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Valerio Giacomini, eretico dell’ecologismo

Attualità di un pensiero-testamento a quarant’anni dalla morte

Valter Giuliano

Il 6 gennaio di quarant’anni fa moriva a Roma una delle figure più importanti nella storia della botanica e dell’ecologia del nostro Paese, il professor Valerio Giacomini.
Al di là del suo impegno scientifico lasciò anche un’ impronta significativa nella storia del movimento ambientalista internazionale con la sua partecipazione alla prima Conferenza mondiale sull’ambiente di Stoccolma, nel 1972, e per il suo contributo al Programma MAB (Man and Biosphere) dell’Unesco.
Ma vogliamo ricordarlo su queste pagine per la conduzione della nostra associazione (dal 1968 al 1979, poi Presidente onorario sino all’improvvisa scomparsa)che, proprio sotto la sua presidenza passò dalla denominazione di Pro Natura Italica -erede del MIPN (Movimento Italiano Protezione della Natura)- all’attuale, in quegli anni comunemente contratta nel termine Federnatura.
Valerio Giacomini fu certamente un ambientalista scomodo, un po’ eretico rispetto all’allora pensiero egemone dei “sacerdoti” di Italia Nostra e del WWF. Specie sul tema delle aree protette cui dava un significato ben oltre il conservazionismo e il naturalismo, avanti di decenni rispetto al resto del mondo ambientalista e anticipatore di quelle che saranno le conclusioni della Conferenza mondiale di Rio de Janeiro.
Per la Pro Natura, formidabili quegli anni! Con lui alla Presidenza, la segreteria era retta da  Dario Paccino, autore dell’altrettanto eretico e anticipatore L’imbroglio ecologico (1972) in cui si spiegava che il “progresso”, così come veniva comunemente inteso, portava inevitabilmente con sé la violenza alla natura. La tesi era lucida: le regole sociali ed economiche, avendo come fine ultimo il profitto, impongono il massimo sfruttamento delle risorse del Pianeta e dunque, al termine di questo percorso, la sua distruzione e con essa - conseguenza ineludibile - la fine anche della nostra specie. E la colpa non è di un astratto “uomo” miope e imprevidente, quanto nell’indisponibilità a cambiare le regole.
Dall’accoppiata Dario Paccino - Valerio Giacomini nacque, nel 1970 questa testata, con il nome di Natura - Società, la prima rivista di ecologia politica del nostro Paese che aveva l’intento di rivolgersi non solo al mondo degli appassionati dell’ambiente, agli studiosi e ai naturalisti, ma all9uomo della strada.
    
