Mauro Furlani
I fiumi in Italia, così come molti ecosistemi naturali, nel corso dei secoli hanno subito, in maniera massiccia, profonde modificazioni che hanno riguardato l’alveo e il profilo di scorrimento, la vegetazione ripariale e le biocenosi che ci vivono.
In molti casi le alterazioni sono state ancora più radicali giungendo alla modifica del corso d’acqua per fare spazio ad insediamenti abitativi, per il recupero di aree agricole là dove in precedenza erano presenti aree alluvionali o paludose o semplicemente aree di naturale espansione.
Negli anni più recenti la costruzione di impianti idroelettrici, invasi per le riserve idriche ad uso civile e agricolo hanno modificato ulteriormente e profondamente i paesaggi fluviali, limitando le possibilità di trasporto e il deposito di inerti lungo gli alvei e lungo le coste. In sostituzione di acque tumultuose in grado di incidere in milioni di anni profonde forre si sono sostituiti ampi bacini lacustri con acque a lento scorrimento.
Nei secoli, le aree alluvionali di espansione e paludose, soprattutto nelle confluenze con il mare, sono state quasi interamente bonificate, alterando la naturale dinamica del fiume con il mare e cancellando ecosistemi di straordinaria importanza dal punto di vista naturalistico. Di tutto ciò ben poco è rimasto. Qua e là antiche tracce nella memoria collettiva o la testimonianza storica di espansioni fluviali in cui le massime portate si riappropriano terreni di propria competenza. Alcune antiche carte o taluni toponimi: Fangacci , Pantano, Pianello, Saline ecc. ricordano o fanno facilmente immaginare ciò che è stato.
Il fiume Metauro, oggetto di questo breve intervento, prima della costruzione degli argini avvenuta all’inizio del ‘900, espandeva le proprie acque verso sud, distante dalla città Fano. Parallelo alla linea di costa esisteva un grande lago retrodunale, certamente salmastro e per le sue grandi dimensioni chiamato “Lagone”. L’intera area di espansione, bonificata nel ventennio fascista, è chiamata Metaurilia, lasciando facilmente immaginare le sue origini. Quell’area, a seguito delle bonifiche, divenne area agricola e più recentemente ha subito una forte urbanizzazione. Quando il fiume esonda, nonostante la costruzione degli argini, riversa le proprie acque in queste zone, esattamente come accaduto per secoli.
Nei decenni alcuni alvei fluviali, assieme alle montagne calcaree e marnose, hanno rappresentato la principale risorsa di materiali inerti, soprattutto ghiaie, usate massicciamente per la costruzione di infrastrutture viarie, infliggendo imponenti modificazione agli assetti originari. Ciò che in passato erano aree di espansione naturale sono state irresponsabilmente urbanizzate e una barriera pressoché continua di scogliere rocciose sono state posizionate a difesa della costa e dei manufatti in sostituzione del mancato apporto di materiali solidi del fiume.
Lungo il Metauro, così come in molti altri fiumi, la costruzione dei diffusi complessi industriali, spesso associati a caotici processi di urbanizzazione, oltre a sottrarre fertili suoli agricoli è stata la causa di alterazioni irreparabili delle aree di pianura e golenali.
A distanza di pochi decenni, spesso rimangono inospitali e respingenti periferie urbane, oltre ad aree industriali, che, terminato il loro ciclo produttivo, sono state spesso abbandonate e lasciate al loro rapido degrado.
Rimangono le profonde ferite al territorio, sia nelle nostre montagne, con le enormi cave la cui rinaturalizzazione richiederà decenni e forse secoli, e decine di cave lungo i fiumi, nel migliore dei casi lasciate al loro destino, ricoperte di terreni di escavazione o, ancora peggio, negli anni usate per depositarvi materiali di scarto, talvolta anche di origine industriale.
Raramente il destino di questi nuovi ambienti ha seguito un percorso virtuoso di una rinaturalizzazione, ripristinando antiche zone di espansione o ricreando aree paludose, riconoscendo loro un ruolo ecologico all’interno del più complesso e articolato ecosistema fluviale.
