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Rinnovabili sì, ma sostenibili

Riccardo Graziano

Non c’è dubbio che l’unico futuro possibile per l’energia sia quello delle fonti rinnovabili, che dovranno sostituire progressivamente i combustibili fossili. Attenzione però, perché rinnovabile non è sinonimo di sostenibile, significa solamente che l’energia viene prodotta da fonti che non si esauriscono, come il sole e il vento. Ma questo non garantisce automaticamente la sostenibilità degli impianti. Anzi, proprio l’accelerazione della produzione da rinnovabili sta producendo storture già ben visibili, che dovremmo correggere per tempo, prima che la situazione degeneri e crei problematiche ambientali diverse da quelle delle fonti fossili, ma non per questo meno gravi.
L’esempio più classico è quello delle dighe, vere e proprie cesure imposte ai corsi d’acqua, che rischiano di alterare gli ecosistemi e di produrre squilibri idrici, come avvenuto con la storica Hoover Dam, che dal 1935 sbarra il corso del fiume Colorado fra Arizona e Nevada, formando il lago Mead. Gran parte delle sue acque e della corrente elettrica prodotta dall’impianto vanno ad alimentare i consumi della California e di Las Vegas, una delle città più energivore del mondo. Ma a causa di questi massicci prelievi, quello stesso Colorado capace di scavare una meraviglia della natura come il Grand Canyon, oggi arriva in Messico con una portata d’acqua talmente ridotta da non riuscire quasi più a sfociare in mare, perdendosi nelle sabbie della Baja California. Ciò ha provocato conseguenze sia ambientali, con la progressiva salinizzazione del delta del fiume, sia socio-economiche, per il pesante impatto che la carenza d’acqua causa alle popolazioni messicane la cui vita ruotava intorno al fiume.

Una situazione simile si sta creando oggi in Etiopia con la diga sul fiume Omo. A fronte di una produzione di energia che dovrebbe “modernizzare” il Paese consentendo la sua industrializzazione, si sono creati enormi svantaggi per le popolazioni a valle dell’impianto, che hanno visto ridursi considerevolmente la quantità d’acqua disponibile.
I primi a farne le spese sono stati naturalmente agricoltori e allevatori, ma anche i pescatori che lavorano nel lago Turkana, dove sfocia il fiume Omo, hanno visto le risorse ittiche crollare drammaticamente, in modo proporzionale all’abbassamento del livello del bacino lacustre. Si rischia un disastro ecologico come quello che ha sostanzialmente distrutto il lago di Aral e tutta l’economia che ci ruotava intorno.

Qualcuno si è chiesto se l’energia prodotta vale un simile costo? Se i posti di lavoro ipoteticamente creati dalla diga potranno compensare quelli che già sta mettendo a rischio? E se quelle popolazioni non più in grado di mantenersi “a casa loro” decidessero di migrare verso le nostre coste, con quale faccia tosta potremmo respingerli, dal momento che la diga l’ha costruita un’impresa italiana?
Queste domande, valide per tutte le grandi dighe e in particolare per quelle attualmente in progetto o in costruzione, possono essere ribaltate, con le dovute proporzioni, anche sul cosiddetto mini idroelettrico, forma di sfruttamento dei corsi d’acqua in rapido aumento che, a fronte di un apporto di produzione energetica trascurabile, rischia di creare seri danni ecologici. Il problema è particolarmente sentito nei Balcani, dove le proteste contro tali impianti si moltiplicano, ma esiste anche in Italia. Il fatto è che nel nostro Paese, non di rado, questi impianti godono di sussidi pubblici, il che solletica gli appetiti di certi imprenditori, diciamo così, poco sensibili all’ambiente. Il rischio è quello di snaturare corsi d’acqua ed ecosistemi con sbarramenti artificiali che, anche se di dimensioni molto inferiori a quelli delle grandi dighe, spezzano comunque la continuità dell’ambiente fluviale, con impatti pesanti dal punto di vista ecologico che non vengono in alcun modo compensati dall’infima quantità di chilowattora prodotti.

Discorso analogo può essere fatto per alcuni impianti eolici, piazzati in zone poco ventose solo per mettere le mani sui sussidi pubblici e grazie ad amministrazioni complici o perlomeno poco avvedute, che hanno concesso i permessi abbagliate dalla prospettiva di lauti guadagni mai concretizzati. La cronaca giudiziaria recente è costellata di casi di impianti fermi, con inchieste a carico di società opache, imprenditori discutibili e politici conniventi. Ma purtroppo ormai il danno è fatto, con assetti idrogeologici compromessi e paesaggi deturpati, specie sui crinali montuosi e collinari. Un danno che si sarebbe potuto evitare con un minimo di programmazione, dal momento che era ampiamente noto il fatto che la ventosità del nostro Paese è notevolmente più bassa di quella che, per esempio, permette alle nazioni nord-europee di produrre grandi quantità di elettricità grazie alle pale eoliche.
L’Italia, “paese del sole” per antonomasia, è piuttosto indicata per lo sviluppo del fotovoltaico, ma anche qui occorre fare attenzione, per evitare danni ulteriori oltre a quelli che già sono stati fatti. Intendiamoci, vanno benissimo gli impianti destinati all’autoconsumo, quelli che molte famiglie e anche qualche impresa hanno installato sopra ai propri tetti e che coprono almeno in parte i loro fabbisogni energetici. Ma il discorso cambia totalmente per i cosiddetti impianti “a terra”, quelli con i pannelli posizionati sul suolo, destinati a sottrarre terreno fertile all’agricoltura o a deturpare zone paesistiche di pregio.

I pannelli solari non devono assolutamente entrare in competizione con agricoltura e pastorizia, soprattutto non devono inficiare in alcun modo la capacità di un suolo naturale di fornire i cosiddetti servizi eco-sistemici, dalla cattura dell’anidride carbonica tramite la vegetazione spontanea alla captazione delle acque piovane con successiva azione di filtraggio verso le falde acquifere sotterranee. Piuttosto, il fotovoltaico dovrebbe finalmente entrare in modo massiccio nei centri urbani, o comunque dove il suolo è già stato compromesso dalla cementificazione che caratterizza il nostro modo di intendere lo “sviluppo”. Tra l’altro, così facendo si toglierebbero argomenti a certi individui che si scoprono ambientalisti quando possono denunciare lo “scempio” di pannelli fotovoltaici che vanno a ricoprire terreno vergine, ma che stranamente non dicono mai nulla quando i medesimi terreni vengono cancellati da colate di cemento e asfalto destinate a nuovi centri commerciali con relativi mega parcheggi, raccordi stradali costellati di rotonde, capannoni destinati all’abbandono e così via.

I tetti dei condomini sono un luogo ideale per posizionare i pannelli, specialmente in meridione, ovviamente privilegiando quelli esposti a sud. Un’opzione praticabile anche nei centri storici, di cui l’Italia è costellata, purché con soluzioni (peraltro già disponibili) che rendano minimo l’impatto visivo, per non alterare l’omogeneità storico-artistica del paesaggio urbano. Vale la pena ricordare che, grazie a una modifica normativa introdotta nel 2012, anche un singolo condomino può installare pannelli solari sul tetto condominiale per il proprio uso personale, naturalmente occupando solo una porzione corrispondente ai propri millesimi di proprietà. Tuttavia, sarebbe opportuno che tali iniziative venissero prese collegialmente, dunque sarebbe di grande utilità una normativa ad hoc su base nazionale che incentivasse e al tempo stesso regolamentasse l’installazione di pannelli destinati a coprire almeno in parte le esigenze del condominio o del nucleo urbano, minimizzando la necessità di ricorrere all’energia prodotta dalle centrali.
Inoltre, impianti solari (ed eolici, dove c’è vento sufficiente) possono essere installati nelle zone industriali attive o dismesse, nei grandi centri commerciali, o anche nelle zone portuali, come sta avvenendo a Porto Torres, dove è prevista l’installazione di pannelli fotovoltaici in grado di produrre 51 GWh in un anno.
Qualcuno ha calcolato che l’area coperta da fabbricati idonei a ospitare impianti fotovoltaici, anche se distribuita a macchia di leopardo, sia complessivamente pari al 7% del territorio nazionale, un’estensione paragonabile a quella dell’Umbria, senza intaccare nuovo suolo o deturpare paesaggi o manufatti di pregio. Se si riuscisse a incentivare l’installazione di pannelli solari su tali edifici con una normativa valida a livello nazionale, che eviti il consumo di suolo e tuteli il patrimonio storico-artistico e naturalistico, sull’esempio di quanto il Ministero dell’Ambiente ha già fatto con tre Regioni all’avanguardia (Puglia, Toscana, Piemonte) potremmo implementare una produzione energetica non solo rinnovabile, ma anche sostenibile, perché ottenuta senza impattare su agricoltura, paesaggi ed ecosistemi.

#Reforest, un progetto condiviso per stimolare e sensibilizzare alla rinaturalizzazione

Disboscamento è stata l’azione prevalente del secolo scorso, riforestazione ci auguriamo diventi quella attuale