La maniera migliore per ricordare oggi la memoria di Giacomini è continuare a nutrirsi del suo pensiero. Ed è per questo che sembra utile riproporre qui alcune sue riflessioni, sui temi che da sempre ci appassionano e ci vedono impegnati.
A cominciare dalla messa a punto del termine e della scienza cui ci riferiamo.
«L’ecologia è una scienza e voi non siete ecologi, semmai siete persone informate su ciò che l’ecologia ci insegna e, sensibili a ciò, vi battete perché i principi dell’ecologia siano seguiti dall’Umanità».
Fu il suo primo insegnamento.
Non volevamo essere chiamati conservazionisti e anche ambientalisti ci stava un po’ stretto: ma ecologisti poteva andare bene.
Non ecologi, ecologisti.
Seconda base del suo insegnamento: non cedere all’irrazionale dell’emotività, ma ricondurre ogni impegno, ogni azione, al vaglio delle scientificità.
«Forse mai come oggi, di fronte a problemi gravissimi che accomunano in una indissolubile solidarietà tutti i viventi, si ha la percezione dei reali, autentici valori della scienza, anzi di tutto il sapere. Solo un sapere che si dedichi veramente alle più urgenti esigenze umane raccoglie credito e prestigio. Per questo molti parlano di un nuovo “Umanesimo”, di un umanesimo scientifico.
É quindi un segno dei tempi nuovi il sorgere e l’affermarsi, con crescente e impensata fortuna, di una scienza, che già esisteva, che risale anzi al secolo scorso, ma che oggi prorompe e si afferma con straordinaria significazione: si tratta dell’Ecologia. Ne scrivono i giornali, se ne parla ovunque; si direbbe sia diventata una moda. Tutti sanno che si occupa delle relazioni fra esseri viventi ed ambiente; tutti intuiscono che queste relazioni si estendono anche alla sfera e alla dimensione umana quindi  alla vita stessa e alla casa dell’uomo. Quindi l'ecologia avanza perfino con atteggiamenti di rivendicazione e di contestazione: se si fosse più curata la conoscenza dei rapporti delicatissimi che legano - e quindi sottopongono a rigorose complesse legalità - tutto ciò che viene al mondo con tutto ciò che costituisce il substrato fisico della vita, non saremmo giunti oggi ad una così disastrosa degradazione dell'ambiente in cui dobbiamo vivere. Proprio l'ignoranza di preziosi delicatissimi equilibri dell'involucro vivente del Pianeta - della Biosfera - ha permesso lo sconvolgimento e talora la distruzione di questi equilibri su vastissimi territori. Questa ignoranza è ancora molto diffusa, ma si sta insinuando ormai nella pubblica opinione un maggior bisogno di sapere qualche cosa di più di quanto non sia insegnato fino ad oggi nelle scuole a proposito del reale significato che il mondo fisico, e gli animali e le piante assumono in relazione con la vita nostra in questo coesistere, coabitare, che si rivela sempre più condizionatore, sempre più determinante per il nostro benessere, anzi per la nostra sopravvivenza. (...)
Architetti, urbanisti, ingegneri, naturalisti generici, cominciano ad ostentare una dignità di preparazione ecologica del tutto inesistente. Altro è intuire il significato moderno della ecologia, altro è essere ecologi e saper applicare l'ecologia nei molti campi nei quali dovrebbe essere introdotta: primo tra tutti quello delle pianificazioni territoriali, intese nel senso più complessivo ed integrale.
Certo oggi un preciso dovere incombe sui responsabili della scuola italiana: colmare la grave deficienza costituita dalla mancanza di insegnamento ecologico in tutti gli ordini di scuole. Si tratta di una deficienza destinata ad aggravare il tanto lamentato “divario tecnologico” che ci stacca dai paesi più progrediti che oggi pongono su base ecologica le loro più vaste programmazioni riguardanti l'abitabilità, la produttività, la salubrità dei loro territori.
Se consideriamo che la conservazione della natura non è altro ormai che il capitolo conclusivo della dottrina ecologica, possiamo renderci conto che nessuna efficiente attività conservazionale è attuabile altrimenti che su fondamento rigorosamente scientifico ecologico. Ma alla conservazione sono legati ormai i destini stessi dell'umanità: basterebbe questa considerazione per dimostrare il carattere umanissimo dell'ecologia e per rivendicare la sua fattiva presenza nella nostra cultura scientifica». (Solo con metodo scientifico si tutela l’ambiente naturale, in Natura e Società, a. I, n.2,  settembre 1970)

E, a cornice del nuovo umanesimo scientifico, un più ampio richiamo ai valori che dovrebbero appartenere ad ognuno.
«Io credo anzitutto profondamente che la crisi immane che stiamo attraversando, che tutto il mondo attraversa e che forse è il momento culminante di una crisi permanente nella storia degli uomini, è anzitutto una crisi di valori. I valori vengono troppo spesso scambiati con le ricchezze, con le risorse che contribuiscono a dare il potere, l’egemonia, o un benessere molto più apparente che reale. I valori vengono troppo spesso falsificati, travestiti, adattati ai più diversi trionfalismi, quando non accede, come oggi accade, che diventino le motivazioni di ogni fanatismo, la giustificazione di ogni delitto.
I valori reali, autentici, che appartengono – come oggi si vuol dire con una espressione abusata – alla “qualità della vita”, non sono circonfusi di artificiosi splendori, non sono compatibili con i clmori pubblicitari, non appartengono ai ludi del consumismo sfrenato, e tanto meno alla corsa delirante verso il possesso e lo sfruttamento fino all’osso di tutte le risorse, di tutti i beni della terra. Appartengono, per usare una espressione di Fromm che sta avendo in questi giorni una certa fortuna, più all’essere che all’avere». (1978)
    