La storia che qui in breve è descritta può rappresentare un esempio virtuoso la cui esperienza può costituire un esempio per numerose altre realtà, perseguibile anche in situazioni analoghe.
L’Argonauta, nostra storica Associazione, ha profondamente trasformato in nuovi ecosistemi alcune di queste profonde ferite, ricreando ambienti importanti non solo dal punto di vista ambientale, ma anche didattico-educativo e di ricerca.
Quanto riportato rappresenta una breve descrizione di interventi protratti negli anni. Dettagli maggiori sono riportati e documentati nel libro distribuito dalla stessa Argonauta dal titolo “Tre storie naturali”. Due di queste, di cui parleremo, riguardano la rinaturalizzazione di due cave abbandonate, lo Stagno Urbani e il Lago Vicini. La terza storia naturale di cui parla il libro riguarda Casa Archilei e si riferisce al recupero ad uso didattico di un vecchio podere agricolo, di proprietà comunale e divenuto un importante centro didattico-ambientale nel cuore della città di Fano.
Nelle Marche, poco più a Sud del Metauro, un altro esempio di recupero e rinaturalizzazione di una vecchia cava di ghiaia abbandonata riguarda la Riserva Naturale di Ripa Bianca sul Fiume Esino, sorta a metà degli anni ’80 per garantire adeguata protezione alla prima garzaia di nitticore nelle Marche. A seguito di interventi di restauro ambientale la riserva, che ha inglobato parte del fiume, ha facilitato la nidificazione di altri ardeidi e l’insediamento di altre importanti popolazioni ornitiche, oltre ad avere stimolato attività di studio e luogo di divulgazione naturalistica. La sua gestione attualmente è affidata dalla Regione al WWF.
Spostandoci più a sud, in Puglia, un più impegnativo ripristino di aree degradate ad opera della nostra federata Centro Studi Naturalistici ha coinvolto la Laguna del Re. L’intero intervento ha comportato non solo la restituzione alla naturalità di un’area di elevato valore ambientale, ma anche attivato un percorso di riqualificazione sociale, all’interno di un contesto più ampio che comprende anche il Lago Salso e altre superfici umide nella zona della Capitanata.
Rimaniamo tuttavia alle due aree del Fiume Metauro. Entrambe hanno la stessa origine e derivano dalla escavazione per ricavare inerti, utilizzati in gran parte per la costruzione dell’autostrada adriatica.
Il primo, anche in ordine cronologico, è lo Stagno Urbani: esso venne acquistato grazie a fondi ministeriali dalla Federazione Nazionale Pro Natura e dall’allora Kronos 1991. Il secondo, il Lago Vicini, fu acquistato con finalità naturalistiche dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Fano e affidato per il ripristino e la gestione all’ Argonauta, che già gestiva per conto della Federazione lo Stagno Urbani. Entrambe le aree si trovano in riva sinistra del fiume Metauro a pochi chilometri dalla foce.
Nel 1989, quando la Federazione acquistò lo Stagno Urbani, la cui estensione è poco meno di cinque ettari, questo risultava ormai quasi completamente interrato con materiali di risulta e rifiuti provenienti anche dalla vicina zona industriale. Le superfici di escavazione non raggiungevano grandi profondità a causa della presenza di argille plioceniche subito al di sotto del profilo sfruttabile delle ghiaie.
Il primo intervento consistette nel rimuovere parte dei detriti accumulati, recintare l’area per evitare ingressi abusivi e incursioni di cacciatori al suo interno. Dal punto di vista naturalistico gli interventi miravano a ricreare alcune zone umide di varie profondità al fine di offrire habitat adatti a specie con esigenze trofiche differenti. Acque relativamente alte per anatidi, piccoli stagni a diversa profondità per limicoli e trampolieri con diverse esigenze.
L’intera superficie era quasi completamente priva di vegetazione arborea, se non per la presenza di alcune roverelle e lembi di siepi con prugnolo, paliuro, rovo e altre specie che in passato diffusamente caratterizzavano antiche siepi di confine o margini stradali. Nelle aree depresse, con ristagno di acqua, era sviluppato il fragmiteto e il tifeto.