Luca Cardello e Claudia Esposito

La riforestazione sembra essere tra le soluzioni più impattanti davanti alla grande sfida per la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico in corso; uno strumento potentissimo per la tutela della biodiversità e per la conservazione della Natura.
Dopo decenni di deforestazione, ancora in corso non solo in Amazzonia ed in Indonesia, finalmente oggi assistiamo al moltiplicarsi, a livello globale, di diversi movimenti per una lotta consapevole ai cambiamenti climatici; #Reforest è uno di questi ed è in seno alla Federazione Nazionale Pro Natura.
È bene sapere che quando parliamo di riforestazione ci riferiamo all’atto di mettere gli alberi laddove una volta c’erano alberi. Dunque concretamente restituire quello spazio alla natura perduto nel tempo per diversi fattori: disboscamento, incendi, calamità naturali e così via. Basti pensare all'abbattimento naturale di milioni di alberi a seguito delle tempeste del 29 ottobre 2018, dall'Asiago, passando per la costa tirrenica, fino alla Sicilia. L’utilità risiede nel ripristino degli ecosistemi naturali attraverso l’allargamento o l’impianto di nuove aree adibite a forestazione per fornire ossigeno all’atmosfera e casa a numerose specie anche in contesti urbani.
Per saldare questo debito con la Terra è necessario che diversi attori sociali entrino in gioco coordinandosi sul territorio, nel rispetto del paesaggio e delle sue caratteristiche. Per rispondere a questa necessità, anche il Ministro Costa ha recentemente riconosciuto la forestazione utile al contenimento del dissesto idrogeologico stanziando fondi in questo senso, anche se ancora manca un piano di forestazione su scala nazionale.
Un primo tentativo iniziò già dal 1992 e nel 2013 con la legge “Un albero per ogni nuovo nato”, ma questa è rimasta spesso inattesa. Se fosse stata rispettata completamente avremmo avuto ben 22 milioni di alberi ad oggi. Esistono inoltre altre leggi che garantiscono la pratica, ma i fondi languono e la programmazione non esiste.
Nel quadro di questa ripresa quantomeno morale, anche l’Italia, con il suo patrimonio arboreo e la sua ricca biodiversità, vede oggi germogliare piccole realtà attente alla tutela e alla cura del paesaggio e del territorio. Tra queste, nel 2017, nasce e si sviluppa l’idea di #Reforest, un progetto interassociativo patrocinato dalla Federazione Nazionale Pro Natura e ideato dall’Ass. Sempre Verde di Latina. L’obiettivo ultimo di #Reforest è quello di ripristinare degli ecosistemi boschivi e avere un paesaggio più verde con la conseguenza di rendere l’ambiente più sano. Ma per arrivare a questo ci sono varie azioni necessarie da percorrere.
Entriamo nel particolare.
#Reforest propone un modello di integrazione del verde ripetibile e inclusivo; permette a coloro che vogliono sposare il progetto di modellarlo alle esigenze del territorio in cui si va ad inserire, con lo scopo comune di mettere a dimora specie arboree coerenti con il contesto climatico e con gli ecosistemi naturali che si vogliono ripristinare. #Reforest propone la creazione di una rete virtuosa di cittadini che si interfaccia con le amministrazioni locali in modo sinergico e che segue il ciclo dell’albero dal seme alla pianta. L’obiettivo è quello di ottenere che ogni Comune si doti aree adibite a forestazione e dei mezzi per soddisfare le necessità dell’ambiente e dei cittadini, adempiendo alle leggi. Per fare questo gli aderenti al progetto iniziano con il dar loro stessi il buon esempio, organizzando azioni di sensibilizzazione.
Si propongono giornate informative; si creano vivai diffusi e condivisi in aree comuni, nelle scuole, in aree pubbliche, ma anche nel proprio giardino o sul balcone di casa. Si crescono le piante e si mettono a dimora concordando con i comuni le aree più adatte all’azione.
Ecco qui di seguito le azioni che propone il progetto:
•    forestazione, ovvero la  messa a dimora di alberi o semina di ghiande
•    libera l'albero, quindi lo sfalcio delle erbacce intorno alle giovani piante a opera o di volontari e/o del comune
•    adotta l'albero, dunque annaffiare i giovani arbusti d'estate e nei periodi siccitosi
•    vivaio diffuso, far crescere alcuni semi e piantine sul balcone, in terrazzo o in giardino per poi donarle quando pronte per le iniziative di forestazione)
•    istituire un’OASI PRO NATURA che entri a far parte della rete italiana delle oasi Pro Natura (http://www.pro-natura.it/oasi.html). Le oasi Pro Natura sono di dimensioni ridotte e sono esempi di rinaturalizzazione di estrema rarità e rappresentatività per la biodiversità. Esse possono essere aree degradate per esempio da incendi che possono grazie alle iniziative delle associazioni Federate a Pro Natura riacquisire una nuova naturalità, condizione per una loro fruizione didattica e di ricerca.
 Questo nel piano più in superficie. Sullo sfondo delle iniziative di #Reforest c’è invece la battaglia affinché alcune leggi scritte su carta, come l’obbligo di piantare un albero per ogni nuovo nato; di istituire un catasto incendi e un bilancio arboreo comunale, siano applicate dai comuni per il benessere e la salvaguardia dei cittadini e delle città. Creare quindi un fermento dal basso che spinga all'impegno politico le Amministrazioni, gravate oggi solo dall’obbligo di seguire queste leggi, ma senza sanzione in caso di mancata applicazione. Se la volontà di far rispettare queste leggi non si manifesta, il progetto non può avviarsi. E in questi casi ci limitiamo a qualche iniziativa sporadica di messa a dimora degli alberi, sempre importante per l'ambiente, ma solo localmente e in ogni caso assai meno incisiva in termini di impegno politico-ambientale a medio-lungo termine.
#Reforest funziona al massimo delle sue potenzialità quando c’è dialogo e partecipazione tra i vari enti coinvolti. Facciamo un esempio: se abbiamo l'autorizzazione comunale ma non c'è un supporto reale dal basso il progetto non riesce a partire; Se invece le istituzioni non rispondono ad una richiesta dal basso ugualmente il progetto è destinato a fallire.
In termini concreti, gli step per realizzare il progetto #Reforest territoriale sono:
•    creare e costituire un gruppo formale o informale di cittadini e/o associazioni che ne condividono temi, ideali, metodo e azioni;
•    relazionarsi gli enti locali, Comuni in primis, per avere l'autorizzazione e collaborazione per le messe a dimora degli alberi;
•    coinvolgere le scuole, le associazioni territoriali,  singoli o gruppi di cittadini per sensibilizzare alla cura della cosa comune e per impegnarsi in tutte le attività che seguono e che noi abbiamo inquadrato in sotto-iniziative come: Adotta l'albero, Vivaio diffuso ecc.
Il progetto ha avuto finora applicazione nel Lazio nel quale si è articolato in gruppi locali in collaborazione con la rete che costituisce il coordinamento Lazio Pro Natura.
Come dicevamo, quello che accade quando nasce un movimento, è che questo tende ad adattarsi diversamente a seconda del territorio con cui entra in contatto proprio come accade appunto con le piante. La forza di questo adattamento, sta nel cogliere gli stimoli, affrontare gli ostacoli esterni, piegarsi alle avversità, ma rimanere interi per il raggiungimento dell’obiettivo: gli alberi.
 
Come #Reforest si sta adattando nelle diverse realtà
#ReforestAnzioNettuno, referenti Daria Gabriele e Claudia Esposito, si costituisce gennaio 2018 grazie al lavoro sinergico di associazioni e cittadini. Il gruppo si è dotato di una sua costituzione; è riuscito ad aprire i primi tavoli tecnici con i comuni di Nettuno e di Anzio; ed ha creato un vivaio “centrale” di ecotipi autoctoni operando in alcuni eventi in collaborazione con alcune scuole elementari del territorio e con l’Università Agraria di Nettuno. Durante questi eventi i bambini hanno avuto la possibilità di scoprire il ciclo dell’albero attraverso giochi esperienziali al fine di costituire insieme agli alunni, ai volontari, agli insegnanti e ai genitori, il vivaio della scuola. Queste azioni permettono di supportare le amministrazioni comunali, di avere un bacino di piante disponibili ad essere usate per garantire l’applicazione delle leggi sulla riforestazione. Inoltre questo permette di coinvolgere simultaneamente centinaia di persone, enti, amministrazioni e di avere concretamente piante da donare alla comunità cittadina, in un ciclo continuo.
Attualmente il “vivaio diffuso” di ReforestAnzioNettuno conta più di 400 querce appartenenti ad ecotipi locali del bosco misto.
#ReforestSudPontino, referenti Alessandra Lieto e Marco del Bene, è costituito da alcune associazioni tra cui Ass.Sportiva Indovina dove sono e Ass. Ambiente, Natura e vita dal dicembre 2017. Hanno sottoscritto la costituzione del gruppo: i Comuni di Spigno Saturnia, Minturno, Formia e Santi Cosma e Damiano; il parco naturale degli Aurunci; e il Parco regionale della Riviera d’Ulisse. Sono state fatte diverse riunioni organizzative con enti e altre associazioni e sono stati eseguiti due eventi di messa a dimora condivisi con Sempre Verde nel 2018.
#ReforestVentotene, referenti Giuseppe Vitiello ed Erasmo Treglia, è formalmente costituito con delibera comunale. Il progetto ha mosso il sui primi passi ad Aprile 2019. Con il patrocinio del Comune Di Ventotene, dell’ente Area Marina Protetta e della Riserva Naturale Statale di Ventotene e Santo Stefano, hanno messo a dimora 100 giovani piante mediterranee nella Stazione di Inanellamento dell’isola e in una scuola. In collaborazione con il progetto The Green Link, co-finanziato dal programma LIFE dell’Unione Europea, 80 di questi alberi sono stati messi a dimora con l’ausilio di un dispositivo in cartone compostabile ma idroresistente per diversi mesi, chiamato COCOON, per garantire loro la riserva d’acqua (25 litri) per il prossimo anno e aumentare le probabilità di attecchimento.

Come aderire al progetto
Chi vuole aderire al progetto nel proprio comune di appartenenza deve necessariamente creare un gruppo operativo, con un proprio documento costitutivo in cui vengono tracciate e condivise le linee guida del progetto madre. Il tipo di documento  scelto per costituirsi può variare a seconda delle esigenze, ma deve essere efficiente al fine di interfacciarsi con le amministrazioni locali. Ogni Gruppo locale ha uno o più referenti che si avvalgono del supporto tecnico-scientifico di Sempre Verde (SV). L’insieme dei referenti e dei gruppi locali costituisce “#ReforestCentrale” gruppo informale in cui si organizzano e condividono le attività che possono essere condivise o applicate dai vari gruppi. In questo modo #ReforestCentrale ha un ruolo di direzione in linea di massima sull’esecuzione del progetto.
 
Per sviluppare #Reforest nella tua realtà locale anche fuori dal Lazio, contatta reforest.lazio@gmail.com

EEB - While the Commission is right to call ‘toxic bloc’ summit, it would be wrong to step back from enforcing the law

This week’s summit of EU environment ministers is a welcome opportunity to move air pollution to the top of the political agenda.

http://metamag.org/2018/01/30/the-commission-is-right-to-call-toxic-bloc-summit-it-would-be-wrong-to-step-back-from-enforcing-the-law/

IUCN welcomes first-of-kind World Rowing pledge to avoid impacts on natural World Heritage

The World Rowing Federation FISA today became the first sporting body to announce its commitment to ensuring that activities under its control will not damage natural World Heritage sites, which IUCN monitors as the official advisory body on nature to the World Heritage Committee.

https://www.iucn.org/news/world-heritage/201801/iucn-welcomes-first-kind-world-rowing-pledge-avoid-impacts-natural-world-heritage

