Membro di
Socia della

There are no images for this slideshow.


5 per mille del 2006: l’attesa si prolunga nel 2008

Da "Vita, no profit magazine" n. 48 del 30 novembre 2007 riportiamo un articolo di Gabriella Meroni con interessanti informazioni in merito alla erogazione del 5 per mille relativo all’anno 2006.

 

Chi sperava di trovare sotto l’albero una bella busta con i fondi del 5 per mille 2006 cambi la letterina a Babbo Natale. Quei soldi entro l’anno non li vedrà.

L’ennesima speranza tradita dal Ministero dell’Economia, in questa vicenda ormai infinita, riguarda infatti la scadenza "psicologica" del 31 dicembre 2007 come termine entro il quale sarebbero stati liquidati gli importi relativi alla prima edizione del 5 per mille. Non si potrà rispettare questo termine semplicemente perché la procedura di pagamento non è ancora iniziata. Proprio così: nei palazzi dell’amministrazione finanziaria, e anche dei tre ministeri coinvolti (Solidarietà sociale, Sanità e Ricerca) si sonnecchia beatamente, ignorando quanto disposto dal Dpcm del 20 gennaio 2006 (quasi due anni fa) sulle modalità di "corresponsione" delle quote del 5 per mille.

In sintesi, al comma 6 del decreto si diceva così: al termine delle verifiche (i primi di ottobre, n.d.r.), l’Agenzia delle entrate trasmette i dati ai ministeri e alla Ragioneria (passaggio inutile? Sì, ma dovuto), la quale emette un provvedimento che autorizza la spesa necessaria (328 milioni); i ministeri quindi corrispondono le somme che spettano a ciascuno. Ebbene, l’unico passaggio avvenuto, a oggi, è la trasmissione dei dati dall’Agenzia Entrate alla Ragioneria. Sul resto, buio fitto.

"Stiamo contattando i ministeri proprio in questi giorni", fanno sapere dalla Ragioneria, "per avere da loro gli elenchi degli aventi diritto. Poi predisporremo il decreto di variazione di bilancio". Quando? "A breve, ma non sappiamo quando". Ah, grazie. I ministeri però a quanto pare sono all’oscuro di tutto: lo è sicuramente il dicastero di Fabio Mussi, oltre 51 milioni di euro da distribuire a 406 enti: "Non sappiamo niente", comunicano, "forse bisogna chiedere al Tesoro…". Sì, vabbè. Proviamo con la Sanità, 46 milioni per 47 enti: "Gli uffici che se ne occupano non ci rispondono", si arrendono gli addetti all’ufficio stampa dopo due giorni di telefonate a vuoto. Ottimo. Ma il caso più clamoroso è quello del Ministero della Solidarietà sociale, un "topolino" quanto a dipendenti e staff rispetto agli altri due, che dovrebbe da solo far fronte al pagamento di circa 193 milioni di euro a quasi 21mila organizzazioni.

Come? Presumibilmente attraverso la solita prassi: invio di 21mila raccomandate con l’invito a trasmettere, sempre tramite raccomandata, le coordinate bancarie. Un compito immane. Come lo stanno affrontando i tecnici del ministro Ferrero? Per evadere una tale mole di lavoro, i collaboratori del direttore generale del Dipartimento per il volontariato, Nereo Zamaro, dovrebbero stare tutti pancia a terra e buste in mano e invece…

"Non so niente, deve chiedere al direttore", è il ritornello della segreteria di Zamaro. Il quale però è sempre in riunione. E intanto le onlus aspettano.

 

Registro per la gestione di rifiuti elettrici ed elettronici

Si stima che in Italia ogni abitante produca oltre 14 kg l’anno di rifiuti elettrici ed elettronici, per un totale nazionale di circa 850 mila tonnellate. Attualmente, secondo il rapporto dell’APAT 2006 (Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente), vengono gestiti e recuperati circa 67 mila tonnellate di RAEE (Rifiuti Apparecchiature Elettriche Elettroniche) all’anno, circa 1 kg l’anno per abitante.

