Sofia Filippetti
Apro gli occhi e vedo: la Natura.
Le foglie di smeraldo che si allungano come mani che tentano di acchiappare le nuvole, la luce che filtra attraverso le forme, le braccia di corteccia che si distendono pigramente circonvolute verso il cielo, le nervature che scivolano sul tronco e si conficcano sotto il terreno, a raggiungere radici misteriose, cervella che sembrano sorreggere il mondo sul quale camminiamo.
Che poi il mondo intero c’è davvero sugli alberi: api che ronzano, formiche laboriose, frutti come gemme preziose, rampicanti come abiti, fiori al pari di gioielli, nidi d’uccelli appollaiati a scrutare l’orizzonte… Il mondo intero c’è davvero sugli alberi, in questi scrigni di biodiversità unici, differenti gli uni dagli altri, che creano una raffinata rete di connessioni, geometrie, forme, collegamenti sopraffini di cui rare volte ci accorgiamo.
Apro gli occhi e vedo: la Natura in città.
All’apparenza sembra essere così fuori posto, così bislacco e assurdo, trovare vegetazione laddove mi sono abituata a vedere e trovare una distesa di cemento grigio. C’è il verde, invece. C’è il verde anche in città. E più lo osservo, più lo ammiro, più mi lascio affascinare, più mi rendo conto che non potrebbe essere altrove. La Natura in città. La città nella Natura. Perché anche noi siamo questo, no? Siamo città, siamo Natura. Siamo esseri viventi esattamente come quelle piante che, talvolta, ci potrebbero sembrare alieni inerti. Magari alieni lo sono sul serio, ma inerti no. Quello mai. Le piante sono fatte così: silenziose danzatrici statiche che permettono anche a noi di crescere rigogliosi e fieri su questa Terra.
Che poi la Terra viene definita come pianeta blu, sì, ma a guardarlo bene è pure verde. Tanto verde. Forse perché il verde è il colore della speranza, forse perché il verde è il colore della linfa vitale che troppo spesso diamo per scontata. Il simbolismo dell’ecologia è qualcosa di complesso, esattamente come lo sono le protagoniste indiscusse, i pilastri degli habitat, del globo.
Il verde in città ci deve proprio stare. Perché il verde, in città, ci permette di respirare. Leggetela come preferite, in ogni modo, con tutti i sottintesi che vi vengono in mente. Perché è così da ogni prospettiva: il verde ci permette di respirare. Ci permette di raccogliere le idee, risvegliando in noi quell’innato senso della biofilia che s’è insinuato in tempi antichi dentro i nostri geni e s’è sviluppato assieme a noi, a permettere un’attenzione che si riposa e si rigenera nel guardare la Natura, permettendoci di essere più svelti, concentrati, rinvigoriti dentro alle sinapsi. Ci permette di assimilare ossigeno, la vegetazione, attraverso le eleganti reazioni chimiche che avvengono nelle infinitamente piccole cellule che la compongono. Lo sapevate, voi, che l’ossigeno è in realtà un elemento di scarto? Che l’ossigeno è ciò di cui necessitiamo per funzionare? Lo sapevate, voi, che senza le piante l’atmosfera non si sarebbe mai sviluppata come la conosciamo oggi? Lo sapevate, voi, che le piante possono vivere tranquillamente senza di noi ma noi non possiamo vivere senza di loro? Quando l’ho scoperto, quando ho scoperto tutto questo, non potevo crederci. Perché, a ben pensarci, l’essere umano è sempre stato più attratto da ciò che è dinamico, che è più vicino a lui, che riconosce come tale, come animale. Mentre i vegetali, oh, sono così diversi da noi! Sono autori di trame che non siamo in grado di individuare con esattezza né con immediatezza. Crescono ogni attimo di più, e a stento ce ne rendiamo conto. Ci permettono di esistere, e non facciamo nulla per ringraziarle. Anzi, talvolta le troviamo persino fastidiose. Talvolta troviamo irritante il loro ciclo vitale, la loro stessa esistenza, le radici che rompono l’asfalto per raggiungere la superficie. Talvolta non le vorremmo.
Potrei quasi definirlo un rapporto di odi et amo, quello che noi esseri umani abbiamo con le piante.
Odi: quando ci intralciano, quando le riteniamo pericolose, instabili, quando non ci danno quello che vogliono. Et amo: quando ci ricordiamo che senza di loro non potremmo esistere, che i nostri polmoni sono legati alle fotosintesi che solo loro sono in grado di portare avanti, quando ci rifugiamo sotto la loro ombra in un’afosa giornata soleggiata, quando raccogliamo fiori e frutti, quando abbelliscono il paesaggio. Che poi mica è tutto qua. Mica è tutto qua il motivo di quel “et amo”. È solo che non ci pensiamo. È normale, no? Noi siamo così presi dalle nostre vite, dalla nostra quotidianità ripetitiva, da non renderci conto di tutte le altre funzioni che le piante hanno. Certo, abbiamo cercato di inquadrare e raccogliere il tutto dentro il – talvolta sterile e riduttivo – concetto di “servizio ecosistemico”, come se le piante, no?, le avessimo assunte noi, come se avessimo deciso noi cos’è che fanno e cos’è che non fanno, come se noi facessimo un favore a loro a lasciarle vivere…
Non ce ne rendiamo conto, non completamente: sono troppo misteriose. Sono troppo particolari, distanti dal nostro essere, dalla nostra fisiologia, e forse è per questo che, con una certa arroganza, ci piazziamo lì ad ignorarle o a definirle, talvolta, sbagliate. Alle volte siamo davvero troppo piccoli, troppo sciocchi, troppo limitati. Le piante esistono da prima di noi, continueranno ad esistere anche dopo di noi, è un dato di fatto. E continueranno a fare quello che hanno sempre fatto. Con o senza di noi.