Di corsa verso Eschede

Latte sardo, madami-ne, sigarette e crescita infelice

Valter Giuliano

Magari involontariamente, ma stiamo già praticando la “decrescita felice”.
L’illusione della crescita infinita si è rivelata nella sua spietata dimostrazione di impossibilità.
Cozza infatti contro i princìpi della fisica.
E lo si sa sin dagli anni Venti del secolo scorso, quando l’incontro fra biologi e matematici mise tutti al corrente delle leggi che regolano i rapporti delle diverse specie e popolazioni con il cibo e lo spazio disponibile.
Una multinazionale di scienziati - l’americano Alfred Lotka (1880-1949), l’italiano Vito Volterra (1860-1940), il sovietico Giorgi Gause (1910-1986), il russo-francese Vladimir Kostitzin (1883-1963) - mise in guardia sull’inevitabile destino di qualsiasi popolazione vivente destinata a crescere sino a un punto nel quale inesorabilmente avrebbe dovuto subire una progressiva decrescita.
Questi studiosi constatarono altresì le analogie fra fenomeni ecologici e fenomeni economici, sancendo l’impossibilità di una crescita infinita sul nostro Pianeta finito.
Di quella verità scientifica non si è mai voluto prendere atto e neppure oggi sembra esserci un ripensamento, nonostante segnali incontrovertibili ci stiano indicando che il limite sia ormai ampiamente superato e che l’umanità stia pericolosamente raggiungendo il punto di non ritorno.
Alla crisi economica la risposta del capitalismo è stata il rifugio nella finanza e il progressivo allontanarsi dai reinvestimenti dei profitti nelle attività e nel lavoro come valore sociale oltre che produttivo in sé.
Ma anche qui è ben presto scoppiata la bolla speculativa che non ha ancora esaurito i suoi danni.
E la crisi si è ancor più accentuata.
Ci ha insegnato che alcuni consumi sono del tutto superflui (ce lo aveva già indicato Agnes Heller con la teoria dei bisogni indotti); se ne può fare tranquillamente a meno senza alcun contraccolpo al nostro stare bene e senza peggiorare affatto la qualità della vita.
Li ritenevamo indispensabili e invece non ne sentiamo proprio la mancanza.
Viviamo bene, forse meglio.
Vivremmo ancor meglio senza la paura indotta, inventata allo stesso modo da chi vuole venderci la sicurezza - sia essa politica che personale - con le armi della difesa personale.
L’industria bellica su cui vive l’export del nostro Paese, non ha purtroppo flessioni, alimentando le numerose guerre in giro per il pianeta.
Più preoccupato il comparto produttivo della Val Trompia e dintorni: scendono i cacciatori, che ce ne facciamo delle armi?
Una in ogni casa per la difesa personale può essere uno sbocco.
Come per il telefono: niente più telefoni pubblici, cellulari per tutti.
Niente più -o meno- poliziotti, più armi personali...
L’importante è far crescere l’industria e il Pil aumenta anche con i morti ammazzati e con i funerali.
Fino a quando?
Prendiamo gli allevatori sardi e le madami-ne torinesi.
Cosa c’è che accomuna le sostenitrici a oltranza e “a prescindere” della realizzazione del tunnel di base del Moncenisio e i pastori di pecore da latte destinato a produrre pecorino romano?
La sindrome della crescita infinita.
In Sardegna la crescita produttiva è continuata fino al collasso.
Perché il libero mercato - nuovo totem, che ci hanno raccontato si sarebbe autoregolato -  non può assorbire all’infinito la crescita.
Le madami-ne irridono la decrescita felice e sognano treni passeggeri che inseguono quelli merci, e viceversa, in un continuo transito da Lisbona a Kiev, con l’unica pianura fertile d’Italia, quella padana, trasformata in uno sfavillante susseguirsi di poli per la logistica.
Invece di campi di mais e grano, pile di container da movimentare non si sa bene come visto che i famigerati TIR sono da mettere al bando... anche se tra qualche decennio - quando forse sarà finito il tunnel e tra altri (non si sa bene quanti) decenni ci saranno i tremila chilometri dell’agognata linea ad alta velocità di cui per ora esiste qualche centinaio di chilometri e gli altri non risultano neppure in progetto - probabilmente avremo motori a zero o quasi emissioni.
L’importante è fare, andare avanti...
Crescita infinita su un pianeta finito: è questa la lungimiranza sostenuta dalle imprese e dagli organi di informazioni strettamente (salvo qualche miracolosa eccezione) nelle loro mani.
La politica a rimorchio. Ormai inutile orpello di una finta democrazia chiamata a registrare decisioni che vengono prese altrove.
Una macchina infernale in corsa verso un destino che la porterà a sbattere.
Magra consolazione cui, ostinatamente, qualcuno cerca di opporsi dovendo contrastare bocche di fuoco alimentate dai denari di tutte le mafie che hanno oramai corroso l’intera società alimentando l’unica religione vincente, quella del denaro e degli affari.
Per chi si oppone, la fatwa: guardate solo all’indietro! Volete farci tornare all’età della pietra!
Questa è la situazione generale e lo stato di diffusa incoscienza contro cui si scontra la giovane Greta, icona della necessità di cambiare paradigma radicalmente e in fretta.
Inutile dire che tifiamo per lei e ci auguriamo possa compiere il miracolo di richiamare ognuno alle sue responsabilità verso la società e il Pianeta.
Ma le icone si fa presto a costruirle e altrettanto presto a distruggerle.
Vogliamo sperare non sia così.
Ma sarà difficile aprire una breccia nel muro di ignoranza trasversalmente esteso all’intera rete dei decisori mondiali.
Senza alternative di pensiero, senza alterità di progetto, tutti concubini del liberismo senza freni.
Nessuno sembra in grado di guardare oltre un modello di sviluppo strangolato dalla necessità della crescita senza la quale sembra impossibile parlare di futuro.
Eppure esistono prospettive di sviluppo oltre questa iconica crescita che produce unicamente distruzione delle basi stesse della vita.
Nessuno sa proporre un modello che non sia quello del produrre-vendere-consumare (ripeto cose che dicevamo più di 40 anni fa) in cui trionfa l’economia speculativa della massimizzazione dei profitti senza etica alcuna e meno che mai con la preoccupazione del valore sociale del lavoro. È la globalizzazione, bellezza...
Vince il mercato, si impone il profitto: parametri miserabili su cui è impossibile costruire futuro.
A tutti va bene così, tranne che a frange emarginate senza parola.
Va bene agli imprenditori che traggono profitti, va bene ai lavoratori e ai loro sindacati (vero Landini?) perchè hanno da vivere.
I senza lavoro non hanno parola, dunque non li conteggiano.
A farne le spese è la Terra, l’ambiente, le sue limitate risorse.
Ma non ha parola e dunque non conta niente neppure lei.
Facciamo ostinatamente finta che la tragedia della Terra non sia anche l’atto finale della nostra tragedia.
Meno che mai possiamo far finta, oggi, di non saperlo.
Un tempo non c’era la Rete e le informazioni viaggiavano tra ristrette oligarchie di pensiero. Ma dall’inizio degli anni Settanta la pubblicistica americana e il rapporto del Club di Roma sui limiti della crescita non lasciano più alibi a nessuno.
Meno che mai alle classi dirigenti.
Ma anche i cittadini, davanti alla febbre del Pianeta e ai cambiamenti climatici che iniziano a farci comprendere le conseguenze delle nostre disobbedienze alle regole e a cicli naturali cui dovremmo appartenere, non possono più dire di non sapere.
Sa molto bene e ci sbatte in pieno viso le nostre responsabilità, la giovane Greta che domanda ai potenti del mondo misure atte a garantire a lei e alle generazioni che verranno un futuro degno di essere vissuto.
Stiamo loro preparando un deserto. E l’abisso che si apre su questa prospettiva è vicino.
Siamo oltre sette miliardi di brulicanti geofagi che continuano con accanimento a spolpare questa povera Terra, nell’illusione di quella che continuiamo a chiamare crescita e che invece è continua erosione della nostra stessa vita.
Eppure non registriamo proteste internazionali davanti ai progetti devastanti del nuovo presidente brasiliano Bolsonaro, che annuncia l’annientamento dei popoli nativi e lo sfruttamento della foresta amazzonica, mentre si prepara a mettere in atto tutte le possibili azioni contro il Sinodo che papa Francesco, l’ecologista, ha programmato per l’autunno sul tema Amazzonia, nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale.
Si parlerà del progetto della transamazzonica, ma anche dei predoni multinazionali nel bacino del Congo, del sistema acquifero Guaranì, delle foreste tropicali del Pacifico asiatico e del corridoio biologico mesoamericano.
E in continuità con la Laudato si’ l’intento è quello di «promuovere un’ecologia integrale, ovvero ambientale, economica, sociale, culturale e della vita quotidiana».
Ma «Cambiare rotta, o convertirsi integralmente, non può esaurirsi in una conversione di tipo individuale. Un cambiamento profondo del cuore, espresso in comportamenti personali, è necessario quanto un cambiamento strutturale, espresso in comportamenti sociali, in leggi e in programmi economici coerenti».
Ancora una volta il richiamo è a «una conversione ecologica che esige uno stile di vita nuovo La conversione domanda di liberarci dall’ossessione del consumo. (...) La conversione ecologica significa assumere la mistica dell’interconnessione e dell’interdipendenza di tutto il creato».
Bisogna far risorgere il pensiero e l’impegno di Chico Mendez che sembra invece lontano secoli, ucciso allora dal capitalismo prenditore e predatore, oggi dalla nostra indifferenza.
Se permarrà, passeranno pochi decenni e la Corrente del Golfo cesserà di svolgere i suoi benefici effetti sul nord dell’Europa. E sarà ben peggio della Brexit.
Quella che gli esperti hanno chiamato Antropocene è l’era della scomparsa della nostra specie, così stolta da essere incapace di vivere in quel Paradiso terrestre che ci è stato affidato e che stiamo dilapidando.
Così sciocca da non accorgersi che l’avanti a cui aspira in realtà sta facendo rotta, a velocità in costante aumento, in direzione opposta.
In agguato è la crescita infelice che al traguardo non può che incontrare lo schianto nel nulla.
Eppure la derisione sopportate per decenni e gli argomenti nei confronti di chi mette in guardia verso questa “non prospettiva” sono sempre gli stessi, ammantati da superficiale leggerezza e da totale ignorante menefreghismo.
Questo è il Dna della nostra classe politica e dirigente. E non da oggi.
Sentiamo la continua ripetizione dei mantra di chi pur avendone ormai conoscenza rifiuta ostinatamente di prendere coscienza.
È la sindrome del pacchetto delle sigarette.
Sappiamo che il nostro consumo “nuoce gravemente alla salute” eppure continuiamo a ignorare l’evidenza. Per il fumo si ottenne, non senza fatica, che i fumatori non compromettessero anche la salute degli altri.
Per l’ignoranza dei danni ambientali il nocumento, purtroppo, non può essere circoscritto agli inquinatori.
Anche questa è una metafora dell’umanità che si rifiuta di prendere atto di ciò che comporta non tornare nei binari delle leggi di natura.
E la meta rischia di essere la stessa, un inconfessato desiderio di morte.
Ma ciò che è peggio e che i nostri comportamenti di oggi nuoceranno gravemente non solo alla salute di chi li decide, oggi, in maniera irresponsabile, ma alle generazioni a venire.
Forse per sempre.
Il futuro sereno e il buon vivere delle generazioni che verranno - avverte papa Francesco - passano solo dalla scelta di una felice sobrietà e da un’armonia multiforme che nascono dalla cultura dell’incontro e mettono da parte l’ossessione per il consumo e la cultura del rifiuto, dello scarto.
Dice bene Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, sul quotidiano torinese schierato fortemente per la promozione della linea ad alta velocità del Corridoio 5: «La nostra sinistra ancora fatica a svincolarsi da un discorso sviluppista legato a un modello stantìo di produttivismo fatto di grandi opere e di grandi player industriali» ( La Stampa, 6 marzo 2019, Quei giovani in piazza con Greta).
Il centro sinistra del neosegretario PD Zingaretti sembra non cogliere la contraddizione dello schierarsi per il traforo del Moncenisio e per l’iniziativa di Greta.
Meno che mai il ragionamento può essere compreso dal centro destra appiattito, insieme alla stragrande maggioranza dell’informazione sul modello di sviluppo dominante, sul predominio del Pil e incapace di visione di futuro.
Che, a questo punto, o è dalla parte dell’ambiente o non è.
Perchè senza una drastica riconversione stiamo andando dritti dritti verso la fine dell’Antropocene.
Ben descriveva questa prospettiva l’amico Guido Ceronetti: «Il paragone più adeguato è il treno di Eschede in Germania: il 3 giugno 1998 un nuovo convoglio ad alta velocità parte da Monaco per arrivare ad Amburgo e si ferma invece tragicamente ad Eschede. L’alta velocità, l’ultimo grido della tecnica più avanzata d’Europa, deraglia rovinosamente (101 morti, 88 feriti gravi). Noi siamo un po’ tutti sulla stessa linea. Ad Amburgo è difficile che ci arriviamo. Ad Eschede ci arriveremo ancora». (V. Giuliano, G. Caresio, In un mondo che corre verso Eschede. Amichevole colloquio con Guido Ceronetti. Parchi n. 60/2011)

La Fauna d'Italia nella politica editoriale italiana

Pierangelo Crucitti
Società Romana di Scienze Naturali - Ente di ricerca pura

Premessa
Questo breve saggio costituisce un rapido excursus storico sulle numerose opere che hanno sinora illustrato (e continuano, almeno in parte, ad illustrare) la straordinaria ricchezza faunistica del nostro paese. Che la fauna italiana meriti la massima attenzione da parte della nostra editoria può sembrare, oggi più che mai, una mera petizione di principio, quasi una banalità. Del Capitale Naturale dell’Italia è parte integrante la biodiversità con la sua componente animale (AA.VV., 2018; Cencini e Corbetta, 2013). Per quanto lo stato delle conoscenze sulla nostra fauna possa essere considerato complessivamente buono e nonostante i continui progressi della scienza, permangono ancora irrisolti numerosi problemi ai fini del completamento delle conoscenze di base.