L’obiettivo, stabilito dal decreto legislativo n. 151/2005, è quello di raggiungere, entro il 31 dicembre 2008, la raccolta media pro-capite di 4 kg l’anno (circa 240 mila tonnellate). La nuova normativa si basa sul sistema multi-consortile, fortemente voluto dall’Unione Europea, grazie al quale i responsabili della gestione dei rifiuti non saranno più i Comuni, ma i produttori delle apparecchiature elettriche ed elettroniche. Tenuto conto di ciò, il Ministero dell’Ambiente, coerentemente con la direttiva europea e in attuazione del decreto legislativo n. 151/2005, ha emanato il 25 settembre scorso il decreto n. 185, che istituisce il registro nazionale dei soggetti tenuti al finanziamento dei sistemi di gestione dei rifiuti RAEE. Nel decreto sono dunque definite le modalità di iscrizione e di funzionamento del registro, nonché le modalità di costituzione e di funzionamento del centro di coordinamento e l’istituzione del comitato d’indirizzo sulla gestione dei RAEE. Il decreto 185/2007, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 5 novembre 2007, è già entrato in vigore.

Riconoscimento UNESCO alla Federparchi

Dall’UNESCO arriva un importante riconoscimento alla Federparchi per il suo impegno sul fronte dell’educazione alla sostenibilità. L’agenzia dell’ONU infatti ha inserito i progetti di educazione ambientale della Federazione "Vividaria" e "Cittadini del Parco" nella lista di progetti che possono esporre il logo del Decennio dell’Educazione allo Sviluppo Sostenibile (DESS), che è un’ambiziosa campagna globale promossa dalle Nazioni Unite e dall’UNESCO con lo scopo di valorizzare il ruolo di tutti gli strumenti educativi nella promozione di conoscenze e stili di vita coerenti con i principi dello sviluppo sostenibile. E’ indirizzata a bambini, giovani e adulti e si articola nel decennio 2005 - 2014 includendo iniziative realizzate in ogni parte del mondo.

La Commissione Nazionale Italiana UNESCO e il Comitato Scientifico del Decennio dell’Educazione allo Sviluppo Sostenibile si sono trovati d’accordo sul fatto che "Cittadini del Parco" e "Vividaria" diano un contributo significativo al Decennio dell’Educazione allo Sviluppo Sostenibile e hanno inserito i progetti nella lista delle iniziative patrocinate.

Matteo Fusilli, presidente della Federparchi, ha espresso la sua soddisfazione dicendo che la decisione dell’UNESCO rappresenta un importante riconoscimento del ruolo che la Federparchi, ma soprattutto le aree protette, svolgono sul tema dell’educazione alla sostenibilità, dal momento che sono iniziative come queste a costituire il maggior investimento dei Parchi per il futuro del nostro Paese.

Istituto Nazionale Fauna Selvatica

Silvano Toso, Direttore dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, ha rassegnato le dimissioni dal suo incarico e ciò ha avuto come conseguenze il blocco dei pagamenti degli stipendi di personale dipendente e precario, fornitori e ogni altra attività di consulenza e di ricerca dell’Istituto.

La decisione è causata dalla drammatica situazione finanziaria dell’Ente e dalla scarsa funzionalità del Consiglio di Amministrazione, nonostante l’On. Alfonso Pecoraro Scanio, Ministro dell’Ambiente, recentemente, durante una visita all’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, avesse dichiarato la sua volontà di supportarlo economicamente e funzionalmente.

Il finanziamento attuale dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica copre solamente l’80% degli stipendi e l’Ente ha accumulato un debito enorme con le banche perché negli anni scorsi non sono stati erogati fondi.

Il Consiglio di Amministrazione dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, che è stato nominato durante la precedente legislatura, oggi risulta illegittimo a causa della mancanza del numero minimo di consiglieri. Il Presidente attuale e il Consiglio di Amministrazione non sono stati in grado in questi anni di risolvere i gravi problemi che da tempo affliggono l’Ente.