La questione è che, magari, finché ci siamo, sarebbe il caso di apprezzare. Apprezzare il fatto che, dentro le città, ad esempio, è stato dimostrato (ma scommetto che lo avete tranquillamente provato anche voi sulla vostra pelle, senza studi scientifici di alcuna sorta) che gli alberi assorbono fino a 6-7 °C, rinfrescandoci con le loro chiome rigogliose; che assorbono inquinanti, fino al 20% del particolato prodotto dal nostro impatto antropico; riducono i danni di alluvione con le loro radici che trattengono il terreno; hanno effetti psicologici positivi, ché il luogo verde è sinonimo anche di aggregazione, di incontro… e potrei continuare all’infinito, sul serio. Però mi preme sottolineare una cosa, e cioè che: le piante non sono invincibili. No. Come ogni essere vivente, d’altra parte, anche loro sono suscettibili e soggette ai danni. Danni che, troppo spesso, facciamo noi. Per esempio, a star dentro un habitat come quello della città, è difficile. Difficile perché l’inquinamento è troppo, perché il loro spazio vitale non è rispettato. Perché certe volte ci arroghiamo il diritto di poterle soffocare, noi, queste piante. Ci arroghiamo il diritto di piazzarle lì e di gettare attorno a loro una valanga di cemento, aspettandoci, poi, che crescano come lo desideriamo noi. Allora sì che la pianta finisce per appassire, perché il suo spazio vitale non è rispettato. E se non appassisce, perché la pianta è tenace, è testarda, allora troviamo le radici che salgono in superficie, alla ricerca di nutrimento, di acqua, di aria, ché là sotto non ci si sta proprio, non si ha spazio di manovra, è tutto troppo impermeabile. Allora ci lagniamo, ci lamentiamo, perché poi l’asfalto non è tutto dritto, perché l’albero non se ne sta nel quadrato che gli abbiamo disegnato noi, perché l’albero ha bisogno di troppo, secondo la nostra ottica antropocentrica. Ma la verità è che star dentro una città non è facile. Non è facile perché si è soggetti a continui input, ad una routine che si ripete costantemente, ogni giorno, perché la crescita non è lineare, ma tortuosa, perché ci sono tante, troppe variabili di cui tenere conto. Allora dobbiamo aiutarle, noi, le piante. Dobbiamo aiutarle con la manutenzione, con la cura. Un po’ come noi curiamo il nostro corpo, così dobbiamo curare il corpo delle piante: acqua, attenzione, affetto e ogni tanto un taglio di capelli – pardon, di chioma! – ben fatto però, eh? Non quelle capitozzature che sono ferite inutili e dannosissime, con le quali abbiamo condannato tanti di questi meravigliosi esseri viventi ad un ingiusto declino… Dobbiamo aiutarle, le piante, a stare dentro la città, perché, se fosse per loro, probabilmente sarebbero già fuggite altrove. E invece no, invece se ne stanno qui, assieme a noi, a regalarci ossigeno e a salutarci quando il vento soffia tra le loro foglie. Se ne stanno qui, a rinfrescarci e a depurare l’aria, a donarci sprazzi di naturalità che altrimenti avremmo dimenticato. Se ne stanno qui, nonostante tutto. Dovrebbero stare qui, sopra tutto.
Ho fatto ricerche, ho seguito webinar, letto tanti libri, ascoltato molti esperti. Tutti concordano col dire che il verde in città è importante, che va preservato, protetto, incrementato. Tutti dicono che devono essere fatte manutenzioni, cure, che le piante devono poter crescere bene, laddove riescono meglio.
Ma se c’è qualcosa che ho imparato, tra gli appassionanti e professionali studi, oltre le dimostrazioni empiriche, oltre la lettura dei dati concreti, oltre il valore economico che si dà agli alberi, questo è che senza Natura non possiamo vivere. Perché noi siamo Natura quanto un albero. Non importa quanto proviamo a rinnegare, a sradicare e strapparci di dosso questa definizione, noi rimaniamo Natura.
Allora dovremmo anche essere Pro Natura. Con i fatti, non solo con le parole. Nella vita quotidiana, non solo nelle dissertazioni scritte, come questa.
Dovremmo essere Pro Natura ogni giorno, aiutandola, la Natura, a star meglio in città, nel nido che ci siamo costruiti.
Dovremmo essere Pro Natura nel nostro piccolo, nelle nostre abitazioni, nelle nostre regioni.
Dovremmo essere Pro Natura attivamente, a ricordare a noi stessi e agli altri di quella sensibilità che ci accomuna, volenti o nolenti, e ci lega l’un l’altro, tra di noi, con la vegetazione selvaggia e addomesticata.
Allora apri gli occhi e vedi: la Natura.