Di cosa stiamo parlando?
Solo alcuni numeri per ricordare le dimensioni del problema. Per quanto riguarda la biodiversità animale, si stima che in Italia vi siano oltre 58.000 specie; il 98% è costituito da invertebrati con 55.000 specie, di cui 1.812 sono Protozoi; il phylum più ricco, con oltre 46.000 specie, è quello degli Artropodi, di cui fa parte anche la classe degli insetti nella quale l’ordine più numeroso, oltre 12.700 specie, è quello dei Coleotteri; la fauna terrestre è costituita da oltre 42.000 specie, di cui circa il 10% sono endemiche; circa 5.500 specie (esclusi i Protozoi), vivono negli habitat d’acqua dolce ovvero quasi il 10% dell’intera fauna italiana; vi sono in Italia più di 9.000 specie di fauna marina e, data la posizione geografica del Paese, è probabile che esse rappresentino la gran parte delle specie animali viventi nel Mar Mediterraneo. Allo stato attuale delle conoscenze, la fauna terrestre italiana risulta essere la più ricca tra quelle dei paesi europei; siamo peraltro ancora lontani dal possederne un inventario sufficientemente completo.Un solo esempio; nel caso di alcune famiglie di Imenotteri (vespe, api, bombi, calabroni e affini) e Ditteri (mosche, mosconi, callifore, zanzare e affini) è ragionevole attendersi che le scoperte portino quanto meno ad un raddoppio delle liste di specie attuali, pur essendo già state descritte svariate migliaia di specie in ciascuno dei due ordini.Ad esempio, iSirfidi, famiglia di Ditteri Brachiceri che a livello mondiale conta oltre 6.000 specie, annoverano 536 specie in Italia su 887 in Europa, oltre il 60% delle specie del continente (Burgio et al., 2015). E l’Italia costituisce appena il 20% dell’intero continente europeo! Peraltro i Sirfidi sono insetti relativamente vistosi e, nel panorama dei Ditteri italiani che annoverano molte specie pochissimo appariscenti, considerati di “bell’aspetto”; questo contribuisce a spiegare il livello, piuttosto buono, delle conoscenze su questo gruppo di insetti. Le lacune conoscitive più vistose riguardano soprattutto i piccoli invertebrati della fauna del suolo, ad es. acari, collemboli, nematodi, miriapodi, ragni, lombrichi oltre ad alcuni gruppi di parassiti tra cui gli elminti.In numerosi settori c’è ancora molto da fare, in particolare nel campo dell’araneofauna. Un solo esempio recentissimo; una ricerca sui ragni della Calabria ha permesso di stabilire la presenza, nella Regione, di 456 specie di 213 generi e 41 famiglie; nel contesto, una specie è risultata nuova per la Scienza mentre sei specie sono risultate nuove per l’Italia, quindi complessivamente sette specie sono risultate nuove per la fauna italiana (Pantini e Mazzoleni, 2018).
Tuttavia, neppure la lista dei vertebrati terrestri italiani può essere considerata definitiva soprattutto a causa dell’evoluzione dei criteri (morfologici, genetici, molecolari) che portano al continuo riconoscimento di specie nuove per la Scienza. Due esempi: negli ultimi 30 anni il numero di specie di geotritoni (Hydromantes), genere di Urodeli della Sardegna e Italia peninsulare, è quasi raddoppiato, oggi conta almeno 8 specie; i serpenti (Serpentes) della fauna italiana sono passati, negli ultimi dieci anni, da 22 a 26 specie. Sono anzitutto più che mai necessarie approfondite indagini sul campo in aree ancora insufficientemente esplorate (Blasi et al. eds., 2005; Minelli, 2005; Crucitti, 2018).

Precursori ed epigoni
La fauna italiana è stata oggetto sia di numerose opere di sintesi sia di alcune collane editoriali, due delle quali attualmente in progress. Una delle prime sintesi del XX secolo è “Fauna Italiana” (1933) a cura dello zoologo evoluzionista fiorentino Giuseppe Colosi (1892-1975). Si tratta di un’opera di grande erudizione a carattere prevalentemente divulgativo, peraltro piuttosto squilibrata sia dal punto di vista tassonomico - i vertebrati hanno la prevalenza - sia dal punto di vista ecologico - le faune terrestri e delle acque dolci sono, in proporzione, trattate più estesamente. L’esaltazione della ricchezza e della varietà paesaggistica e zoologica dell’Italia sono fortemente influenzate dalle condizioni politiche del momento storico piuttosto che da una analisi obiettiva dei fattori che le determinano. La trattazione rispecchia un filo conduttore marcatamente tassonomico, sequenza quasi obbligata data l’epoca: Mammiferi, Uccelli, vertebrati inferiori, invertebrati. Si tratta di un’opera che testimonia nondimeno la vastissima cultura dell’autore, uno dei maggiori zoologi italiani del suo tempo. Per un approccio moderno bisogna attendere la stampa de “La Fauna” della collana Conosci l’Italia del Touring Club Italiano (1959) il cui filo conduttore è marcatamente ecologico. Dopo un’ampia introduzione sui criteri di classificazione e sulla classificazione degli animali, si passa all’esame delle caratteristiche delle faune alpina, terrestre e acquatica dei monti e delle pianure, degli ambienti umani, degli ambienti sotterranei, dei litorali e infine del mare; gli ultimi due capitoli sono dedicati alla sua origine e relativi problemi di rarefazione e protezione. L’opera, di cui sono compilatori Benedetto Lanza, Paola Manfredi, Giampaolo Moretti, Carlo Piersanti, Sandro Ruffo, Enrico Tortonese, Augusto Toschi, è di elevato livello e può essere ancora consultata con profitto, soprattutto per motivi storici. Nessuno degli autori suddetti, eminenti specialisti, è tuttora in vita; Benedetto Lanza, il più longevo, è scomparso nel 2016. Sulla stessa falsariga ma assai più recente è “La Fauna in Italia” (2002), anch’essa edita dal Touring Club Italiano oltre che dalla Direzione per la Conservazione della Natura del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) e dal Centro di Ecologia Alpina, con testi di numerosi autori e coordinamento scientifico di Roberto Argano, Claudio Chemini, Sandro La Posta, Alessandro Minelli, Sandro Ruffo, tutti ancora in vita ad eccezione di quest’ultimo. La trattazione è molto approfondita e particolarmente equilibrata nell’esame delle faune dei principali ambienti che caratterizzano il territorio della nazione. Al passato, presente e futuro  della  nostra fauna  è dedicato un  capitolo che affronta i problemi della rarefazione ed estinzione di specie, contestualmente a quelli della conservazione. Quest’opera costituisce una base indispensabile di conoscenze per gli studenti dei corsi di Biologia della Conservazione e, più in generale, per tutte le persone colte amanti della natura che desiderano acquisire una conoscenza sintetica ma non superficiale sui nostri animali.

Checklist e Collane
L’Italia è stato il primo paese al mondo a dotarsi di una checklist informatizzata delle specie della propria fauna. Il progetto, a cura del MATTM (all’epoca ancora MATT) e del Comitato per la Fauna d’Italia, coordinato da Sandro Ruffo, Alessandro Minelli e Sandro La Posta, ha richiesto la costituzione di un organigramma di tre coordinatori generali, 14 responsabili di sezione e circa 250 autori: un impegno formidabile che ha permesso di inserire in lista pressoché tutte le specie sino ad allora note della fauna italiana, oltre 58.000 delle quali 47.000 (85%) di ambienti terrestri s.l. La collana, denominata “Checklist delle specie della fauna italiana” (1993-1995), ha avuto una gestazione sorprendentemente breve. Il progetto della checklist è articolato in 24 fascicoli suddivisi in 110 lotti o sezioni, da “Protozoa” a “Vertebrata”. Si tratta di un elenco informatizzato di specie univocamente individuate da un codice numerico, con indicazioni aggiuntive costituite da sigle di una o due lettere relative alla distribuzione geografica per grandi aree (Italia settentrionale, Italia continentale, Sicilia e isole circumsiciliane, Sardegna e isole circumsarde) e allo status di specie endemica e/o minacciata. Ne risulta un’opera compatta dalle dimensioni ridotte, l’insieme dei fascicoli può essere contenuto in una borsa capiente. Un database come la checklist perde molto del suo valore se non viene aggiornato nel tempo e se questa informazione non viene resa disponibile il più rapidamente possibile. Sono state quindi definite norme che ne consentono il periodico aggiornamento, iniziativa nella quale si è particolarmente distinta la Società Entomologica Italiana; gli Artropodi ed in particolare gli Insetti costituiscono infatti il gruppo di organismi animali che più di ogni altro contribuisce alla crescita delle specie del nostro paese, sia per la scoperta di specie autoctone non ancora descritte e sia per l’afflusso ormai continuo di specie provenienti da territori extranazionali, introdotte, più o meno intenzionalmente, dall’uomo; alcune tra queste, per fortuna ancora relativamente poche, si comportano da specie esotiche invasive rappresentando un serio problema per l’ambiente e per la stessa salute dell’uomo; a titolo d’esempio, il castorino o nutria, la testuggine americana dalla guance rosse, il gambero della Louisiana. Il proseguimento del lavoro di cui sopra ha portato alla realizzazione del progetto “Checklist e distribuzione della fauna italiana - 10.000 specie terrestri e delle acque interne” (di cui esiste la versione inglese) a cura della Direzione per la Protezione della Natura (DPN) del MATTM, del Comitato Scientifico per la Fauna d’Italia, del Museo Civico di Storia Naturale di Verona e del Dipartimento di Ecologia dell’Università della Calabria. 538.000 dati di distribuzione georeferenziati relativi ad oltre 10.000 specie terrestri e di acqua dolce ritenute buoni indicatori faunistici e biogeografici, hanno consentito la realizzazione di un GIS faunistico e delle relative carte tematiche. Una seconda serie, limitata alla fauna delle nostre acque interne, è costituita dalle monografie della Collana del progetto finalizzato “Promozione della qualità dell’ambiente” a cura del Consiglio Nazionale delle Ricerche: “Guide per il riconoscimento delle specie animali delle acque interne italiane” (1977-1985). Si tratta di 29 monografie destinate allo specialista, dagli Irudinei (sanguisughe) agli Anfibi. L’Unione Zoologica Italiana ha promosso numerose iniziative, inquadrate nell’ambito del Progetto “Bioitaly”, versione nazionale di “Rete Natura 2000”, ad implementazione della Direttiva 92/43 CEE “Habitat” che ha permesso, dopo quattro anni di intenso lavoro (1994-1997), di consegnare alla UE le schede di oltre 2.200 siti georeferenziati che ospitano specie e/o habitat di importanza comunitaria a rischio.