Il blocco dell’attività dell’Ente comporta gravi conseguenze in materia di conservazione della natura, controllo ai danni dell’agricoltura, della caccia, ecc… Inoltre aumenta anche il rischio di sanzioni economiche all’Italia da parte dell’UE, essendo oggetto di infrazioni in campo faunistico – ambientale.

I dipendenti dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica appoggiano pienamente la decisione del Direttore e chiedono al Ministro dell’Ambiente di mantenere la parola data rinnovando completamente il Consiglio di Amministrazione e di fornire all’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica il supporto finanziario per svolgere i compiti affidatigli dalla legge italiana.

Per il recupero del vetro

Il Co. Re. Ve. (Consorzio Recupero Vetro) è stato creato nel 1997 da tutte le aziende vetrarie italiane per far crescere il riciclo del vetro proveniente dalla raccolta differenziata, attivata grazie alla collaborazione di tutti i cittadini.

Il ruolo di Co. Re. Ve. è quello di organizzare e promuovere le operazioni e le informazioni che riguardano la raccolta, il recupero del vetro e il successivo avvio alle vetrerie che, attraverso il riciclo, lo trasformano in un nuovo prodotto.

Predispone inoltre il Programma Specifico di Prevenzione che trasmette al CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi) le informazioni per l’elaborazione delle linee guida da seguire su tutto il territorio nazionale.

Co. Re. Ve. è un’azienda moderna, alla ricerca di continue soluzioni innovative che possano migliorare l’informazione e ottimizzare la catena di raccolta, riciclaggio e trasformazione del rottame di vetro. Questa catena oggi è formata dai seguenti anelli:

il consumatore,

la pubblica amministrazione,

il consorzio Co. Re. Ve

la vetreria

Con il percorso di riciclo il vetro torna a "vivere" sotto forma di nuovi contenitori pronti per essere riutilizzati dalle varie aziende alimentari. In Italia la maggior parte delle bottiglie utilizzate viene prodotta a partire da vetro riciclato, offrendo così risparmio delle materie prime, riduzione dei consumi energetici e dei rifiuti solidi urbani. La miscela vetrosa, infatti, è composta da silice, soda, carbonati: essa è l’unica il cui riciclo è praticabile all’infinito e non necessita di alcuno reintegro di materie prime vergini.

Per ulteriori informazioni consultare il sito www.coreve.it.

, punto conclusivo di questo percorso che, attraverso impianti all’avanguardia e nuovi processi produttivi, rende possibile il compimento del ciclo-riciclo del vetro, restituendolo a nuova "vita".., indispensabile elemento di raccordo tra i diversi protagonisti di questo settore, che opera il ritiro del vetro raccolto per il successivo recupero;che ha il compito di effettuare la raccolta fornendo le struttureadeguate (campane stradali e contenitori condominiali);che è il primo fondamentale anello, grazie a cui è possibileil recupero degli imballaggi;

A Mestre il bosco urbano più grande d’Italia

Le fabbriche chimiche che circondano la città-industria di Mestre lasceranno il posto a un bosco esteso quanto 2.800 campi da calcio. Il sogno della Venezia di terraferma si fa realtà a partire dal primo di ottobre, con l’inaugurazione di uno spicchio del futuro Bosco di Mestre: un’area verde cittadina che nei prossimi anni diventerà la più vasta d’Italia. 1.400 ettari - previsti nel Piano regolatore - tra querce, frassini, olmi e noccioli che trasformeranno la città in un polmone sano inserito tra autostrada, ferrovia e aeroporto. A regime sono previsti circa 75 metri quadrati di macchia verde per ciascuno dei 186.000 abitanti di Mestre: un’enormità, rispetto ai 13 metri quadrati di Milano e ai 14 di Roma. E una vera e propria rivoluzione per la città, a partire dai suoi aspetti ecologici, sociali e paesaggistici.