Sulla base di queste riflessioni che suonano profetiche e, ahimè, a tutt’oggi in gran parte inascoltate (al punto che non dobbiamo stancarci di riproporle, né tantomeno darle per scontate), in quegli anni la Federazione impostò il suo impegno e il suo ruolo.
Ma Valerio Giacomini invitava anche a vigilare sulle possibili strumentalizzazione della nuova presa di coscienza ecologica per ancorarla alla serietà scientifica che enunciava la rivoluzione ambientale. Vi propongo questo efficace stralcio da un appunto manoscritto dal titolo “Ecologia e non ecologia” emerso dai materiali di una parte del suo archivio che mi sono stati affidati e che sono depositati presso il Centro Studi Valerio Giacomini della Federazione Nazionale Pro Natura.
«Si potrebbe dire dell'ecologia oggi ciò che si è detto suo tempo e che forse continua ad essere valido per la pace “pacs, pacs et non erat pacs”. Tutti parlano a proposito e a sproposito di ecologia, alcuni con scienza, alcuni con passionalità, alcuni con distaccata ironia, in tutti gli ambienti culturali o sedicenti tali. Deve essere veramente cosa importante questa ecologia che non cessa di essere una novità così dibattuta, diventata pane quotidiano dell'informazione a tutti i livelli. É una scienza sfuggita al controllo degli uomini di scienza? É una nuova filosofia e quindi una nuova visione del mondo? É semplicemente una moda effimera destinata presto o tardi ad essere soppiantata da un'alta moda? Accade comunque che in ambienti scientifici abbastanza informati - e non tutti lo sono adeguatamente - non si conosca più facilmente nell'ecologia che corre su tutte le bocche una originaria concezione che pareva dovesse poggiare su basi scientifiche e non su interpretazioni soggettive e perfino emozionali.
È accaduto qualcosa di simile a ciò che si è verificato al primo sorgere e diffondersi del verbo evoluzionista, quando parve a molti che si aprisse finalmente la via maestra per la conoscenza del divenire della vita del mondo, in una sintesi così vasta da poter assumere senso filosofico e perfino religioso. Chinon  ricorda le infiammate lezioni universitarie di uomini di scienza che dimenticavano le reali dimensioni del sapere scientifico, le acerrime dispute fra evoluzionisti e antievoluzionisti, fino a giungere alle allucinanti giornate di Dayton, e ha assistito poi al comporsi nelle sue linee più equilibrate e significative di una rivoluzione del pensiero scientifico, che proprio in più giuste proporzioni assumerà la più grande importanza».
    
E ancora, dal primo capitolo “La rivoluzione ecologica” del manoscritto La concezione ecologica della natura (s.d.) testo di cui sto verificando l’eventuale edizione:
«Come si è parlato di tante rivoluzioni della prassi e del pensiero in campo tecnico, scientifico e filosofico, così si è giustificato parlare di una rivoluzione ecologica. Ma poiché rivoluzione significa mutamento rispetto a qualche cosa di precedente, così parrebbe giustificato contrapporre a la rivoluzione ecologica in special modo a quel mondo di opinioni, di convinzioni, di azioni che è derivato da una precedente grandiosa rivoluzione, i cui effetti si sono fatti sentire e continuano a farsi sentire pesantemente a scala universale: la rivoluzione industriale. Con questa l'uomo era stato posto praticamente nelle condizioni di poter attuare il disegno di dominio assoluto sulla natura al quale lo autorizzavano le filosofie positiviste e meccaniciste. Era ed è il trionfo definitivo dell'uomo e la sua collocazione al vertice della natura, come arbitro dei destini della natura. Ciò che vantava Cicerone, che esaltava Buffon era diventata realtà schiacciante e travolgente.
La rivoluzione ecologica non detronizza l'uomo per porlo a livello di tutta la restante natura, ma intende far riemergere una grande verità praticamente caduta nell'oblio: che l'uomo è anche natura, che è legato con molteplici legami alla natura, che non può sottrarsi impunemente dall'intreccio di interrelazioni che costituiscono una totalità naturale del mondo.
Questo intreccio di interrelazioni più che una precisa legalità tanto a lungo esaltata da naturalisti e filosofi, è la realtà dinamica del mondo naturale, è la realtà ecologica della natura, nella quale l'uomo è coinvolto e condizionato assai più di quel che credevano e continuano a credere molti esaltatore di un dominio dell'uomo destinato a condizionare e a vincolare con arbitrio illimitato la natura a servizio degli interessi umani. I quali interessi quando vengano approfonditi e portati all'essenziale si rivelano sempre più coincidenti con gli interessi della natura.
Non è facile dire quando abbia avuto inizio una rivoluzione ecologica. Essa è la risultante di un convergere di ricerche scientifiche, di avvenimenti minacciosi, di spinte razionali ed emozionali, ma certo non si deve confondere con le origini dell'ecologia intesa come branca delle scienze naturali».
Fatta questa premessa Giacomini sviluppa il suo pensiero e la sua analisi attraverso i paragrafi “La natura sfera della vita”; “Concezione sistemica della natura”; “La natura trasformata dall’uomo”: “Le prime rotture dell’ordine originario” e “La distruzione dell’ordine naturale”.
A concludere, il capitolo “L’uomo ordinatore della natura” che approfondisce il tema attraverso i paragrafi “Ordine e regolazione dei sistemi naturali” e “Responsabilità umana.
Ma che, soprattutto introduce il concetto di Antropocene.
É relativamente recente la richiesta dell’Anthropocene Working Group affinché sia riconosciuto come era geologica dopo l’Olocene, durata 12.000 anni e a loro giudizio terminata visto che da tempo il pianeta terra e i suoi sistemi sono influenzati più dagli umani che da tutti gli altri fattori naturali.
Ma leggiamo ancora Valerio Giacomini: «Una concezione ecologica della natura sarebbe sterile sintesi se si limitasse a rivelare i processi di degradazione, dando occasione a più o meno severe, talora violenti e perfino nichilisti atteggiamenti di protesta. Se è veramente una concezione valida deve essere non solo speculativa, ma costruttiva. Anche l'atteggiamento che oggi prevale nei confronti della natura da parte di coloro che hanno preso coscienza dei nuovi problemi è forzatamente inadeguato: per arginare una preponderante pressione di opere di distruzione, si manifesta soprattutto come attività difensiva, arginatrice. É assolutamente necessario passare a una “conservazione” attiva e costruttiva. Non è sufficiente difendere i resti che sono salvati dalla distruzione e dalla degradazione, è necessario avviare un'opera di restaurazione di equilibri naturali.
Ma il primo passo in tale direzione si deve compiere attuando una conoscenza concettuale e sperimentale di questi equilibri, tenendo conto della presenza ormai preponderante dell'uomo, cioè dell'esistenza di una antroposfera».