Nel lato dell’area rivolto verso il fiume, per dare continuità alla vegetazione ripariale esistente, sono state piantumate specie igrofile e mesofile, tra cui pioppi neri e bianchi, ontani, aceri minori e altre specie autoctone, oltre che assecondare lo sviluppo spontaneo di specie locali.
Successivamente ai lavori di naturalizzazione dell’ambiente e allo scopo di assolvere anche il compito di divulgazione e ricerca naturalistica, nei punti ritenuti strategici sono stati allestiti ripari in legno per l’osservazione, lo studio e per la fotografia naturalistica.
Nel 1996 venne costruito un piccolo Centro visite in legno, con lo scopo di creare uno spazio in grado di ospitare almeno una classe, oltre che di deposito delle attrezzature indispensabili per i costanti lavori di manutenzione sia dei sentieri di accesso agli osservatori che delle piccole infrastrutture presenti.
Contemporaneamente all’evoluzione vegetazionale vennero effettuati monitoraggi faunistici e alcune campagne di inanellamento, al fine di verificare le modificazione delle specie ornitiche presenti nell’area in funzione alle trasformazioni ambientali. Il rapido sviluppo della copertura vegetazionale e l’assenza di disturbo hanno favorito la frequentazione anche di mammiferi di medie e gradi dimensioni: tra questi cinghiali, caprioli, volpi, tassi, istrici con incursioni all’ interno di lupi, attirati probabilmente dagli ungulati, ma forse anche dalla cospicua presenza di nutrie.
Tra le specie di maggiore rilevanza ricordiamo la presenza nidificante di cavaliere d’Italia, tarabusino, folaga, tuffetto e molti altri uccelli. Interessante la presenza di una popolazione riproduttiva di testuggine palustre (Emys orbicularis), che purtroppo si trova a competere con la ben più diffusa specie esotica Trachemys ssp. Alcune uscite notturne hanno anche potuto valutare le specie presenti di chirotteri.
Seppure l’origine del Lago Vicini sia analoga a quella dello Stagno Urbani è assai diverso l’ambiente in cui i due si trovavano prima degli interventi. In primo luogo la profondità del lago Vicini è ben superiore a quello dello Stagno Urbani, raggiungendo nella parte centrale la profondità di circa otto metri; anche lo specchio d’acqua è ben più esteso rispetto allo Stagno Urbani.
Il lago, non essendo alimentato da acque superficiali ma direttamente dalla falda, si presentava estremamente povero di nutrienti, con una scarsa produttività primaria e di conseguenza anche di componenti faunistiche rilevanti. L’elevata profondità e gli argini del lago, verticali, impedivano l’insediamento e lo sviluppo di una vegetazione ripariale.
I primi interventi effettuati hanno riguardato il rimodellamento delle sponde, dando loro una certa pendenza, così che la vegetazione ripariale potesse insediarsi e sviluppare una copertura circostante sull’intero perimetro.
La progettazione degli interventi ha mirato essenzialmente a rendere il lago quanto più simile ad uno specchio d’acqua di origine naturale. Altri interventi hanno riguardato la creazione di strutture rivolte all’osservazione faunistica e all’accoglienza di bambini e ragazzi e all’uso didattico; tra questi osservatori faunistici, creazione di un modello di fiume dalla sorgente alla foce con le varie tipologie di substrato e di acclività, cartellonistica esplicativa, impianto di fitodepurazione, ecc.
Altri interventi si sono rivolti alla creazione di strutture adatte alla riproduzione di alcune specie che negli anni avevano subito un declino. Tra questi la costruzione di una serie di acquari in cemento in grado di ricevere acqua direttamente dal lago. Dopo un attento esame delle specie autoctone presenti nel basso corso del fiume Metauro è stato ritenuto utile dedicare attenzione alla riproduzione di specie ittiche come scardole, tinche, alborelle e altre. Queste sono ospitate in acquari diversi in funzione alle diverse fasi di sviluppo fino a quello adulto per una loro successiva liberazione nel lago. Alcune voliere proteggono la riproduzione della moretta tabaccata, specie in forte declino e i cui individui adulti sono stati acquistati da un allevamento regolarmente autorizzato.