Ben 24 guide pocket della collana “Quaderni Habitat”, completata nel 2009 e di cui esiste anche versione in lingua inglese, rappresentano il frutto della collaborazione tra MATTM e Museo Friulano di Storia Naturale - Comune di Udine; la serie, coordinata da Alessandro Minelli, Sandro Ruffo e Fabio Stoch, è destinata alla illustrazione dei vari habitat italiani (e relative formazioni vegetali, flore e faune) in forma analitica e monografica. Infine, nell’ambito dei Quaderni di Conservazione della Natura, collana che non dovrebbe mancare nella biblioteca del faunista moderno, devono essere segnalati gli Atti dello storico convegno sulla sintesi dello stato delle conoscenze (al 2004) botaniche e zoologiche in Italia con una particolare attenzione al passaggio dagli inventari al monitoraggio (a cura di Carlo Blasi e collaboratori, 2004).

La collana “Fauna d’Italia”
L’Italia non è certo l’unica nazione europea ad essersi dotata di una collana editoriale esclusivamente dedicata alla propria fauna, nel caso specifico la “Fauna d’Italia” (d’ora in avanti FI). Dalla fine del XIX secolo sono numerosi i paesi ad essersi dotati di inventari faunistici organizzati in collane omogenee: Francia, Spagna, Germania, Danimarca, Gran Bretagna, Ungheria, Polonia. La Francia ha edito la serie “Faune de France” (Francia e regioni limitrofe) a partire dal 1921 sotto il patrocinio della Fédération Française des Sociétés de Sciences Naturelles; al suo attivo 97 monografie stampate; dal volume 90 l’opera è bilingue (francese-inglese). L’obiettivo prioritario di quest’opera è chiaramente definito: “destinés à permettre l’identification des Animaux Vertébrés et Invertébrés que l’on rencontre en France ou, suivant les volumes, dans une aire géographique plus vaste englobant notre pays: région gallo-rhénane, Europe occidentale, région euro-méditerranéenne“. Analogamente alla nostra FI, la serie non è caratterizzata dalla stampa di sequenze univoche dal punto di vista tassonomiche, ad esempio, solo volumi sui Coleotteri sino a completamento del gruppo e, a seguire, solo sui Lepidotteri, solo sui Pesci ecc.; gli ultimi quattro volumi sono dedicati, rispettivamente, ai Coleotteri Carabidi (94, 95), Emitteri Pentatomidi euro-Mediterranei. 2 (96), Ortotteri Celiferi (97); al volume 89 (Cétacés de France) segue il volume 90 (Hémiptères Pentatomoidea Euro-Méditerranéennes. 1). Ciò rispecchia soprattutto lo stato di conoscenze variabile da gruppo a gruppo, la disponibilità degli specialisti a compilare monografie di propria competenza oltre a più o meno rilevanti problemi di natura editoriale. Un’altra serie analoga, relativa ad un territorio altrettanto esteso e ricco di biodiversità, è “Fauna Iberica” derivante da un progetto del 1988 con obiettivo “to carry out a well-documented inventory of the animal biodiversity in the Iberian-Balearic region”. Secondo Ramos e coll. al 2001, circa 1/3 della Fauna della Regione Iberico-Balearica era stato dettagliato, si stimano almeno 75 anni necessari per completarne la revisione tassonomica. Ad oggi sono stati editi 42 volumi per complessivi 44 tomi.
Quali che siano le caratteristiche dell’opera - ogni “fauna” rappresenta un caso a sé, data l’unicità del gruppo tassonomico e del territorio al quale si riferisce - gli obiettivi generali di una collana destinata ad illustrare analiticamente le specie di una fauna nazionale sono: raccogliere, discutere e illustrare sinteticamente, le informazioni  esistenti sino a un dato momento (un riferimento è l’anno di stampa del volume dedicato) relative a posizione tassonomica, morfologia, biologia funzionale e comportamentale, ecologia e distribuzione geografica, delle specie di un gruppo omogeneo utilizzando a tal fine chiavi analitiche ad hoc (Crucitti et al., 2016; Crucitti, 2018).
La parte speciale è, di norma, preceduta da una sezione generale in cui sono dettagliati la storia delle ricerche sulgruppo di specie animali in oggetto unitamente alle sue caratteristiche biologiche generali; costituiscono pure elemento di discussione i metodi di raccolta e di studio, nonché la diversità (= ricchezza) di specie sia a scala regionale s.l. (ad es. Italia) sia a scala globale (ad es. Europa), se nota. Risulta infine quanto mai utile sottolineare le lacune ancora esistenti in merito al completamento delle conoscenze di base: queste ultime sono costituite da ragionate previsioni sul numero complessivo di specie/sottospecie(note, ovvero descritte, più sconosciute ovvero non ancora descritte ma di cui è possibile prevedere, sulla base di opportune estrapolazioni, il numero, ancorché approssimato); specie/sottospecie il cui livello delle conoscenze risulti ancora imperfetto; aree ed ambienti insufficientemente esplorati. Nei volumi più recenti, la trattazione include i fattori di minaccia di origine antropica in funzione delle preferenze dell’habitat; i gruppi tassonomici maggiormente a rischio sono quelli il cui habitat è costituito dalle acque interne. I 51 volumi sinora editi di “Fauna d’Italia”, collana tuttora “in progress”, dal primo del 1956 (Odonata) al più recente del 2017 (Ascidiacea) (Tab. 1) non sono “guide di campo” o “field guides”, libri maneggevoli il cui contenuto consente la rapida determinazione di specie in natura, e neppure semplici checklist o cataloghi annotati di specie; da questi ultimi si può dedurre la presenza di una specie in un dato territorio (ad es. un monte, un’isola, una provincia, una regione) e poco altro essendo, di norma, escluse le informazioni relative ai molteplici aspetti della biologia delle singole entità. La Tab. 1 costituisce il prospetto analitico della serie di volumi della FI. Abbiamo fatto riferimento ai tempi presunti di completamento della serie relativa alla fauna della Spagna.

Vol. I - 1956 - Odonata - C. Conci, C. Nielsen - 308 pp. (80)

Vol. II - 1956 - Leptocardia - Cyclostomata - Selachii - E. Tortonese - 334 pp. (1 + 3 + 60, tot. 64)

Vol. III - 1960 - Ephemeroidea - M. Grandi - 474 pp. (75)

Vol. IV - 1959 - Mammalia - Generalità, Insectivora, Chiroptera - A. Toschi & B. Lanza - 488 pp. (13 + 29, tot. 42)

Vol. V - 1964 - Mutillidae - Myrmosidae - F. Invrea - 302 pp. (55 + 6, tot. 61)

Vol. VI - 1965 - Echinodermata - E. Tortonese - 422 pp. (102)

Vol. VII - 1965 – Mammalia - Lagomorpha, Rodentia, Carnivora, Ungulata, Cetacea - A. Toschi - 648 pp. (6 + 28 + 14 + 9 + 12, tot. 69)

Vol. VIII - 1965 - Coleoptera - Cicindelidae, Carabidae (Catalogo topografico) - M. Magistretti - 512 pp. (1.218)

Vol. IX - 1967 - Rhynchota - Heteroptera, Homoptera, Auchenorrhyncha (Catalogo topografico e sinonimico) - A. Servadei - 851 pp. (1.375 + 788, tot. 2.163)

Vol. X - 1970 - Osteichthyes - Pesci ossei - parte prima - E. Tortonese - 566 pp. (165)

Vol. XI - 1975 - Osteichthyes - Pesci ossei - parte seconda - E. Tortonese - 636 pp. (271)

Vol. XII - 1976 - Coleoptera - Dryopidae, Elminthidae - M. Olmi - 280 pp. (17 + 27, tot. 44)

Vol. XIII - 1978 - Diptera Nematocera - Simuliidae - L. Rivosecchi - 536 pp. (80)

Vol. XIV - 1979 - Coleoptera - Haliplidae, Hygrobiidae, Gyrinidae, Dytiscidae - M. E. Franciscolo - 804 pp. (22 + 1 + 14 + 187, tot. 224)

Vol. XV - 1979 - Hirudinea - A. Minelli - 152 pp. (28)

Vol. XVI - 1980 - Coleoptera - Histeridae - P. Vienna - 386 pp. (164)

Vol. XVII - 1980 - Coleoptera - Anthicidae - I. Bucciarelli - 240 pp. (92)

Vol. XVIII - 1982 - Coleoptera - Carabidae. I - Introduzione, Paussinae, Carabinae - A. Casale, M. Sturani, A. Vigna Taglianti - 500 pp. (69)

Vol. XIX - 1982 - Coleoptera - Staphylinidae - Generalità - Xantholininae - A. Bordoni - 434 pp. (80)

Vol. XX - 1983 - Ephydridae - Canaceidae - S. Canzoneri, D. Meneghini - 338 pp. (160 + 2, tot. 162)

Vol. XXI - 1984 - Crustacea - Copepoda: Calanoida (d'acqua dolce) - E. Stella - 102 pp. (21)

Vol. XXII - 1985 - Lepidoptera - Noctuidae. I - Generalità, Hadeninae, Cucullinae - E. Berio - 972 pp., 32 tavole (110 + 178, tot. 288)

Vol. XXIII - 1985 - Cladocera - F. G. Margaritora - 400 pp. (109)

Vol. XXIV - 1986 - Tardigrada - W. Maucci - 388 pp. (204)

Vol. XXV - 1987 - Coleoptera - Staphylinidae - Omaliinae - A. Zanetti - 472 pp. (200 ca.)