Il suo appello per una responsabilizzazione è accorato,
«Siamo giunti ormai al punto che la natura, anche se non aumentasse ulteriormente l’azione vulneratrice, non è più in grado in molti ecosistemi, che sono parti vitali della biosfera, di risollevarsi da sola. Spetta ora all'uomo di aiutare la natura. L'uomo che ha usato e sta usando forze schiaccianti a danno della natura è chiamato ora a usare le stesse forze per recare aiuto ad una natura che langue e che muore.
Né questo e chiamato a fare per ragioni sentimentali o per motivi culturali astratti, ma per se stesso. Glielo insegna oggi il più elementare discorso ecologico. O l'uomo salva con se stesso la natura, o perisce insieme con la natura e con quella parte della natura che più essenziale al suo sopravvivere. Molti segni indicano un risvegliarsi di responsabilità umana, ma troppe sono ancora le dimostrazioni di sordità, incoscienza, di egoismo, di ingiustizia. Soprattutto di ingiustizia: l'avidità insaziabile di alcune popolazioni nei confronti dell'inedia di altre popolazioni, costituisce un atto di ingiustizia che riguarda un equilibrio umano che prima condizione perché sia possibile ricostruire concordemente insieme un equilibrio della biosfera.
Non abbiamo sottolineato senza intenzione un progressivo accentuarsi di interessi ad un tempo sociali e naturali nell’evoluzione storica del concetto di natura. Questo affermarsi di un’attenzione progressivamente più viva nel rapporto fra uomo sociale natura, se viene spogliato di interessi ideologici ma viene restituita alla più autentica sfera di interessi universali costituisce la mentalità più aderente ai problemi urgenti che si pongono oggi in campo ecologico umano. A tutti livelli, a tutte le dimensioni il problema va posto nel senso di una ristabilita indivisibile giustizia fra gli uomini, assolutamente prioritaria, perché si possa attuare un'opera comune di salvazione di tutti valori dell'uomo insieme a tutti valori della natura. Impresa gigantesca se vien guardata nelle sue più grandi dimensioni, impresa possibile se ogni uomo sentirà questa responsabilità umana nella sfera della sua attività quotidiana».
    
Parole forti che esprimono la sua capacità di visione del futuro che vedeva associato al grido di allarme sulle condizioni ecologiche del Pianeta il desiderio di giustizia tra Nord e Sud del mondo,
Una dimensione politica che ci sembrò tanto ineludibile quanto necessaria e che ci fece seguire con passione la Conferenza di Stoccolma piuttosto che quella successiva di Budapest leggendone resoconti e approfondimenti su Natura Società.