Il valore sociale del bosco supera gli aspetti ludico-didattici, se rapportato alle priorità ambientali di una città dove le auto in circolazione sono quasi una ogni 2 abitanti, le emissioni di CO dovute al traffico ammontano a 16.589 t/anno e il limite di legge per le PM10 viene superato 158 giorni/anno.

Inoltre c’è il problema della laguna, soggetta ad inquinamento (azoto e fosforo) causato soprattutto dall’attività agricola: il bacino scolante in laguna occupa un territorio di quasi 200.000 ettari.

Su questi fronti la parola d’ordine del bosco è sequestrare le emissioni di carbonio, che in seguito a Kyoto costano al Paese oltre 10 euro ogni tonnellata prodotta, ma anche tamponare di circa la metà i carichi di azoto disciolti in laguna attraverso la fitodepurazione dell’acqua svolta dagli alberi, che sono più efficaci ed economici di un depuratore.

Si calcola che, a progetto concluso, il bosco urbano di Mestre potrà garantire l’equilibrio sostenibile a un’area di oltre 150.000 persone trattenendo, ad esempio, quasi 100.000 tonnellate di CO2 all’anno: circa 6 volte le emissioni di carbonio rilasciate ogni anno dal traffico veicolare.

Programma Ambiente delle Nazioni Unite

Il segretario generale della Federazione, Corrado Maria Daclon, ha incontrato a Roma presso l’ufficio italiano dell’Onu il direttore generale dell’UNEP, il Programma Ambiente delle Nazioni Unite, Achim Steiner. L’incontro, richiesto dal direttore dell’UNEP alle principali associazioni ambientaliste italiane (WWF, Legambiente, LIPU, Federazione Pro Natura, Marevivo, VAS), aveva per oggetto la prospettiva di rilancio dell’UNEP e la collaborazione con le associazioni ambientaliste. Il segretario della Federazione Pro Natura ha proposto un’azione comune delle associazioni nel nostro Paese per far sì che venga rinnovata l’adesione del governo italiano all’UNEP, attualmente sospesa dal governo con la motivazione della mancanza di fondi. Il Direttore dell’UNEP ha condiviso ed apprezzato la proposta della Federazione, ed ha inoltre fornito, a margine dell’incontro, l’adesione dell’UNEP alle celebrazioni del 60° anniversario della Federazione in programma nella primavera del 2008.

Raccolta degli oli usati

CircOLIamo 2007/2008, la campagna educativa itinerante sugli oli lubrificanti usati, organizzata dal Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati, con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e del Segretariato Sociale della Rai, è ripartita da Asti il 25 settembre. Si tratta della 25° tappa di un percorso che attraverserà tutta l’Italia allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sul corretto smaltimento di questi pericolosi rifiuti.

Nel 2006, il Consorzio ha raggiunto il quarto record consecutivo di raccolta: delle 544 mila tonnellate di olio lubrificante stimate al consumo, il Consorzio ne ha raccolte 216.251, pari ad oltre l’89% del potenziale da raccogliere.

La campagna di raccolta si articola in quattro fasi: due nel 2007 e altrettante nel 2008. Tra maggio e giugno di quest’anno ha già sostato in 24 province del nord e centro Italia. Nelle prime 5 settimane di questa seconda fase percorrerà più di 6.000 chilometri, raggiungendo altre 25 province italiane. In ogni tappa del percorso vengono realizzati eventi per la cittadinanza e incontri con le istituzioni e i rappresentanti delle associazioni di categoria nelle aziende, nel corso dei quali il consorzio illustra le proprie attività, ascolta le istanze territoriali e propone azioni concrete per ottimizzare la raccolta. CircOLIamo dedica una particolare attenzione alle scuole. Il team della campagna itinerante incontra gli alunni delle scuole medie per informarli, attraverso il supporto di materiale informativo specifico, sui danni che possono derivare da uno scorretto smaltimento di questi rifiuti e sui vantaggi che si ottengono riutilizzandoli.

Il Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati in oltre 20 anni di attività ha raccolto circa 4 milioni di tonnellate di olio usato, contribuendo a salvaguardare l’ambiente. Se dispersi in mare, questi quantitativi, infatti, avrebbero inquinato una superficie d’acqua corrispondente a una volta e mezza quella del Mar Mediterraneo.