Vol. XXVI - 1988 - Coleoptera - Cerambycidae (Catalogo topografico e sinonimico) - G. Sama - 216 pp. (267)

Vol. XXVII - 1991 - Lepidoptera - Noctuidae. II - Sezione Quadrifide - E. Berio - 710 pp., 16 tavole (181)

Vol. XXVIII - 1991 - Coleoptera - Meloidae - M.A. Bologna - 542 pp. (61)

Vol. XXIX - 1992 - Aves. I - Gaviidae - Phasianidae - P. Brichetti, P. De Franceschi, N. Baccetti (eds) - 964 pp. (151)

Vol. XXX - 1992 - Diptera Sciomyzidae - L. Rivosecchi - 270 pp. (80)

Vol. XXXI - 1993 - Crustacea - Amphipoda di acqua dolce - G. S. Karaman - 338 pp. (89)

Vol. XXXII - 1993 - Coleoptera - Nitidulidae - Kateretidae - P. A. Audisio - 972 pp. (168)

Vol. XXXIII - 1994 - Coleoptera - Elateridae - G. Platia - 430 pp. (243)

Vol. XXXIV - 1996 - Coleoptera - Staphylinidae - Leptotyphlinae - R. Pace - 328 pp. (157)

Vol. XXXV - 1997 - Coleoptera - Lucanidae - M. E. Franciscolo - 228 pp. (9)

Vol. XXXVI - 1998 - Acari - Ixodida - G. Manilla - 280 pp. (36)

Vol. XXXVII - 1999 - Hymenoptera - Dryinidae - Embolemidae - M. Olmi - 426 pp. (133 + 3, tot. 136)

Vol. XXXVIII - 2003 - Mammalia. III - Carnivora - Artiodactyla - L. Boitani, S. Lovari, A. Vigna Taglianti (eds) - 434 pp. (17 + 9, tot. 26)

Vol. XXXIX - 2004 - Chaetognata - E. Ghirardelli, T. Gamulin - 158 pp. (30)

Vol. XL - 2005 - Hymenoptera - Sphecidae - G. Pagliano, E. Negrisolo - 560 pp. (380)

Vol. XLI - 2006 - Coleoptera - Aphodiidae - Aphodiinae - G. Dellacasa & M. Dellacasa - 484 pp. (128)

Vol. XLII - 2007 - Amphibia - B. Lanza, F. Andreone, M. A. Bologna, C. Corti, E. Razzetti (eds) - 538 pp. (44)

Vol. XLIII - 2008 - Plecoptera - R. Fochetti, J. M. Tierno de Figueroa - 340 pp. (160)V

ol. XLIV - 2008 - Mammalia. II. Erinaceomorpha - Soricomorpha - Lagomorpha - Rodentia - G. Amori, L. Contoli, A. Nappi (eds) - 736 pp. (2 + 15 + 6 + 31, tot. 54)

Vol. XLV - 2011 - Reptilia - C. Corti, M. Capula, L. Luiselli, E. Razzetti, R. Sindaco (eds) – 800 pp., 58 tavole (58)

Vol. XLVI - 2011 - Porifera I - Calcarea, Demospongiae (partim), Hexactinellida, Homoscleromorpha – M. Pansini, R. Manconi, R. Pronzato (eds) – 554 pp., 16 tavole (185)

Vol. XLVII - 2012 - Mammalia V. Chiroptera - B. Lanza – 786 pp., 47 tavole (39)

Vol. XLVIII - 2012 - Orthoptera - B. Massa, P. Fontana, F.M. Buzzetti, R. Kleukers, B. Odé (eds) – 563 pp., 185 tavole, 1 CD Rom (349)

Vol. XLIX - 2015 - Mammalia IV. Cetacea - L. Cagnolaro, B. Cozzi, G. Notarbartolo di Sciara, M. Podestà (eds) – 390 pp. + 105 tavole (23)

Vol. L - 2015 - Marine Rotifera - W.H. de Smet, G. Melone, D. Fontaneto, F. Leasi – 254 pp. + 166 figs. (118)

Vol. LI - 2017 - Ascidiacea of the European Waters - R. Brunetti, F. Mastrototaro – 447 pp. + 133 tavole in b/n e XIII tavole a colori (381)

La Collana “Fauna d’Italia” - Volumi pubblicati (il titolo è in grassetto; tra parentesi il numero delle specie trattate in ciascun volume; è indicato, ove possibile, il numero delle specie riferite a ciascuna sezione (ad es., famiglia ordine), dalla cui somma è possibile dedurre il totale delle specie trattate in ciascun singolo volume).

E per l’Italia? È impossibile qualsiasi previsione puntuale, di certo saranno necessari molti decenni per completare l’opera; anche perché i primi volumi richiedono un aggiornamento ormai improcrastinabile. Consideriamo ad esempio due casi, l’uno relativo agli Odonata (libellule), trattati nel Vol. I, l’altro relativo ai Chiroptera (pipistrelli) trattati nei Voll. IV e XLVII. In entrambi i casi si tratta di gruppi di specie poco numerosi. Si deduce anzitutto che le conoscenze riportate sul Vol. IV del 1959 sono state aggiornate al 2012 (anno di stampa del Vol. XLVII); in questo lasso di tempo le specie italiane sono passate da 29 a 39 con un incremento del 34,5%. Nel caso del Vol. I del 1956 (lo stato delle conoscenze sulle libellule italiane era stato definito “buono” dagli AA. (Cesare Conci e Cesare Nielsen), l’aggiornamento non esiste ancora; si consideri che nel frattempo il numero di specie di libellule della fauna italiana è passato da 80 a 93 con un incremento del 16,3%. Da quest’ultimo esempio si deduce che altre opere di sintesi sono state recentemente dedicate agli Odonati italiani (Riservato et al., 2014). In generale, non è necessario attendere la pubblicazione di volumi dedicati della FI per conoscere il numero complessivo delle specie attualmente presenti nel nostro paese. Ad esempio, pur non essendo stato pubblicato alcun volume sui ragni (Araneae) sappiamo che questi Aracnidi assommano a 1.620 specie attuali sinora descritte di 54 famiglie (Pantini e Isaia, 2016; ma si consideri il contributo di Pantini e Mazzoleni, 2018, precedentemente citato); saranno prevedibilmente necessari numerosi volumi della collana per illustrarne compiutamente la diversità. Non v’è peraltro alcun dubbio che per livello di informazioni e ricchezza iconografica la collana FI rappresenti attualmente un’opera assolutamente unica nel suo genere. La sua naturale collocazione è nella biblioteca dello specialista e in quelle di dipartimenti universitari, musei zoologici ed istituzioni scientifiche equipollenti.

Dati statistici
Dalla lista della collana FI possono essere estrapolati alcuni dati interessanti. Il numero di specie considerate in ciascun singolo volume è quanto mai variabile, da un minimo di 9 (Vol. XXXVI) ad un massimo di 2.163 (Vol. IX); da 9 a 380 (Vol. XL) se si escludono i cataloghi sinonimici e topografici, semplici elenchi di specie. I volumi dedicati ai vertebrati sono 12 (23,5%), un valore piuttosto elevato dato il numero relativamente modesto di specie di Pesci, Anfibi, Rettili, Uccelli e Mammiferi sul totale delle specie italiane.
Per molteplici motivi, le informazioni disponibili sui vertebrati sono, dal punto di vista quali/quantitativo, ben superiori a quelle disponibili attualmente per moltissimi invertebrati per i quali il livello delle conoscenze (ciclo biologico, regime alimentare e più in generale rapporti con l’ambiente fisico e biotico) è pressoché nullo (Minelli, 2005). I volumi dedicati a faune marine sono in lingua inglese in quanto potenzialmente utili a tutti gli zoologi che si occupano di faune del Mar Mediterraneo; testimoniano altresì il respiro ormai internazionale acquisito dalla nostra FI. Collaboratori prolifici della collana sono stati gli eclettici naturalisti Enrico Tortonese (1911-1987), biologo marino ed ittiologo, e Benedetto Lanza (1924-2016), erpetologo e teriologo, autori o coordinatori di ben otto volumi della FI (il 15,7% del totale). Sette volumi (13,7%) sono dedicati a gruppi prevalentemente o esclusivamente marini, in particolare gli ultimi tre volumi della serie, a dimostrazione dei progressi significativi del livello delle conoscenze sulle faune dei mari italiani, in particolare negli ultimi decenni. Tre volumi (5,9%) sono dedicati a gruppi strettamente legati all’ambiente delle nostre acque interne. L’ordine rappresentato dal numero più elevato di monografie, ben 12 (23,5%), è quello dei Coleoptera a conferma di quanto precedentemente sostenuto in merito alla ricchezza di specie del gruppo; oltretutto, molte famiglie di Coleoptera non sono state ancora trattate o lo sono state solo parzialmente (ad es. nel caso dei cataloghi topografici e sinonimici). Nel corso di oltre 60 anni, la veste editoriale dei volumi della collana, tutti in coperta hdk, non è cambiata in modo sostanziale

Le Liste Rosse
La seconda serie attualmente in progress dedicata esclusivamente alla nostra fauna è quella delle Liste Rosse IUCN. Le Liste Rosse (LR) IUCN costituiscono elenchi di specie, riferiti ad un determinato territorio, per le quali viene indicato il livello di rischio emerso a valle di un procedimento di valutazione noto come Risk Assessment, basato sulle conoscenze dell’ecologia della specie e sulla identificazione delle principali minacce in corso unitamente alla pianificazione di opportune azioni necessarie per contrastarle (Crucitti, 2016). Le LR costituiscono strumenti di lavoro essenziali ai fini della gestione delle aree protette e, più in generale, per impostare adeguate politiche di conservazione. In tale contesto, la mission è costituita dalla conoscenza dello status del maggior numero possibile di specie. A livello mondiale è la International Union for the Conservation of Nature (IUCN), fondata oltre 60 anni or sono con la missione di “influenzare, incoraggiare e assistere le società in tutto il mondo a conservare l’integrità e diversità della natura e di assicurare che ogni utilizzo delle risorse naturali sia equo ed ecologicamente sostenibile”, a redigere e diffondere Liste Rosse di specie animali e vegetali minacciate. La IUCN è considerata la massima autorità al mondo sullo stato di conservazione della natura. Gli esperti della IUCN, oltre 10.000 tra botanici, zoologi e specialisti in discipline affini, sono volontari provenienti da ogni parte del mondo; molti afferiscono alla Commissione per la Salvaguardia delle Specie o SSC (IUCN Species Survival Commission Specialist Groups)di cui fanno parte anche numerosi scienziati italiani. Fra i principali species assessors a livello mondiale, vi sono rappresentanti di NGOs e di enti di ricerca internazionali; BirdLife International, Zoological Society of London, World Conservation Monitoring Centre. L’autorità nazionale della IUCN è il Ministero dell’Ambiente; Federparchi è uno dei componenti del Comitato IUCN Italia e ne gestisce per statuto la segreteria. Dal 1963 la IUCN redige e aggiorna periodicamente la Red List of Threatened Species o Liste Rosse delle specie minacciate. All’inizio del 2013, la Red List ha valutato oltre 65.000 specie di cui oltre 20.000 minacciate di estinzione. Le Liste Rosse IUCN italiane non sono le uniche liste rosse sinora proposte per la fauna italiana. Uno dei pregi di questa collana è la sua omogeneità, in particolare iconografica. Nel prospetto di Tab. 2 viene riassunta la situazione delle Liste Rosse IUCN d’Italia aggiornata al 2017 unitamente ad altri esempi di liste rosse italiane.