Questo il suo commento ai lavori della Prima Conferenza Intergovernativa sull’ambiente: «È certo comunque che a Stoccolma i grandi problemi che attanagliano il mondo con una morsa dilaniante sono emersi. Sono emersi anche per merito delle Controconferenze o Conferenze Alternative che si sono fatte sentire vivacemente dalla stessa Conferenza Intergovernativa dell’Onu. Il primo e più grave problema è la divisione del mondo in Paesi ricchi e Paesi poveri, da cui deriva la necessaria insopprimibile interdipendenza dei problemi dello sviluppo e dei problemi dell'ambiente in un quadro radicalmente rinnovato di giustizia sociale ed ecologica» (Natura  Società, a. III, n. 3, mag-giu.1972).
Il Presidente Giacomini si impegnò da quegli anni, in prima persona, e non solo nella “sua” Pro Natura, per la causa ambientalista. E per l’annunciata necessità non solo di conservare, ma anche di recuperare la natura compromessa e degradata, rappresentò un riferimento internazionale per il Programma MAB (Man and Biosphere dell’Unesco).
La sua interpretazione dei temi legati alle aree naturali protette isolò lui personalmente, ma anche la Pro Natura per il fatto che rivendicava con forza e in anticipo sui tempi (il concetto di “territorializzazione delle politiche ambientali” fu sancito nella Conferenza Internazionale sull’ambiente di Rio de Janeiro del 1992) l’urgenza di coinvolgere nella loro gestione le comunità, come testimonierà il volume “Uomini e parchi” che grazie a Valerio Romani fu pubblicato postumo.
Concetti che già aveva anticipato sulle pagine di questo foglio in maniera ben chiara – e per l’epoca lucidamente provocatoria - nell’articolo “Affidare alle popolazioni i Parchi Nazionali” (Natura Società, a. III, n. 2, mar-apr. 1972)
    