Infine, all’interno del progetto nazionale Emys, una particolare attenzione è riservata alla riproduzione e alla diffusione della testuggine palustre, al fine di sottrarre al rischio di estinzione la esigua popolazione già presente nello Stagno Urbani. Alcuni piccole aree protette da una rete metallica consentono la deposizione delle uova, la loro schiusa lo sviluppo dei giovani fino alla diffusione in natura.
Nel lato del lago a ridosso dell’argine fluviale è stata creata un’area paludosa, rapidamente colonizzata da cannuccia d’acqua, così da favorire un habitat idoneo ad uccelli limicoli, ma anche ad anfibi, rettili e numerosi invertebrati acquatici.
L’evoluzione delle componenti faunistiche è costantemente rilevata anche con l’utilizzo di fototrappole, in modo da seguire costantemente le modificazioni in funzione anche alle trasformazioni ambientali e per valutare l’efficacia degli interventi effettuati.
A conclusione di questa breve descrizione ricordiamo che il 17 giugno 2024 l’Unione Europea ha varato la Nature Restoration Law, che è entrata in vigore in Italia il 18 agosto (si veda, in questo numero, l’articolo di Giovanni Cordini “Il ripristino della natura”). Il Governo italiano, purtroppo, in compagnia di Ungheria, Paesi Bassi, Finlandia e Svezia, ha ritenuto di opporsi a questa importante normativa. Malgrado ciò, tutti i Paesi, Italia compresa, dovranno applicare le norme e adempiere a quanto richiesto. La Nature Restoration Law prevede il ripristino degli ecosistemi degradati stabilendo anche i tempi di applicazione. Entro il 2030 dovranno essere ripristinati il 30% degli ecosistemi in cattive condizioni individuati nell’Allegato I sia terrestri che marini, il 60% entro il 2040 e il 90% al 2050. La norma prescrive che entro la scadenz,a del 2030 dovranno essere resi a deflusso libero, rimuovendo tutti gli ostacoli, almeno 25.000 chilometri di fiumi in Europa. Ad oggi 15 paesi europei hanno già smantellato quasi 500 opere artificiali che sbarravano il flusso naturale. Ciò che ancora più delle percentuali appare centrale è l’acquisizione, da parte dell’Unione Europea, dell’idea che la natura deve essere al centro delle politiche e che da essa non si può prescindere e ancor meno a sue spese come avvenuto fino ad ora.
L’intervento nei due ecosistemi di cui abbiamo scritto si potrebbe configurare, secondo quanto riportato in allegato I, nel Gruppo 3 - Habitat fluviali, lacustri, alluvionali e ripariali, in particolare nella tipologia Stagni temporanei mediterranei e/o laghi e stagni distrofici naturali.
Come è stato verificato dai monitoraggi effettuati, il restauro dei due piccoli ecosistemi ha consentito di migliorare, localmente, la presenza di alcune specie. Hanno tratto certamente beneficio la piccola popolazione di testuggine palustre presente per altro in allegato II della Direttiva Habitat 92/43/CEE, forse l’unica delle Marche, quella di pesci del basso corso come tinche, scardole e altre ed alcuni anfibi come la rana dalmatina o il rospo smeraldino, oltre a numerosi uccelli che trovano ambienti nidificazione adeguati e protetti dal prelievo e disturbo venatorio.
Certamente non si ha la pretesa che le opere effettuate in modo volontaristico nei due ecosistemi o dei pochi altri esempi riportati, possano abbracciare seppure parzialmente quanto richiesto dalla Nature Restoretion Law. Non è questo. I numerosi esempi virtuosi, e questi riteniamo lo siano, possono costituire un piccolo anello all’interno di quanto richiesto dall’Unione Europea per il risanamento ambientale. Servono competenze specifiche, servono investimenti adeguati, ma serve anche una reale convinzione da parte delle strutture amministrative statali, a partire da quelle di più alto livello, in grado di guardare l’orizzonte. Il raggiungimento degli obiettivi può apparire utopistico, ma la strada da intraprendere non può essere ignorata o peggio ostacolata. È lo sforzo di un intero paese non di una o alcune Associazioni naturalistiche e di pochi volontari.