La fauna marina
Alla fauna dei mari italiani (nove settori biogeografici del Mediterraneo che circondano la penisola e i gruppi di isole; otto aree principali più il “microsettore” costituito dallo Stretto di Messina) abbiamo appena accennato. La Società Italiana di Biologia Marina (S.I.B.M.) ha edito la “Checklist della Flora e della Fauna dei mari italiani” (Parte I - 2008; Parte II – 2010; Relini ed., 2008 e 2010) indispensabile aggiornamento della checklist della Calderini 1993-1995. In quest’ultima, lo ricordiamo, erano state elencate 57.000 specie raccolte in 110 sezioni di cui 32 sono dedicate totalmente, o in parte, alle 9.309 specie marine di cui 1.047 sono Protozoi. I capitoli relativi a specifici gruppi tassonomici sono curati da specialisti ad eccezione di pochi gruppi compilati dalla redazione. Nella Parte I sono presi in considerazione una ventina circa di phyla tra cui molti “minori” (costituiti al più da poche decine di specie), da Protozoa a Oligochaeta, per complessive 6.565 specie; nella Parte II sono presi in considerazione soprattutto Arthropoda, Bryozoa e Deuterostoma (Vertebrati inclusi) oltre a gruppi “minori” per complessive 3.257 specie; il totale di 9.822 specie costituisce un incremento significativo (+ 513 specie) rispetto alla Checklist del 1993-1995 (per inciso, le specie di piante, comprensive di Fungi, Phytoplankton, Microphytobenthos e Macrophytobenthos, ammontano a 2.772 specie di rango specifico e intraspecifico). Dalla fondamentale opera della S.I.B.M. ci separano tuttavia nove anni ed è pertanto evidente la necessità di un aggiornamento a breve scadenza.

Per concludere, la crescente attenzione verso la crisi della biodiversità a livello mondiale richiede, come base conoscitiva iniziale e irrinunciabile, la realizzazione di inventari floristici e faunistici costantemente aggiornati per ogni singolo paese.

Liste Rosse IUCN della fauna italiana

Autori / Anno

 

 

Lista Rossa dei Vertebrati Italiani

           Pesci Cartilaginei - Pesci d’acqua dolce -Anfibi - Rettili - Mammiferi

Rondinini et al., 2013

Lista Rossa dei Coralli  Italiani

Salvati et al., 2014

Lista Rossa della Flora Italiana

           1. Policy species e altre specie minacciate

Rossi et al., 2013

Lista Rossa delle Libellule Italiane

Riservato et al., 2014

Lista Rossa dei Coleotteri Saproxilici Italiani

Audisio et al., 2014

Lista Rossa delle Farfalle  Italiane - Ropaloceri

Balletto et al., 2015

Lista Rossa dei Pesci Ossei Marini Italiani

Relini et al., 2017

Altre Liste Rosse della fauna italiana

Autori / Anno

Lista Rossa 2011 degli Uccelli Nidificanti in Italia

A Red List of Italian Italian Saproxylic Beetles: taxonomic overview, ecological features and conservation issues (Coleoptera)

 

Proposta di una Lista Rossa dei Molluschi terrestri della Campania (Mollusca: Gastropoda)

 

Peronace et al., 2012

Carpaneto et al., 2015

 

 

Maio et al., 2017

Alcune delle più recenti liste rosse della fauna italiana; le prime sette sono quelle incluse nella serie curata da MATTM, Federparchi e IUCN Comitato Italiano

 

Bibliografia

AA.VV., 2018. Il Capitale Naturale in Italia. Aria, suolo, acqua, foreste. Un patrimonio da difendere e arricchire. Edizioni Ambiente, Milano.

Blasi C. (ed. in chief), Boitani L., La Posta S., Manes F. e Marchetti M. (a cura di), 2005. Stato della Biodiversità in Italia. Contributo alla strategia nazionale per la biodiversità. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare - Direzione per la Protezione della Natura - Società Botanica Italiana. Palombi & Partner S.r.l. , Roma.

Burgio G., Sommaggio D., Birtele D., 2015. I Sirfidi (Ditteri): biodiversità e conservazione. ISPRA, Manuali e Linee Guida 128/2015, 182 pp.

Cencini C. e Corbetta F. (a cura di), 2013. Il manuale del bravo conservatore. Saggi di Ecologia applicata. “Edagricole” – Edizioni Agricole de il Sole 24 ORE Spa, Bologna.

Crucitti P., 2016. Strategie per la conservazione della biodiversità - Liste Rosse e Citizen Science. Europa Edizioni s.r.l. Roma, 161 pp.

Crucitti P., 2018. Principi e metodi della ricerca faunistica - La progettazione nelle ricerche sulla biodiversità animale. Edizioni Accademiche Italiane, 316 pp.

Crucitti P., Bubbico F., Di Russo E., Tringali L., Veltri Gomes L., 2016. La Collana “Fauna d’Italia”. Sessanta anni di politica editoriale per la fauna italiana. Scienze e Ricerche, suppl. al n. 35, agosto 2016: 3-46.

Minelli A., 2005. Fauna terrestre, stato delle conoscenze. In: Blasi C. (ed. in chief), Boitani L., La Posta S., Manes F. e Marchetti M. (a cura di), 2005. Contributo alla strategia nazionale per la biodiversità. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare - Direzione per la Protezione della Natura - Società Botanica Italiana. Palombi & Partner S.r.l. , Roma.

Pantini P., Isaia M., 2016. Checklist of Italian spiders. Version April 2016. http://www.museoscienzebergamo.it/web/index.php?

Pantini P., Mazzoleni F., 2018. I Ragni di Calabria (Arachnida Araneae). Riv. Mus. Civ. Sc. Nat. “E. Caffi” Bergamo, 31: 11-70.

Riservato E., Festi A., Fabbri R., Grieco C., Hardensen S., La Porta G., Landi F., Siesa M. E., Utzeri C., 2014. Atlante delle libellule italiane, preliminare. Società Italiana per lo Studio e la Conservazione delle Libellule. Edizioni Belvedere, Latina, “Le Scienze” (17), 224 pp.

Quando i cittadini si impegnano per l'Ambiente...

Elsa Ravaglia
Medico specialista in Igiene e Medicina Preventiva
Vice-presidente GRUPPO SOCIETÀ E AMBIENTE ONLUS – SENIGALLIA
Socia Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica – Sezione Marche

Le premesse culturali e storiche
La tutela dell’ambiente e del verde in Italia ha vissuto epoche diverse. A partire da un modo atavico di percepire l’ambiente come il luogo naturale di vita e conseguente rispetto, e talvolta venerazione, dei nostri progenitori alla diffusione degli insediamenti urbani, spesso cittadelle arroccate sulle alture e circondate dal verde dei colli. Si passa, poi, alla creazione degli elaborati giardini con annessi parchi delle sontuose ville rinascimentali destinati all’aristocrazia più elevata, ai parchi pubblici cittadini sorti nell’Ottocento e primi Novecento, spesso denominati “Villa”, per avvicinare alle bellezze dell’otium la nascente borghesia, fino allo sviluppo delle grandi alberate cittadine e delle strade extraurbane e, con finalità ben diverse, alla diffusione di modalità di coltura agricole intensive con conseguente riduzione degli spazi vitali per la flora e fauna selvatiche. Negli anni ’70 del Novecento, in leggero ritardo rispetto al boom economico - che ha comportato la diffusione di un’edilizia frequentemente “aggressiva” e incurante dei luoghi e di una modalità di industrializzazione spesso insensibile ai rischi e pericoli per la salute diretti e indiretti - inizia a svilupparsi anche in Italia una nuova attenzione per l’ambiente che ci circonda. Questo sulla scia di altri movimenti internazionali come il WWF, ma anticipati da persone di particolare sensibilità che fin dal 1948 fondarono quella che poi diventò la Federazione nazionale Pro Natura, e poi con Italia Nostra, FAI (Fondo Ambiente Italiano) e altre Associazioni. È l’epoca in cui anche i mass media iniziano a dare il giusto risalto ad alcuni fenomeni di inquinamento, tra i quali emerge con prepotenza il caso “diossina” a Seveso del 1976.
A distanza di 50 anni da quel periodo sarebbe lecito pensare che la cosiddetta “coscienza ambientale” si sia diffusa e abbia penetrato il tessuto civile della società italiana, con i conseguenti comportamenti di attenzione tutela e valorizzazione della nostra “casa comune” da cui tanto dipende la nostra salute intesa nel modo in cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ci indica dal 1946: "uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia" e con i suoi recenti aggiornamenti... Ma è davvero così?
Non c’è dubbio che nell’ultimo decennio - dopo una decisa flessione dell’interesse generale per l’ambiente del periodo 1990-2010 - si siano riscoperti alcuni valori in modo più diffuso, forse anche a causa della crisi economica e di un ripensamento generale della vita quotidiana. A questo ha contribuito di certo anche l’opera instancabile di alcune Associazioni che, in vario modo e a vario titolo, spesso solo grazie alla caparbietà e all’impegno di pochi, hanno mantenuto viva, magari “sottotraccia”, la scintilla dell’impegno civico su questo argomento, che come naturale compagni ha anche i temi di rispetto, etica, cooperazione.
Naturalmente anche alcuni Enti specificamente preposti alla tutela ambientale hanno fornito il loro contributo, ugualmente spesso ignorato, come spesso accade ai temi della prevenzione… E non sempre tra Enti e Associazioni si è assistito a quel virtuoso modo collaborativo che tanti importanti risultati potrebbe produrre. Le cause di questa difficoltà di dialogo e di rispetto reciproco fondamentalmente potrebbero sintetizzarsi, da un lato, nella difficoltà ad esprimere fiducia verso coloro che “per dovere” si occupano dell’Ambiente da parte di chi lo fa “per passione” e, dall’altra, un pregiudizio di scarse conoscenze e l’idea che si tratti di “posizioni prese per principio” espressa dai tecnici verso quelli che talvolta vengono ritenuti semplici “peones”. Ovviamente, per fortuna, ci sono ampie e lodevoli eccezioni, dalle quali è possibile trarre spunti di miglioramento per tutti. Peraltro una certa attenzione istituzionale - che sembrerebbe doverosa e che invece non è scontata - alla ricchezza del cosiddetto Capitale naturale in Italia, sembrerebbe confermata anche dall’esistenza di uno specifico Comitato per il Capitale Naturale che dal 2017 produce un rapporto annuale (1), che andrebbe ancor più divulgato a livello popolare. Interessante anche la Urban Health Declaration di Roma tra ANCI e Ministero della salute del dicembre 2017 (2), che stimola la collaborazione dei cittadini alla cura dell’ambiente, quale imprescindibile elemento per la salvaguardia della salute quale “bene comune” e non soltanto individuale.
Non dimentichiamo l’impatto positivo del verde sia sulla salute fisica - tra cui la riduzione del rischio di morte per tutte le cause, per quelle respiratorie, cardio-vascolari e tumorali, più o meno evidente a seconda della vicinanza o meno a spazi verdi (3) - sulla resilienza in condizioni difficili (es. ondate di calore) che sull’equilibrio psico-fisico, documentato da tanti lavori scientifici (4, 5). Affascinanti poi, e basate su studi rigorosi, le teorie sui vegetali quali esseri viventi molto più sofisticati di come siamo abituati ad immaginarli (6).