È utile ricordare, in conclusione, queste parole della Relazione al 30.mo delle Federazione, (in Natura e Montagna, a.XXVII, n.3, 1980).
«Veniva contraddistinguendosi Federnatura, piuttosto vivacemente, nei confronti di altre associazioni italiane, per un crescente superamento del protezionismo tradizionale, che aveva avuto tanti meriti, ma che non ci sembrava più come tale adeguato alle esigenze imposte dalla rivoluzione ecologica nel suo più sostanziale significato. Questo superamento si delineava nel senso di una esplicita, e non solo sottintesa, affermazione dei legittimi interessi dell'uomo e in particolare delle società umane. Culminava la manifestazione di questo principio nella forma e nel contenuto del periodico “Natura Società”, che tanti consensi ha ottenuti. (...)
La Carta di Forlì, uscita da un dibattito appassionato è un documento limpido che nella premessa afferma due principi fondamentali: il carattere naturalistico, quindi la costante ricerca di una prassi ecologica metodologicamente attendibile e il richiamo delle responsabilità che oggi investono in tal senso tutti i cultori di scienze e conoscenze della natura; e il carattere sociale, umano, della conservazione della natura che non ha fine in se stessa, ma deve servire agli autentici interessi dell'uomo, che viene però richiamato alla responsabilità di un controllo e una regolazione permanente dei processi di trasformazione, di utilizzazione ed anche di conservazione.
Ho avuto occasione di richiamare più volte gli amici di Federnatura alla necessità di agire più solidamente, di fare quadrato intorno a questi concetti non tanto perché ci contraddistinguono, ma perché corrispondono ad una nuova rivoluzione ecologica o, meglio, ad una verifica dei contenuti essenziali dell'ecologia, che è in atto irresistibilmente nel mondo, ma che solo noi in Italia avevamo anticipata, arrischiando, tuttavia, come stiamo ancora arrischiando, di essere sommersi dalle spinte, che anche all'interno di Federnatura si fanno sentire nel senso di troppo esclusivi orientamenti protezionistici».
È altrettanto doveroso ricordare che ci furono momenti di divergenza di opinione, come sul tema dell’opposizione al Piano Nucleare da 20 mila MW presentato dall’allora ministro Carlo Donat Cattin (1975) che trovò un Valerio Giacomini molto tiepido, anche se non si oppose a una presa di posizione dell’associazione che nella “Dichiarazione di Orvieto” - redatta in occasione del convegno  dal 30 aprile 1978 “Federnatura per un controllo democratico delle scelte energetiche”-  ribadiva una ferma opposizione alla scelta nucleare, chiedeva una moratoria e sosteneva il ricorso prioritario alle fonti di energia rinnovabili.
Allo stesso modo non condivise l’opportunità di dare un obiettivo politico elettorale alle tematiche ambientaliste, con la formazione delle Liste Verdi nelle quali tuttavia le associazioni non si esposero se non con esponenti che lo fecero a titolo personale.
Posizione tuttavia personale, che non ebbe mai la pretesa di chiamare le associazioni a un loro coinvolgimento diretto. Semmai si trattò di una forte sollecitazione a militanti e iscritti e di scelte personali di chi accettò di candidarsi a quella avventura
Valerio Giacomini, fortemente critico mise sull’avviso circa i possibili rischi e manifestò la sua opinione in uno scritto dal titolo “La tentazione politica dell’ecologismo”. (Nuova Scienza, a. XIX, n. 6, giu.1978)
Ho cercato, sia pure in una inevitabile frammentarietà, di dare conto, nel quarantesimo della sua scomparsa di quanto Valerio Giacomini ebbe una visione lucida e conseguente del suo impegno di studioso e accademico, fino al punto di mettersi in gioco e di impegnarsi direttamente, senza timore alcuno, in quella che, a un certo punto, si configurò come una vera e propria radicata passione.
Un generoso mettersi a disposizione e mettere a disposizione le proprie capacità, le proprie conoscenze e la maturata consapevolezza di un futuro che non è dato senza una forte presa di coscienza delle necessità, per l’umanità, di rientrare nella fragile armonia della natura.
Si spese senza riserve a favore di quella “rivoluzione ecologica” che riteneva obiettivo da perseguire.
Con scienza e coerenza, indicando a tutti noi la linea da seguire: «Qual è la via giusta? Coincide con la via più fortunata, più ricca di adesioni, più ricca di mezzi?
La via più fortunata é purtroppo quella dei facili slogans, delle posizioni rumorose, degli appoggi politici (personali o ufficiali), della quantità e del numero, e della forza del denaro.
Soprattutto la via più facile è quella del “no”, dei pronunciamenti negativi, meramente protezionistici e difensivi; dell'invocazione di leggi “forti”; di una stratificazione culturale, per cui si fanno discendere dall'alto pronunciamenti assoluti, indiscriminati, in nome dei diritti di una natura astratta che ha valore soprattutto per se stessa.
Difficile è la via costruttiva e ricostruttiva della partecipazione, del controllo scientifico luogo per luogo, caso per caso, del riconoscimento ben vagliato delle legittime esigenze delle popolazioni perché tutto questo richiede assai più impegno e preparazione che nobilitanti e perentorie posizioni codificate, accusatrici, impulsivamente radicalizzanti, più emozionali che razionali.
A mio parere la scelta fatta da Federnatura doveva essere questa scelta difficile, quindi quella che corre inevitabilmente i rischi del misconoscimento, dell'ostilità, dell'isolamento. Soprattutto allo stato attuale delle cose e nel momento confusionale che attraversa il nostro paese e il Mondo questa posizione è sgradevole, è svantaggiosa, è faticosa, perché richiede un impegno umano e scientifico che pochi si sentono di affrontare. I problemi dell'ambiente cessano di essere un hobby, un'attività di vacanze, un'ostentazione di atteggiamenti, ma diventano profonda presa di coscienza, coinvolgimento di tutto il nostro agire quotidiano.
Io credo fermamente che questa è la via realistica e costruttiva del presente e più dell'immediato avvenire. Molti segni lo annunciano. (...)
Più volte ho ricordato che la mia stessa persona, per le convenzioni da anni apertamente espresse, è un motivo di contraddizione e pesa su Federnatura come un condizionamento limitante, nei confronti di certe ampie e facili convergenze che senza di me sarebbero così facilmente realizzabili. Ritengo che siamo giunti ad un momento critico che richiede chiarezza. Chiarezza non vuole dire rigidità  - io sono accusato anzi di “permissività”, di “flessibilità” – ma realismo, rifiuto del dilettantismo, informazione puntuale, partecipazione costruttiva.
Tutto questo sia detto esprimendo ogni apprezzamento per generose battaglie condotte da altre organizzazioni e da noi stessi contro le illegalità, gli abusi, gli sfruttamenti dissennati e profittatori, quando queste battaglie sono state condotte anzitutto per autentici e ben verificati interessi umani». (1977, lettera al Consiglio Direttivo, Natura e Società, genn. 1978)

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