite le associazioni di protezione ambientale e il periodico OASIS che riuscì a bloccare una serie di proposte che miravano – ad esempio – a compensare con royalties agli enti parco l’invasione di attività degradanti per l’ambiente e la salute o ad inserire rappresentanti di associazioni di categorie economiche nei consigli direttivi dei parchi nazionali, a scapito della presenza di qualificati esperti designati dalla comunità scientifica e dall’associazionismo naturalistico e chiedendo che i Presidenti non venissero scelti tra adepti dei partiti politici come tali ma tra persone specificamente competenti, esperte e indipendenti.
Più recentemente, in positivo si può registrare che in un provvedimento del 19 maggio 2020 sono state approvate procedure più semplici, più veloci e meno macchinose per la nomina dei presidenti e dei consiglieri dei Parchi nazionali e si è introdotta la parità di genere nei consigli direttivi.
Inoltre, per i Parchi nazionali sono state istituite le cosiddette Zone Economiche Ambientali (Z.E.A.) in cui si prevedono agevolazioni e vantaggi fiscali per i soggetti privati che intendano avviare nella zona consentita del parco attività imprenditoriali ecosostenibili come quelle di guide escursionistiche ambientali e di guide del parco (riconosciute).
La doglianza, che è stata opportunamente sollevata, riguarda l’esclusione dei parchi regionali dal beneficio particolare delle Z.E.A.
I benefici anzidetti si aggiungono a quelli che già la legge 394/1991 aveva apprestato con l’art. 7, assicurando la precedenza nei finanziamenti pubblici di una serie di opere a favore dei Comuni e Province ricadenti nel territorio del parco».

Sulla legge Fulco Pratesi, fondatore e presidente onorario del WWF, che con i suoi interventi sul Corriere della Sera ha spinto tanti di noi all’impegno ambientalista, il commento finale: «Credo che nessuno, nella esigua squadra di coloro che si sono battuti per tanti anni in difesa della natura, possa dimenticare la data del 6 dicembre 1991. Un avvenimento che può essere considerato l'apice e il fulcro di un'azione che ha portato l'Italia – con tutti i problemi a questa storia collegati – a far passare lo striminzito 0,6% di territorio protetto nel 1965 agli oltre 25 Parchi Nazionali e centinaia di altre aree tutelate che oggi coprono quasi il 20% della superficie del Paese».

Tornando al protagonista di questa intervista, Gianluigi Ceruti, pardon, il professor Onorevole Gianlugi Ceruti, ricorda che nel 1988 ebbe occasione di essere presentato al Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, che fu informato dell’avvio del percorso della legge quadro che avrebbe poi controfirmato e promulgato. Il Presidente, dimostrò di conoscere a fondo l’argomento e, con espressione incredula al punto da poter essere quasi interpretata come scettica, gli elencò i nomi degli illustri parlamentari che si erano cimentati con la materia; e lui, pivello, neo eletto, davvero pensava di poter condurre in porto una legge attesa da decenni?
Poi, probabilmente pentito di aver frustrato le speranze e i progetti di un parlamentare, annunciò il suo appoggio. Non solo, ma a fine anno volle omaggiare l’On. Ceruti inserendo nel discorso di fine anno agli italiani, un accenno a quella che si sarebbe affermata come la “primavera dei parchi”. Potete immaginare la soddisfazione e l’incoraggiamento che quelle parole ebbero per Gianluigi che ebbe il privilegio di riceverle qualche ora prima del discorso a reti Rai unificate, grazie alla gentilezza e alla riconoscenza del Quirinale.
Le speranze di allora hanno avuto vita non troppo lunga.
Ma guai se oggi ci rassegnassimo alle avvisaglie di un incombente autunno.
Per i parchi e le aree protette è tempo di rifiorire archiviando le ultime stagioni sia a livello nazionale che in molte Regioni.
Gran Paradiso e Abruzzo si preparano a celebrare, insieme, l’anniversario centenario della loro istituzione. Furono tra il dicembre del 1921 e il gennaio del 1922 i primi parchi nazionali italiani.
Fu l’avvio di una politica, sempre claudicante, che contraddistingue, tuttora, il destino delle aree protette, mai definitivamente affermatesi come necessità imprescindibile per la tutela della ricca e preziosa biodiversità della penisola, unica garanzia di futuro.
Furono necessari settant’anni prima che il nostro Paese, o meglio il suo Parlamento, si convincesse  della necessità di normare la materia, nel frattempo rafforzata dalla nascita dei parchi regionali.
Dopo decenni di attesa da parte del mondo scientifico e ambientalista, la legge proposta e fortemente perseguita da Gianluigi Ceruti che, infine, approdò all’approvazione del Parlamento il 6 dicembre 1991, non poteva che essere accolta “magno cum gaudio”.
Ora è necessario continuare l’impegno perché la legge venga applicata in tutte le sue parti.
A Gianluigi e a coloro che sostennero la storia che qui ci racconta, deve andare la gratitudine di tutti. Per ciò che ha fatto e per quello che ne può derivare.

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