Il presente
Ora, la nostra epoca tecnologica, sempre più caratterizzata da individualismo e narcisismo, può però anche offrirci belle sorprese, ovvero la tendenza “social” che, se vissuta  in modo consapevole e per finalità di crescita, può diffondere le buone pratiche alla velocità della luce… In effetti, la tecnologia, che per tanti versi dovrebbe essere maggiormente calibrata, ci offre anche sorprendenti e veloci nuove forme di diffusione di notizie e di autodeterminazione tra cittadini, favorite, ad es. da piattaforme informatiche: si riporta a titolo di esempio una petizione online lanciata dalla sottoscritta nel settembre 2017 per bloccare l’abbattimento di una piccola pineta in città, a Senigallia, per far spazio ad un piccolo parcheggio (7), e questo nell’Italia del XXI secolo… (https://www.change.org/p/sindaco-di-senigallia-salviamo-gli-alberi-vicino-alla-stazione-di-senigallia-prima-che-sia-troppo-tardi)
Nonostante un’adesione davvero insperata (raccolte mille firme in 3 giorni e 1500 in 5 giorni, fino a raggiungere quasi le 2000), l’Amministrazione non ha accolto la proposta di discuterne ed ha determinatamente proceduto all’abbattimento di 68 alberi di pregio (pini e lecci), sulla scorta di adeguata perizia. I lavori per la costruzione del parcheggio, a distanza di più di un anno, sono giusto iniziati da pochi  giorni, a  dispetto di quel  che ad es.  Giorgio  Nebbia  affermava, pressoché contemporaneamente alla petizione di Senigallia, nell’ottobre 2017 nel bell’articolo “Il verde urbano”(8).
Difficile negare che, a tutt’oggi, la presenza di parcheggi possa essere necessaria, ma mai a discapito di aree verdi già esistenti! anche tenendo conto che altri spazi non verdi sarebbero stati utilizzabili. E’ stato davvero triste dover assistere ad un’azione così anacronistica nella nostra bella città di Senigallia, che però ha contribuito, se non altro, a riaccendere i riflettori sulla questione ambientale, drammaticamente dimenticata negli ultimi anni… Da allora, con l’Amministrazione si sta cercando un dialogo continuo, pur tra le difficoltà che posizioni culturali diverse comportano.

Il progetto-pilota a Senigallia
Nell’estate 2018, per proseguire nelle azioni di sensibilizzazione sull’argomento e per saggiare il rapporto della popolazione generale con il verde pubblico nella stessa città, sia a livello conoscitivo che di percezione, il GSA ha lanciato un sondaggio tra la popolazione generale attraverso un questionario (ideato in assenza di reperimento di analoghi questionari in Italia) riproducibile in diversi contesti e validato attraverso un pre-test a 16 persone, che indaga diversi aspetti: dati anagrafici, conoscenze specifiche sul verde e sull’ambiente, disponibilità all’impegno, percezione del verde, interesse agli argomenti trattati (9).
Se ne riportano i risultati, che sono già stati presentati sotto forma di poster scientifico (da Elsa Ravaglia, Paola Bozzi, Giorgio Sagrati) al convegno nazionale “Salute e Ambiente. Il dialogo e la condivisione per la salvaguardia della salute e dell’ambiente”, Pisa, 21-22 settembre 2018, organizzato da Associazione Italiana Epidemiologia  e Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica, che ha riscosso in sede un certo apprezzamento.

I risultati
Il questionario, composto di 26 domande, è stato diffuso dal 7 agosto 2018, in piccola parte mediante realizzazione di interviste dirette, (20 questionari) ma soprattutto, dal 13 agosto tale questionario riprodotto mediante «moduli Google» è stato «lanciato» su Facebook, sia sulla pagina dell’Associazione GSA che, per condivisione, sui profili di soci, di gruppi e di altre persone che l’hanno ritenuto di interesse. Altra via di diffusione è stata l’invio di email a propri conoscenti. La pubblicazione su tre testate giornalistiche online locali (L’altroGiornale, Senigallianotizie, VivereSenigallia) di un comunicato stampa con il link diretto al sondaggio ha consentito una diffusione meno mirata e dunque potenzialmente più rappresentativa. Il sondaggio ha raccolto, alla data del 18 settembre, quindi in poco più di un mese, 512 questionari. L’80% dei rispondenti si dichiara residente a Senigallia. La fascia d’età più rappresentata è quella tra i 40 e i 59 anni (53%); anche i giovani sono presenti: il 10% ha tra i 18 e i 29 anni. La percentuale di femmine (52%) e maschi (48%) è simile. Il 62% ha figli di varie età. Il 73% del totale ritiene che il Verde Pubblico di Senigallia sia carente, mentre il 22% lo ritiene sufficiente. Per Verde Pubblico, la maggior parte (il 59%) intende giardini e parchi pubblici, boschi urbani, alberate stradali e nelle piazze. Il 98% considera gli alberi come un fattore protettivo e sempre il 98% è interessato all’impatto dell’inqui-namento sulla salute. Il 73% si impegna già in azione concrete di  tutela ambientale (l’azione più frequente, con l’84% è l’attenzione alla riduzione dello spreco di cibo) e il 21% sarebbe disposto ma ancora non si impegna. Il 75% vorrebbe più alberi in centro e il 69% ne vorrebbe di più in periferia e frazioni. L’84% ritiene che anche nella nostra realtà siano percepibili gli effetti del cosiddetto «cambiamento climatico» in atto. Il 99% è consapevole dell’indispensabile funzione degli alberi quali produttori di ossigeno. Oltre il 90% ritiene che le categorie più fragili, come bambini e anziani e anche gli animali, abbiamo particolare bisogno di Verde Pubblico e ritiene che sia particolarmente utile anche nelle pertinenze delle strutture sanitarie (ospedali, case di cura, casa risposo, ecc.). Il 58% ritiene che l’Amministrazione della città non sia attenta alla tutela e valorizzazione del Verde Pubblico e il 19% ritiene che lo sia solo in alcune zone della città. Tra i numerosi vantaggi attribuiti agli alberi, il 54% apprezza l’ombra donata e il 53% ritiene che contribuiscano alla bellezza del quartiere. Al termine del questionario, il 73% manifesta di essere interessato ad approfondire gli argomenti oggetto dell’indagine, più dell’80% consiglierebbe questa intervista e l’ha ritenuta di lunghezza adeguata.

Discussione
I 512 questionari di cui abbiamo trattato non sono un campione statistico secondo i canoni classici, tuttavia, considerando che la popolazione residente a Senigallia al 31.12.2017 (dato ISTAT) è di circa 44.000 abitanti e che l’80% dei rispondenti si dichiara residente, si può sostenere che abbia risposto circa l’1% dei residenti. Il dato apparentemente esiguo dimostra comunque una certa consistenza, specie considerando il carattere sperimentale dell’indagine.
Lavori con finalità simili, ma di ben altra portata, sono stati svolti nel 2006 e nel 2018 in Cina (10,11).

Conclusioni e prospettive
Si ritiene che tale lavoro, aumentando la conoscenza degli orientamenti e dell’impegno dei cittadini per ambiente e salute, possa essere utile per indirizzare e valorizzare le azioni locali.
Saremmo lieti se questa esperienza-pilota si potesse riprodurre, con eventuali aggiustamenti, anche in altre località, al fine di contribuire ad un dibattito civile nazionale e locale sul verde urbano sempre più urgente. Infatti questo bene pubblico appare sempre più privato del suo reale valore in tantissime zone d’Italia, spesso proprio dalle stesse Amministrazioni (indipendentemente dal colore politico) che ne dovrebbero essere attive custodi, anche in segno di rispetto delle città di appartenenza.

Ringraziamenti: Si ringrazia per l’indispensabile collaborazione informatica Irene Filippetti (socia GSA); si ringraziano per le foto Sofia Filippetti, Floriana Giacchini (entrambe del Direttivo GSA) e Francesco Sestito.

Sitografia e bibliografia
Ministero dell’Ambiente. Secondo rapporto sullo stato del Capitale naturale in Italia, 2018 (http://www.minambiente.it/pagina/secondo-rapporto-sullo-stato-del-capitale-naturale-italia-2018).
ANCI e Ministero della Salute. Urban Health Declaration, 2017 (http://www.retecittasane.it/news/URBANHEALTHROMEDECLARATION.pdf).
Cole HVS, Garcia Lamarca M, Connolly JJT, Anguelovski I. Are green cities healthy and equitable? Unpacking the relationship between health, green space and gentrification.  J Epidemiol Community Health. 2017 Nov (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28822977).
Panno A, Carrus G, Lafortezza R, Mariani L, Sanesi G. Nature-based solutions to promote human resilience and wellbeing in cities during increasingly hot summers. Environ Res. 2017 Nov (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28822309).
Melis G, Gelormino E, Marra G, Ferracin E, Costa G. The Effects of the Urban Built Environment on Mental Health: A Cohort Study in a Large Northern Italian City. Int J Environ Res Public Health. 2015 Nov (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26610540).
Mancuso S., Viola A. “Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale”. Giunti, Firenze, 2013.
Ravaglia E. Salviamo gli alberi vicino alla stazione prima che sia troppo tardi, Senigallia, 2017 (https://www.change.org/p/sindaco-di-senigallia-salviamo-gli-alberi-vicino-alla-stazione-di-senigallia-prima-che-sia-troppo-tardi).
Nebbia G. Il verde urbano. Altronovecento rivista online N. 34 October 2017 (http://www.fondazionemicheletti.it/altronovecento/articolo.aspx?id_articolo=34&tipo_articolo=d_eventi&id=131).
Sondaggio “Cittadini e verde pubblico nella città di… Senigallia”, agosto 2018 (https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSfwezJbcPtSuTXCCp6hiwhFPAGzI2OwZ6A8am9tDXbLDq2wcQ/viewform?c=0&w=1).
 C. Y. Jim, Wendy Y. Chen. Perception and Attitude of Residents Toward Urban Green Spaces in Guangzhou (China), settembre 2006 (https://link.springer.com/article/10.1007/s00267-005-0166-6).
 Junya Duan, Yafei Wang, Chen Fan, Beicheng Xia, Rudolf de Groot.  Perception of Urban Environmental Risks and the Effects of Urban Green Infrastructures (UGIs) on Human Well-being in Four Public Green Spaces of Guangzhou, China, settembre 2018 (https://link.springer.com/article/10.1007/s00267-018-1068-8).

EEB - Over 250,000 Europeans call on EU Commission to radically reform EU agriculture

Today a clear and strong message reached the European Commission: the EU’s agricultural policy needs to be radically changed. This is what 258,708 citizens and 600 civil society organisations and businesses have told the Commission in the largest EU public consultation on agricultural policy, which closed yesterday (2 May).

http://www.eeb.org/index.cfm/news-events/news/over-250-000-europeans-call-on-eu-commission-to-radically-reform-eu-agriculture/

IUCN - A European plan for nature protection

The European Commission published the “EU Action Plan for nature, people and the economy,” following the results from the fitness check of the EU Birds and Habitats  Directives last December.

https://www.iucn.org/news/europe/201704/european-plan-nature-protection