I prodotti ottenuti dalla rigenerazione dell’olio usato hanno fatto risparmiare all’Italia oltre 1 miliardo di euro sulle importazioni di petrolio.

Per informazioni a cittadini e aziende telefonare al numero verde 800-863048 o visitare il sito www.coou.it.

Le Associazioni ambientaliste scrivono a Prodi

Le Associazioni ambientaliste nazionali, fra cui la Federazione Pro Natura, hanno inviato al Presidente del Consiglio e ad alcuni ministri una lettera che riportiamo:

 

Onorevole Presidente,

Il tavolo di coordinamento delle Associazioni Ambientaliste, dopo aver condotto un’articolata azione di monitoraggio dell’attività legislativa e delle politiche in campo ambientale nella XIV legislatura, ha ritenuto di doversi riconvocare preoccupato per alcune tendenze in atto che, se si dovessero consolidare, avrebbero indubbie ricadute negative, con effetti non molto diversi da quelli nel recente passato. Su questa situazione chiediamo un incontro chiarificatore al Governo in carica.

Riconoscendo al Governo e alla maggioranza che lo sostiene una particolare sensibilità sulle politiche energetiche e sulla questione dei cambiamenti climatici, le sottoscritte Associazioni ritengono che, su alcuni aspetti nodali delle politiche ambientali, non si stiano impostando e realizzando iniziative innovative e si registrino ritardi rispetto alla revisione delle normative e delle procedure ereditate, che vanno al di là dei meccanismi di ingegneria istituzionale messi in atto nella passata legislatura.

Con riferimento alla revisione normativa, ci riferiamo in particolare:

- alla riforma del cosiddetto Codice dell’Ambiente (D.Lgs. n. 152/2006), su cui sarebbe stata auspicabile un’azione concorde del Governo per avviare e condurre a buon esito, nei tempi stabiliti dalla Legge di delega, una radicale rivisitazione di un testo che ha l’ambizione di ridefinire principi e criteri di intervento, competenze e funzioni in materia di acque, aria, danno ambientale, rifiuti e bonifiche, VIA, VAS e IPPC. Una riforma doverosa per superare decisamente i rischi e le storture posti dalla legge delega ambientale (come si legge nel Programma dell’Unione) e che sia coerente con le norme e i regolamenti comunitari e le tendenze più avanzate in Europa;

- alla riforma del cosiddetto Codice degli Appalti (D.Lgs. 163/2006), con l’introduzione di modifiche sostanziali non solo per le parti che più si discostano dalle nuove regole comunitarie (Direttiva 2004/18/CE), ma anche e soprattutto per quelle che riguardano il superamento della normativa speciale sulle infrastrutture strategiche (ex D.Lgs. n. 190/2002 e successive integrazioni e modificazioni), considerata fallimentare e passibile di una profonda revisione che doveva rafforzare il ruolo degli enti territoriali, rendere generalizzato e inderogabile il ricorso alla valutazione di impatto ambientale e consentire il monitoraggio e la vigilanza (...) sull’operato del general contractor (come si legge nel Programma dell’Unione);

- alla attuazione del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.Lgs. n. 42/2004, cosiddetto Codice Urbani) che avrebbe implicato l’espressione di un chiaro orientamento del Governo, in primis alle Regioni, ma anche agli enti locali, in merito ai contenuti ed agli standard della nuova pianificazione paesaggistica, alle forme di tutela e di vincolo dei beni culturali e ambientali ed alla interrelazione tra questa e gli altri piani e programmi di settore.

Questi mancati processi di revisione, che non sono derivati solo da ritardi incolpevoli, ma da vere e proprie resistenze negli apparati politici, istituzionali ed amministrativi che fanno riferimento al Governo e alla maggioranza della XV legislatura, produrranno effetti negativi non solo sul corpus normativo ma sull’azione amministrativa e sull’assetto politico-istituzionale.

Per fare degli esempi concreti derivanti da questi ritardi e resistenze, segnaliamo che riteniamo possano produrre effetti devastanti o comunque profondamente deterioranti i corretti rapporti tra pubblica amministrazione, cittadini, aziende, mondo scientifico e tecnico:

- la prossima entrata in vigore della Parte II del D.Lgs.152/2006 riguardante la VAS, VIA e IPPC. quando saranno decorsi inevitabilmente i termini della proroga al 31 luglio per la sua revisione;

- la conferma, nel Secondo Allegato Infrastrutture (200S-2012) al DPEF 2008-2011, di questa legislatura delle norme e delle procedure speciali sulle infrastrutture strategiche traslate nel Codice Appalti e dell\'incoerenza delle scelte prioritarie nel campo dei trasporti e delle infrastrutture;

- il laissez faire sulla nuova generazione di piani paesaggistico-territoriali derivanti dal Codice Urbani, che rischia di essere alimentato dal modello di convenzione tra Ministero per i beni e le attività culturali e le Regioni per il loro adeguamento, in cui ci si rimette al sistema degli strumenti urbanistici delle singole Regioni, con l\'effetto (contrario al disposto del Codice dei beni culturali e del paesaggio) che il piano paesistico risulta assorbito, e vanificato, nella generale pianificazione territoriale (si veda l\'esempio della convenzione siglata con la Regione Toscana).

C\'è anche da segnalare che questo modo di procedere ha come effetto derivato, e non secondario, il riemergere e l\'aggravarsi del contenzioso con l\'Europa cha ha aperto da tempo procedure d’infrazione per violazione delle normative comunitarie sulla Direttiva Habitat (da cui deriva la Valutazione di Incidenza), sulla VAS, sul1a VIA per le infrastrutture strategiche, su vari aspetti della gestione del ciclo dei rifiuti e delle materie seconde, sulle acque.

Né il Governo può negare che anche sulle materie dove dimostra maggiore sensibilità, quali quelle richiamate all’inizio in campo energetico e legate al rispetto del Protocollo di Kyoto, ci siano state scelte contrastanti o, comunque, non coerenti con le politiche comunitarie riguardanti i ritardi nell\'emanazione di provvedimenti (attesi ormai da troppo tempo) in attuazione della direttiva comunitaria sulle energie rinnovabili, la conferma dei meccanismi di incentivazione CIP6 e la presentazione di un Piano di assegnazione delle quote di emissione (PNA2) respinto, nella sua prima versione, dalla Commissione Europea.

Inoltre, rispetto agli impegni internazionali assunti dall\'Italia in tema di tutela della biodiversità, registriamo un notevole ritardo nella concreta attuazione, anche nel nostro Paese, della "Convenzione sulla biodiversità", ivi inclusa la piena applicazione della Rete Natura 2000, in coerenza con gli obiettivi del "Countdown 2010".

Se a tutto questo si aggiunge la sistematica elusione della Valutazione di incidenza, derivante dalla Direttiva "Habitat", e l\'inesistenza di una politica coordinata di governo dell\'acqua e della difesa del suolo, risulta evidente che si sta generando anche nella XV legislatura una grave e generale emergenza che riguarda il declino della biodiversità e la progressiva dissipazione del patrimonio ambientale, paesaggistico, territoriale e culturale di questo nostro martoriato Paese.

Infine, segnaliamo che, la corretta dialettica fra i vari livelli amministrativi, sancita dal Titolo V della Costituzione, non può configurarsi come una continua mediazione al ribasso rispetto a interessi, regole e standard, che devono poter fare riferimento ad un quadro coerente e coordinato a livello nazionale e sono frutto di impegni che travalicano i confini nazionali.

In conclusione, crediamo necessario e urgente un incontro con la Presidenza del Consiglio, quale garante dell’azione collegiale del Governo, sulle politiche ambientali affinché la maggiore sensibilità dimostrata nella stesura del programma "Per il bene dell’Italia" veda seguire alle parole i fatti.